Lettera dalla Turchia della famiglia ugolini

Roberto, con la moglie Gabriella e la figlia Costanza


P…er A…mare S…soprattutto Q…uesta U…manità A…ffaticata

Qualche mese fa (talvolta le cose prima di essere condivise hanno bisogno di essere custodite), eravamo nella bottega di un nostro amico. Parlavamo della nostra vita qui, della sua, e di tante altre cose. Poi è arrivata una persona che non conoscevamo. Al nuovo arrivato ha detto che eravamo dei suoi carissimi amici. Partendo da questa parola, “amici”, siamo entrati in un discorso che qui è molto sentito: l’ospitalità (misafirperver). Poco prima di andarsene, ci ha raccontato una storia. In un villaggio sperso tra le montagne di questa regione, un giovane chiese al padre il permesso di potersene andare via per cercare un lavoro altrove. Il padre, dopo aver riflettuto, acconsentì. Il giovane aveva imparato tante cose dal padre. L’uomo, infatti, aveva l’abitudine di parlare molto coi figli, insegnando loro tante cose piene di saggezza. Nascevano dalla sua personale esperienza di persona ricca dentro, un gran lavoratore che le difficoltà di una vita dura avevano temprato, forgiato, ma non piegato. Per la famiglia aveva tenuto sempre e unicamente l’indispensabile, attento com’era alle necessità di tutti, nel villaggio. Quale non fu la sorpresa del figlio quando, arrivato il giorno della partenza, andando dal padre per l’ultimo saluto, lo sentì dire: ”Figlio mio, vai in pace e ricordati di farti molte case!”.
Il giovane, stupito, guardava quell’uomo che per lui rappresentava l’esempio vivente dell’altruismo, della non avidità. Non capiva: come poteva dire “fatti tante case”, proprio lui che non possedeva nemmeno quella in cui abitavano?
“Padre -chiese il figlio- non capisco. Cosa vuoi dire?”.
“Figlio mio, tu stai partendo. Andrai dove io non so, dove io non sono mai stato; il mio mondo finisce in questo villaggio. Ricordati sempre che l’amicizia, quella vera, è la cosa più importante, e per questo ti raccomando di farti tanti amici in questa vita che vai a cominciare. La vita è difficile, lo sai, e per questo se avrai degli amici non ti mancherà mai il loro sostegno nelle difficoltà, e a loro potrai dare il tuo. Al tempo stesso avrai sempre una casa dove trovare conforto o avere la gioia di darne. E’ una ricchezza reciproca. Fatti tante case significa: curati sempre di avere tanti amici”.
Il giovane della storia era lui che ce la raccontava.
Quanto siano vere queste semplici parole può sembrare facile capirlo, ma a noi è stato fatto il dono di sperimentarle. Dal momento che siamo partiti si sono meravigliosamente moltiplicati i nostri punti di riferimento in…case, amici, attenzioni…e pensate che siete proprio voi, che adesso state leggendo queste righe, coloro che ci fanno vivere questo dono. Grazie!

Pensavamo che il modo migliore per parlare con qualcuno fossero le parole.
Quanto è stato importante scoprire che si può parlare anche con dei sacchetti di plastica. Sì, proprio quelli che rovinano i nostri paesaggi, i nostri fiumi, che hanno bisogno di non so quante centinaia di anni per distruggersi.
Come è possibile?
Giorni fa stavamo tornando a casa. Ad un tratto abbiamo visto, in uno spiazzo davanti ad alcuni palazzi, una donna che rovistava in mezzo ai residui della vuotatura delle stufe a carbone. Polvere, tanta polvere rosso scuro, e lei lì nel mezzo a cercare.
Anche noi ogni giorno svuotiamo il carbone e la legna che la nostra stufa ha bruciato, e sappiamo bene quanta polvere entri negli occhi e nel naso in quei pochi secondi necessari a rovesciare il “kova” (cestino) dove si depositano. Quella donna non era certo lì per divertirsi, e ormai non è difficile riconoscere ’il bisogno’ di qualcuno. Quasi sempre portiamo con noi in macchina dei sacchetti di plastica con dentro degli indumenti (che voi ci date!). Ci siamo fermati un po’ più avanti, e siamo rimasti, in lontananza, a guardarla. Vagliava la polvere con una reticella. Gabri è scesa con uno di quei sacchetti. Hanno parlato un po’, e quando è tornata ci ha raccontato dell’incontro. Quella signora, (finora abbiamo scritto donna), abita in una zona povera poco distante da quei palazzi, e ogni giorno viene lì alla ricerca di qualche pezzetto di carbone incombusto o poco bruciato, per scaldare casa sua…
Ecco come abbiamo iniziato a parlare con lei attraverso dei sacchetti di plastica. Da quel giorno, quando passiamo, lasciamo un sacchetto con del carbone, in quella piccola discarica. Non servono parole stavolta, solo dei… sacchetti!
Dopo la Quaresima… (che per quella signora è lunga quanto dura un anno… dopo l’altro), viene la Pasqua (che non sono i nostri sacchetti di carbone!). Tra questi due momenti,
“imbuchiamo” oggi la nostra lettera agli amici. Per chi la festeggerà in questa terra, per chi la vivrà in qualsiasi altra parte del mondo, o per chi non la ricorderà affatto perché non ne sente il bisogno, vogliamo, allo stesso modo, condividere con voi il senso che per noi ha questo periodo. Lo faremo così, con un pensiero che ci è particolarmente caro, perché unisce proprio tutti, comunque la pensino:
“Fratel Sapienza non si ferma mai nemmeno alla considerazione dell’inferno e del paradiso. E questa non attenzione non è perché non ci crede, ma unicamente perché questo inferno o paradiso gli comporta l’occuparsi di un problema che riguarda lui, lui personalmente. Non se lo può permettere: non esiste una salvezza personale, ma una salvezza collettiva, e se salvezza personale può essere ottenuta, è unicamente per il suo rapporto con la salvezza collettiva. Il problema del paradiso o dell’inferno non è problema privato, ma comunitario, collettivo, a misure d’umanità. Non è problema risolvibile nell’egoismo, ma nell’Amore!” (da Antico sogno nuovo, di Don Sirio Politi, Gribaudi ed.).

Con affetto,

vostri RobGabCos

Articolo tratto da:

FORUM (88) Koinonia

http://www.koinonia-online.it



Sabato, 22 marzo 2008