L’unità trinitaria

di Mario Mariotti

"Dio e uno solo, e laico come voi, e Colui che vi sta parlando": provate ad immaginare che cosa sarebbe successo se il Signore avesse fatto questa affermazione, così esplicita, davanti agli interlocutori del suo tempo. L’avrebbero linciato “ipso facto” e noi, sugli altari, invece del crocifisso, avremmo dovuto collocare un cono di sassi, di varie dimensioni, tenuti insieme in qualche modo...Allora è dovuta saltar fuori la formalizzazione linguistica di Dio padre che sta nei cieli, per che la verità dell’immanenza dello Spirito in ogni uomo, determinata dalla sua possibilità di incarnare l’Amore, era una verità ancora incomprensibile; allora e dovuta saltar fuori la discesa dello Spirito Santo, che doveva sostituire il messaggio: "Quando comprenderete un po’ di più di quello che vi sto dicendo e di quello che sto facendo da tre anni, capirete che la Verità abita con voi; e che Essa vive nell’Amare e nel Condividere quando voi stessi amate e condividete". Io non voglio, con questa riflessione, mettere in corto circuito le meningi dei teologi, che magari hanno speso una vita riflettendo sulla Trinità di Dio. La mia è un’ipotesi. Da un lato, alla fine esistenziale quando il Signore stava per essere assassinato dai custodi della Legge di Mosé, ad un certo punto dice: non vi siete ancora accorti che Io e il Padre siamo una cosa sola, che chi ha visto Me ha visto Lui? Poi c’é anche un’altra riflessione da fare. Noi, di Dio, abbiamo formalizzato tre determinazioni, Padre, Figlio e Spirito, ma Dio-Spirito, essendo la radice delle determinazioni stesse, é sempre diverso e sempre di più delle stesse determinazioni. Non credo ci sia qualcuno che possa pensare che l’uomo possa conoscere in profondità l’essenza di Dio, perché Lo includerebbe nel proprio pensiero e sarebbe Dio lui stesso. Allora, dopo secoli e secoli di riflessione teologica, forse il nostro spirito può incominciare a capire che lo Spirito é uno solo, che ha attinenza con i concetti umani di padre e di madre, perché é un Amore che dà, che é radice della Vita; che la Sua resurrezione, che la Sua esistenza nel mondo passa per le nostre mani che e una Trascendenza-­Potenzialità immanente ad ogni uomo, che si esplicita ed agisce nella dimensione laica dei rapporti positivi degli uomini fra loro e verso ogni vivente. Finalmente, dalla teologia, passiamo all’Etica.
Presso ogni popolo, in ogni, cultura, ad ogni latitudine, in ogni periodo storico, lo Spirito è presente e lavora nel rapporto positivo dell’uomo verso le altre creature, nel rispondere dell’uomo ai bisogni vitali dell’affamato e dell’assetato, nella materializzazione, da parte dell’uomo, dello Spirito-Amore che si oggettiva, strutturalmente in Condivisione. É poi anche vero che quello che noi facciamo é dimostrazione di ciò in cui crediamo, ma é necessario ridefinire il verbo credere, perché esso, nella nostra cultura, ha un’accezione ideologica, rinforzata anche a frasi attribuite al Signore nei Vangeli che non sono certamente Sue, come quando Gli si fa dire: "chi crede ha la vita eterna, e io lo resusciterò nell’ultimo giorno". Intanto se uno fa il bene perché crede, e crede nel premio, non é più nel gratuito ed esce dallo specifico dello Spirito, che é Amore gratuito. Poi la vera dimensione evangelica, probabilmente, é quella dell’ateo che ama e condivide: é sèmplicemente tralcio della Vite, non sa di esserlo, ma in quel momento, quando ama e condivide, é corpus Domini.
