«L’ateo evangelico»

di Mario Mariotti

Se continuiamo a riflettere sulla Parola in relazione al “fondamentale” che poi determina il giudizio finale da parte di Dio, il messaggio appare sempre più chiaro: la discriminante é il nostro atteggiamento nel rapporto col prossimo, che deve determinarsi in modo positivo, nel dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. La Parola stessa,poi,allude alla condizione del soggettivo di colui che sazia e disseta il prossimo: egli si muove nella dimensione della gratuità, dato che non sa che, col suo comportamento, sta saziando e dissetando il Signore stesso.

Questa realtà però non va analizzata dalla prospettiva del Signore, che sembra alludere alla Sua presenza nei poveri : bisogna focalizzare il soggettivo dell’uomo per comprendere il messaggio della gratuità dell’amore.

I giusti hanno saziato e dissetato gli altri viventi gratuitamente, e questa condizione rimanda a sua volta al soggettivo del giusto, che non é credente nella presenza del Signore, ma può essere agnostico, o meglio ancora ateo, ateo che ama e che condivide gratuitamente, semplicemente perché fa agli altri quello che vorrebbe gli altri facessero a lui se si trovasse nelle loro condizioni, cioè affamato ed assetato.

L’ateo si apre alla compassione, si immedesima nelle condizioni dell’altro, lo sazia e lo disseta provando gioia nel portare il necessario e la gioia al proprio interlocutore.

La condizione del credente, che opera perché pensa o sa che il Signore é nei poveri, non riesce a superare la logica del dare-avere, della buona azione per la vita eterna, e quindi non realizza il gratuito. Andando avanti in questo tipo di logica, si può evincere un messaggio sconvolgente per coloro che hanno avuto una formazione religiosa: il paradigma dell’atteggiamento evangelico, il progetto di Dio per l’uomo, é l’ateo che ama e condivide gratuitamente, semplicemente, perché si adegua al principio laico, all’etica laica, di fare agli altri ciò che si vorrebbe ricevere da loro.

Questo amore e condivisione gratuita riflettono là condizione del tralcio che é unito alla Vite senza saperlo, ed opera nell’immanente , nel rapporto laico col prossimo, senza sapere di essere mano di Dio, oppure senza sapere che, nel momento in cui opera, rende presente l’Emanuele’, il "Dio con noi” che è “Dio in noi” e gli sta dando corpo, e gli permette di diventare operativo attraverso sé stesso.

Si possono evincere,allora;varie considerazioni.

Il problema dell’esistenza di Dio va riformalizzato. Dio c’è se c’é, o meglio, Dio c’è dove e quando c’è, E dove e quando c’è’? Dove e quando l’uomo si determina nel proprio rapporto col prossimo secondo amore e condivisione.

Allora si apre la porta per l’esistenza di Dio nel mondo, per una sua trasformazione secondo amore.

Quando Dio é nella trascendenza, é inaccessibile, e indeterminabile.

La storia umana poi, e le regole della natura, rendono poco probabili e poco credibili l’esistenza e la presenza di un Dio buono, onnipotente ed immutabile. Anche tutto ciò che nel mondo sembra più pacifico e sereno, e bello sotto il profilo estetico, sotto la superficie nasconde fatica, lotta, crudeltà, sofferenza, dolore recato e subito, situazioni esistenziali terribili; e poi, se va anche tutto per il meglio, non si riesce, non é possibile superare la precarietà, la provvisorietà del positivo.

La Verità, come la vita, sta crescendo, sta evolvendo, si approfondisce, si modifica, si arricchisce di qualità e di senso.

La Verità non si cristallizza mai in Rivelazione, perchè è una radice dai frutti infiniti. 5

Siccome la Verità é da Dio e Dio é la Verità, e siccome la Verità che si incrocia col mondo produce una trasformazione storica che dovrà vedere, alla fine, il mondo sostanziato e rimodellato secondo Amore, noi stessi siamo probabilmente cellule di un Dio che sta crescendo con noi, e se noi Gli diamo vita immettendolo nell’esistenza, sazieremo e disseteremo gli altri viventi, e se invece noi ci determiniamo accumulando ed usando, sazieremo solo noi stessi e recheremo dolore attorno a noi.

