Un lavoro sudato, e poi ...buttato

di Mario Mariotti

Siccome per quasi tutta la mia vita anch’io ho tribolato per cercare di dare un senso alle cose che, nella Bibbia, (nella parte che conoscevo), mi erano incomprensibili e contraddittorie fra loro; siccome per quasi tutta la mia vita avevo recepito come un dogma l’enunciato che la Bibbia fosse la Parola di Dio, e mi ci sono voluti anni ed anni di esperienze significative per farmi capire che l’enunciato “Parola di Dio” va completato con quel “secondo l’uomo”, che relativizza la Parola e contrasta la presunzione dell’uomo di conoscere Dio meglio di Lui stesso, adesso mi vado rendendo conto che l’esegesi della Bibbia, da parte dei teologi, è diventata per loro una specie di idolo, che li fa tribolare e soffrire per dimostrare quello che gli uomini sanno già, ma che non vogliono sapere, perché questo sapere li metterebbe in discussione, e chiederebbe loro quella metanoia, quella conversione che essi rifiutano di accogliere e costruire.
Poi c’è un’altra cosa che dovrebbe far riflettere, e non solo i pochi intimi, date le conseguenze micidiali che comporta. Come mai l’esegesi, dopo aver messo a fuoco la cultura e il relativo linguaggio che rende comprensibile il messaggio del Signore, in quanto Egli parla in termini di quella cultura a persone che stanno vivendo quella cultura, come mai, dopo aver acquisito il significato del messaggio e dopo aver superato ogni dubbio di interpretazione il messaggio stesso resta criptato nella forma della Bibbia, e l’esegesi viene lasciata alla libertà di tutti, inclusi quelli che del messaggio non hanno campanato nulla? Come mai questa scienza non porta frutti accessibili a tutti?
Faccio l’esempio per farmi capire: Il messaggio di Gesù del Discorso della montagna, nel Vangelo, è formalizzato in questo modo: “Beati i poveri in spirito perché di esso è il Regno dei cieli”. Gli esegeti, con le loro ricerche ed i loro studi, hanno appurato che nella cultura del tempo, che si esprimeva con quel linguaggio, il cuore era la sede dei sentimenti, mentre lo spirito era la sede della volontà, dell’intenzionalità, delle scelte. Il “Beati i poveri in spirito”, allora, per diventare un messaggio comprensibile e significativo di quello che il Signore ci vuol dire, dovrebbe essere formalizzato in “Beati i poveri per scelta”, cioè: “Beati coloro che scelgono la povertà (che non è la miseria, ma il necessario). Dato che quella cultura poneva nello spirito la volontà, e quindi lo scegliere, la scelta, è inutile, non è oggettivo, non è scientificamente fondato tradurre, continuare a formalizzare questo messaggio nel “Beati i poveri in spirito”. Questo, invece, è quello che viene annunciato nelle letture in tutte le chiese, vanificando in questo modo il lavoro degli esegeti, e dimostrando che la formalizzazione del Vangelo è un idolo intangibile, che il messaggio viene deliberatamente mantenuto criptato, ambiguo, oscuro; che la Parola viene depotenziata, in modo da non rompere le scatole a nessuno. Noi sappiamo bene , infatti, come viene tradotto questo “in spirito” sia dai laici che dai chierici: bisogna avere un certo distacco dalla ricchezza, ma di povertà, di cultura del necessario, di condivisione, neppure a parlarne!
La forma classica permette al ricco di sentirsi a posto con la coscienza, di sentirsi cristiano, seguace di Gesù, anche se ricco; e permette a S. R. Chiesa di sedersi al tavolo dei ricchi epuloni e di concordare con loro antipasto, primo, secondo e tutto il resto.
Altra cosa: nella cultura ebraica, Dio non andava nominato, e quindi il Regno di Dio veniva formalizzato nel “Regno dei cieli”. Proviamo allora cari fratelli nella fede, a pensare come potrebbe risultare più chiara e significativa la seguente formalizzazione : “Beati coloro che scelgono il necessario, perché appartiene a loro il futuro secondo Dio”, forma basata sugli studi storici scientificamente fondati degli esegeti, che hanno voluto cercare ed approfondire, per aiutarci a conoscere la volontà di Dio, perché poi i credenti si comportino di conseguenza.
Ecco quindi alcune conclusioni. Dato che nei Vangeli è probabile che ci siano degli episodi costruiti (la Trasfigurazione, la stessa resurrezione di Lazzaro, segno che l’accogliere il Signore ci fa passare dalla morte alla vita, ecc.); dato che il verbo “credere” sostituisce assurdamente il verbo “Amare”, dato che il tempo passato dei verbi sostituisce assurdamente il futuro, dato che viene omesso il fondamentale “attraverso di noi, mani di Dio”, dato che a volte noi siamo figli e a volte sevi inutili, dato che a volte, al Signore vengono fatte dire cose che Lui non avrebbe mai detto (il potere delle chiavi, l’elogio della vedova, il bussare e vi sarà aperto ecc.) date tutte queste problematicità, direi agli esegeti del Vangelo di prendersela con calma in rapporto alla “lettera”, e di indagare ed approfondire soprattutto lo “Spirito”.
Poi direi alla Chiesa di rispettare il lavoro degli esegeti, e di utilizzare i risultati, per decriptare il linguaggio biblico, per mettere in condizione la gente di cogliere lo Spirito, di capire meglio la proposta, il messaggio dello Spirito stesso. Questo consiglio è particolarmente opportuno oggi, in clima di controriforma del Concilio Vaticano II, visto che, per aiutare la crescita del popolo dei fedeli, si pensa di reintrodurre il linguaggio “magico” del latino. Fatto questo, chiarito il linguaggio, ci sarebbero meno alibi per i credenti di definirsi tali e di continuare beatamente a vivere nella logica di questo nostro mondo, quasi completamente globalizzato nell’idolatria di Mammona.
Termino con un’ultima riflessione. L’agnellino è una bestiolina paradigma di candore, innocenza, tenerezza e simpatia, quando viene tolto alla mamma piange lui e piange lei, quindi vive l’affetto, ed è esposto alla paura ed al dolore. Dicono gli storici che il tempio di Gerusalemme era la più grande banca del Mediooriente, e che per festeggiare la Pasqua ebraica in quella città venivano sgozzati decine di migliaia di agnellini nel tempio, il tutto per ringraziare, placare e tenersi buono il Dio dell’Alleanza.
Questi agnellini sono un capolavoro di bellezza e di intelligenza del Creatore, sono creature del Creatore, e l’uomo si è costruito un Creatore che, per rappacificarsi con lui creatura, gradisce il sangue dell’agnellino sgozzato, creato da Lui stesso, creatura fra le creature. Noi continuiamo a fare Dio a nostra immagine, a coltivare la presunzione blasfema di conoscerlo, e siccome noi siamo mostri di insensibilità, irrazionalità, alienazione e crudeltà gratuita, siamo arrivati a pensare che Dio si riconcilia con noi quando Gli straziamo e Gli assassiniamo il Figlio sulla croce, trasformandolo nell’Agnello che toglie i peccati del mondo…
Bisogna che abbiamo la fortuna che Dio non ci sia, perché, se c’è, non ci perdonerà il modo blasfemo che noi abbiamo di concepirlo.

Mario Mariotti



Martedì, 22 luglio 2008