Io penso che noi siamo comunque di Dio, che siamo comunque "dentro a Dio". Ma Dio non é quello religioso del credere, é quella potenzialità che l’uomo ha di far esistere l’Amore nel mondo amando. L’equazione: l’uomo fa il bene, quindi crede, quindi Dio, esiste, può avere, ed ha avuto, esiti ambigui ed anche negativi. “Dio esiste ed opera solo se e solo quando l’uomo si determina, nei propri rapporti con gli altri viventi, secondo Amore” é un enunciato più corrispondente alla realtà, e più attrezzato a svegliarci dall’oppio religioso. L’Olocausto, l’attentato a Hit1er di Rastenburg, che poteva far finire la guerra un anno prima e non riuscì, l’olocausto giornaliero dei piccini della grande favela del Sud per mancanza di uno spicciolo, o la tortura dei soldati che accecano una bambina facendole colare plastica liquida sugli occhi, o l’agonia di quelli che muoiono ne1 deserto o affogano in mare all’interno dei loro viaggi de11a speranza, e tanto, e uno sterminato casino di negativo ancora, sono tutti messaggi sulla non-onnipotenza di Dio, sulla Sua dipendenza dalle scelte degli uomini, sulla necessità di capire che Dio non va pregato, ma incarnato, amando e condividendo, facendo noi stessi, agli a1tri, ciò che noi vorremmo ricevere da loro.
Come fa, Dio, ad essere onnipotente e buono, se il suo esistere ed operare passano attraverso di noi, strumenti potenziali dello Spirito-Amore, e noi abbiamo la possibilità di sceg1iere, o rifiutare, nella concretezza storica, la materializzazione di questa esistenza ed operatività? Come non accorgersi che, il Signore non è affatto Sa1vatore, dato che oggi stesso lascerebbe crepare migliaia di piccini, ma paradigma di quell’amare e condividere che, se incarnati non dai credenti ma dai praticanti, potrebbero sa1vare le migliaia di piccini? Come non capire che Padre, Figlio e Spirito Santo sono determinazioni nostre, funziona1i ad una visione religiosa di Dio, che ci permette di evadere da11e nostre responsabilità in rapporto all’incarnazione dello Spirito-Amore? Dio é padre, ci ama, ma ci lascia crepare per motivi misteriosi che sa solo Lui; sia fatta la Sua volontà.
Dio é Fig1io, il Figlio é l’Agnello, noi inchiodiamo l’Agnel1o per volontà del Padre (tutto dipende da Lui), noi usiamo dei suoi meriti per ripararci dall’ira di Dio per i nostri peccati (contro di Lui e non contro i fratelli). Dio é Spirito, lo Spirito scende quando noi imponiamo le mani (coi sacramenti noi Lo mettiamo alle nostre dipendenze), lo Spirito alita dove diciamo, noi, cioè in casa nostra, e noi abbiamo le chiavi della salvezza o della dannazione eterna del prossimo. ­Ci accorgiamo che, a tutto questo, sottende un’immagine di Dio la cui distanza (e diversità) da Dio stesso non può essere contenuta neppure dalla sterminata grandezza dell’universo in espansione? Cosa aspettiamo a capire che é la Verità a dare forza a Cristo, e non viceversa; che le religioni sono un peccato del nostro spirito, che vuole dominare la Verità; che Dio é un laico come noi perché noi siamo,una parte di Lui; che quando noi amiamo e condividiamo siamo gli strumenti, le mani del Suo amore per noi? Mani che, se restano chiuse, determinano in Lui una distrofia i cui effetti, però, vengono pagati da noi stessi, quando ci troviamo esposti al rifiuto, agli effetti del rifiuto, di incarnazione dello Spirito? Cosa aspettiamo a renderci conto che la laicità fraterna e solidale é l’unica dimensione (evangelica) che può far superare le divisioni religiose, e realizzare l’unità del genere umano (il “tutti sono prossimo” del vangelo), attorno all’imperativo etico del fare agli altri quello che vorremmo ricevere da loro?
I 1-07 .

M. M.



Domenica, 24 febbraio 2008