La parola ci interpella
UN SINODO PER «SOSTARE» INSIEME?

di Alberto Bruno Simoni o.p.

Una lettura del “Messaggio della XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi”


È lecito esprimere qualche impressione dopo una prima e rapida lettura del Messaggio finale della XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio?

Un rilievo  riguarda il senso stesso del “Sinodo”, che vuol dire camminare insieme e via comune: la sensazione che si ricava dalla lettura è invece che i Padri sinodali abbiamo sostato insieme ed abbiano poi offerto una immagine di chiesa incentrata su se stessa, dotata di immobilità se non proprio destinata all’immobilismo: una specie di grande “monade” senza finestre e presente nel mondo attraverso una sorta di armonia prestabilita. Quanto poi alla “via comune”, la storia insegna che non è unica o uniforme, se è vero che le vie del Signore sono infinite e che “la via della chiesa è l’uomo”.

Al centro di tutto, infatti, c’è una Chiesa casa, custode ed arbitra della Parola: “è la Chiesa che ha il suo modello nella comunità-madre di Gerusalemme, la Chiesa fondata su Pietro e sugli apostoli e che oggi, attraverso i vescovi in comunione col Successore di Pietro, continua ad essere custode, annunciatrice e interprete della Parola (cf. LG 13)”. Una chiesa che rivolge il suo messaggio “all’immenso orizzonte di tutti coloro che nelle diverse regioni del mondo seguono Cristo come discepoli e continuano ad amarlo con amore incorruttibile”, per proporre a tutti  “un viaggio spirituale che si svolgerà in quattro tappe e che dall’eterno e dall’infinito di Dio ci condurrà fino nelle nostre case e lungo le strade delle nostre città”. Sembra che si abbia a che fare con una chiesa condannata al solipsismo!

Ma davvero la  “comunità-madre di Gerusalemme” è l’unico modello o modo di essere della Chiesa? E Antiochia, per esempio? Se a Gerusalemme vige un principio istituzionale di autorità, ad Antiochia a dominare la Parola, che corre, che si diffonde, che si moltiplica, una Parola non vincolata ma liberante. Il Sinodo, è vero, si pone nella scia del Concilio e della Costituzione Dei Verbum, ma questa viene citata nel messaggio una o due volte e precisamente per ricordare la necessità della “viva Tradizione di tutta la Chiesa” (DV 12), su cui è incentrato poi unilateralmente tutto il discorso. Non c’è traccia di quella “conspiratio” tra pastori e fedeli, di cui si parla al n.10, “nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa”.

Un richiamo formale alla Costituzione conciliare appare in una delle “Proposizioni finali” con queste precise parole: “I Padri sinodali a oltre 40 anni dalla promulgazione della Dei Verbum riconoscono i grandi benefici apportati da questo documento. Perciò facendone tesoro la Chiesa sente oggi il bisogno di approfondire ulteriormente il mistero della Parola di Dio”. Ma questo approfondimento avviene soprattutto “ad intra”, in senso centripeta e di prassi spirituale e liturgica, mentre una proiezione “ad extra” è quasi temuta, tanto da poter parlare di una chiesa cenacolare o “pre-pentecostale”.

Se prendiamo il n.1 della Dei Verbum, abbiamo davanti una chiesa in azione, che intende sì “proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione”, ma tutto questo “in religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia… affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami”.  Una Chiesa in stato di servizio della Parola e di predicazione, qualcosa che è lasciato in secondo piano o dato per scontato o automatico, quando invece è proprio ciò che fa problema!

In ogni caso, un effetto forse imprevisto del messaggio è quello di riportarci alla lettura della Dei Verbum,  quale contesto non superato in cui recepirlo ed interpretarlo: una cosa infatti è riconoscere e proclamare il “primato della Parola” in simbiosi con chi l’ascolta, altra cosa è partire dal “primato della Chiesa” come interprete unica ed esclusiva della Parola di Dio nel mondo. E mentre la Dei Verbum presenta la gestazione di questa Parola, il messaggio del Sinodo ne considera piuttosto la gestione, dopo averla vivisezionata e confezionata ad uso interno della Chiesa!

Chiedo scusa se ritorno su un punto altre volte indicato come criterio di discernimento in questo genere di problemi: la predicazione! È una responsabilità primaria di una Chiesa serva o ministra della Parola di fronte al mondo (“Guai a me se non evangelizzo…”), o funzione interna ad una Chiesa padrona della Parola? Per poter rispondere a questo interrogativo, ecco quel poco che viene detto su questo punto: “Ma il vertice della predicazione è nell’omelia che ancor oggi per molti cristiani è il momento capitale dell’incontro con la Parola di Dio. In questo atto il ministro dovrebbe trasformarsi anche in profeta… Nella predicazione si compie così un duplice movimento. Col primo si risale alla radice dei testi sacri, degli eventi, dei detti generatori della storia di salvezza, per comprenderli nel loro significato e nel loro messaggio. Col secondo movimento si ridiscende al presente, all’oggi vissuto da chi ascolta e legge, sempre alla luce del Cristo che è il filo luminoso destinato a unire le Scritture”.

Dove è una chiesa in ascolto della storia e attenta ai “segni dei tempi? E dove è finita, in tanta abbondanza di dottrina, la stoltezza di quella predicazione da cui soltanto dipende la fede, e quindi la salvezza per ogni uomo che crede, giudeo o greco? Mi chiedo e chiedo soltanto se queste osservazioni a caldo valga la pena esprimerle - in cinque minuti di follia - come voce di una “Chiesa dei gentili” che è nascosta e sotterranea (non è il “mistero nascosto nei secoli” e rivelato a Paolo?), ma che non può essere ignorata del tutto. Con tutto il rispetto per una Chiesa attrezzata ed organizzata e ben visibile, forse è bene ricordarsi anche della chiesa invisibile che è in mezzo a noi, quella fatta  unicamente da semplici uomini e donne raccolti nell’amore di Cristo attraverso la “Parola della croce”.

Alberto Bruno Simoni o.p.

Articolo tratto da:

FORUM (113) Koinonia

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Sabato, 01 novembre 2008