Un Creatore, poi, che ci lasci esposti alla sofferenza universale, in attesa di una nostra conversione, e in attesa, che riusciamo a capire le leggi della natura per porre rimedio ai limiti della materia, sarebbe un Dio crudele, e non sarebbe un Padre. Dio non può non soffrire per la violenza degli uomini sugli uomini, e anche per quella dei carnivori che sbranano gli erbivori. E’ molto più lineare ed accessibile il concetto di un Dio con noi, o meglio “in noi” chè patisce, soffre, si incavola, si impegna con noi nella lotta per togliere sofferenza e portare il necessario e la gioia a tutti i viventi, compresi i minimi, le piccolissime vite.

Altra considerazione che, secondo me, deve essere fatta, è quella che non può corrispondere alla realtà l’enunciato che il Signore si troverebbe nei poveri, negli affamati e negli assetati.

Secondo me l’Evangelista ha lanciato questo messaggio essendo condizionato dalla logica religiosa del Dare-avere. "Fate le buone azioni,e avrete , il premio finale". Io non credo che la realtà sia questa. Io credo che "l’avete fatto a me" vada riformulalo in "l’avete fatto per me", nel senso che noi siamo le Sue mani per amare e condividere.

Poi vorrei dire altre due cose. La prima é quella che il povero non va mitizzato. Troppo spesso egli vive e sostiene la cultura di cui egli stesso é frutto, é vittima; troppo spesso egli stesso si determina negativamente con chi é più povero, più ultimo di lui.

La seconda é quella che mi pare assurdo che la presenza di Dio si debba manifestare nelle situazioni di sofferenza e di dolore. Io, a proposito del povero, lancerei questo messaggio: intanto lui é il frutto, é l’effètto del nostro peccato di omessa solidarietà. Se noi avessimo condiviso ciò che eccede il nostro necessario con lui, egli non esisterebbe più in quanto tale, in quanto povero, ma ci ritroveremmo equalizzati, cioè fratelli e compagni. Poi vorrei educare la gente ad interiorizzare il contrario di quanto annuncia la religione, in relazione alla presenza del Signore nei poveri, negli ultimi, nella sofferenza, nel dolore. Tutte queste condizioni, per me, denunciano l’opposto, l’assenza, o meglio gli effetti dell’assenza dell’Amore incarnato, e il nostro compito laico, nella dimensione atea del gratuito, è proprio quello di superarle, facendo agli altri quello che vorremmo ricevere da loro. Seguendo l’etica laica del fare agli altri, che equivale all’amatevi fra voi del Signore, rimuoveremo questa assenza, toglieremo la sofferenza, il dolore, la povertà e il resto, e il Dio-Amore non lo troveremo, Lo porteremo, Lo renderemo operativo, il che é lo scopo del nostro esistere.

Solo questa etica laica, inoltre, é in grado di unificare tutto il genere umano nella categoria di nostro prossimo; mentre le religioni, come gli stati e come le lingue, lavorano in senso contrario, per la divisione.

La condizione dell’ateismo poi, qualora si determini nella prassi dell’amare, del lavorare per gli altri onestamente e professionalmente, e del condividere, attinge a quella qualità del "gratuito" che é in sintonia con quella del Padre creatore, che ci ama di amore incondizionato, e quindi gratuito.

Va a finire che questo tipo di ateo ,é il "tralcio" perfetto, é quel "corpus Domini" che materializza lo Spirito nel mondo, e lavora incessantemente ed instancabilmente, per compiere la creazione secondo Amore.

E, d’altra parte, questo corrisponde alla grande Verità: il Cristianesimo non é una religione fra le tante religioni, essa é un "criterio”: chi ama e condivide, nel dove e nel quando lo fa, é il corpo dello Spirito che costruisce il Regno. L’ateismo amoroso, solidale e condivisionista, realizza una unità profonda Spirito-corpo, ed é forse la realizzazione più compiuta del Dio con noi, che é Dio in noi, che plasma il mondo con la dolcezza dell’Amore incarnato e fa nuove tutte le cose.

Io non so se questa sia una condizione diffusa ma invisibile a noi, perché siamo sempre limitati dall’alienazione religiosa, o se sia rara come la vera santità presso Dio, che non é certo quella definita dalla chiesa, che é cieca sulla natura laica dello Spirito.

Comunque penso che essa sia il motore del positivo del mondo, e che dove non c’è,vada costruita.

E’ forse la condizione dello stesso Gesù, senza dio perché Dio lui stesso, un Dio col corpo, un Piglio dell’Uomo, che costituisce il "paradigma" della prassi che i tralci della Vite devono adottare per costruire il Regno, il termine della creazione con l’Amore tutto compiuto in tutti.

01-07. M. M.



Giovedì, 26 luglio 2007