IL PROSSIMO SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO

di CARD. CARLO MARIA MARTINI S.I.

Riprendiamo questo articolo del CARD. CARLO MARIA MARTINI S.I.da "La Civiltà Cattolica" del 2 febbraio 2008/ quindicinale/ anno 159 / 3783

Con la nomina del relatore generale del prossimo Sinodo, card. Marc Ouellet, arcivescovo di Québec, e del segretario speciale, mons. Wilhelm E. Egger, vescovo di Bolzano-Bressanone, i nostri sguardi si volgono a questo grande evento ecclesiale. Ogni Sinodo è importante per la Chiesa, se non altro per la conoscenza reciproca dei vescovi che imparano ad ascoltarsi e a confrontare i loro linguaggi, ormai molto diversi tra loro. Ma i Sinodi si qualificano poi in modo speciale per l’urgenza, la tempestività e la pregnanza dei temi trattati: perciò la prossima convocazione sinodale, che tratterà il tema della Parola di Dio, sarà molto importante per la Chiesa intera.

Questo Sinodo si distingue non soltanto per i1 grande rilievo dell’argomento, ma anche per il fatto che esso era stato auspicato già da parecchi anni da non pochi vescovi e istituzioni. C’è da sperare che con gli annunciati miglioramenti nel regolamento la prossima Assemblea costituisca davvero un momento significativo per tutti i cattolici e abbia risonanza anche fuori dei confini della cattolicità. Esso fa seguito al Sinodo sull’Eucaristia (2005), richiamando così quel nesso tra le due mense che veniva menzionato volentieri dall’antica tradizione della Chiesa 1 e che menziona anche la Dei Verbumal n. 21: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio sia del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli». Il tema conciliare espresso nella Dei Verbum è stato poi ripreso brevemente nel Sinodo straordinario del 1985, il cui documento finale era intitolato così: «La Chiesa sotto la Parola di Dio celebra i misteri del Cristo per la salvezza del mondo».

-------------------

1- Cfr Imitazione di Cristo, libro IV, capitolo 11: «II Corpo di Cristo e la sacra Scrittura sono sommamente necessari all’anima fedele».

IL PROSSIMO SINODO

Il prossimo Sinodo gode perciò, rispetto ad altri, di una particolare caratteristica: quella cioè di riprendere un tema già trattato ampiamente e con particolare profondità e passione nell’ultimo Concilio e da cui è nata la costituzione dogmatica forse più bella del Vaticano II, quella «Sulla Divina Rivelazione», espressa nel documento che dalle prime sue parole è stato chiamato la Dei Verbum.Occorrerà quindi guardare anzitutto a questo documento conciliare per avere un punto sicuro di riferimento, anche se il Sinodo non entra per lo più in temi dottrinali, che spettano piuttosto a un Concilio. Esso deve promuovere soprattutto un discernimento pastorale su ciò che lo Spirito del Signore chiede alla Chiesa perché essa possa vivere nell’oggi autentici itinerari di culto, di preghiera e di servizio. Attenendosi a questa regola si evita il pericolo di discussioni prolungate e astratte.

Sarà ovviamente lo Spirito Santo a guidare i Padri nelle loro discussioni e deliberazioni. Qui si vogliono soltanto esprimere alcuni auspici che emergono pensando al Sinodo prossimo. Si tratta in particolare 1) di alcune cose da evitare, 2) di temi su cui non varrebbe molto la pena di discutere, con prevedibile perdita di tempo, e infine 3) di argomenti che sarebbe importante trattare con calma, riservando ad essi tutto il tempo disponibile. Mi limiterò a qualche esempio, per stimolare la riflessione di noi tutti su questo tema.

Alcune cose da evitare

Occorrerà anzitutto evitare di scendere al di sotto delle formule felici del Vaticano II, in cui il Concilio ha espresso quanto la Chiesa sente sulla divina Rivelazione e sulla Parola di Dio, anche su quella contenuta nella Scrittura, come pure sulla Tradizione.

Come esempio di formule felici potremmo citare la descrizione della Rivelazione con le parole «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà» (n. 2), dove l’accento viene posto non tanto sulle singole verità rivelate ma su Dio che si rivela, e che si rivela donandosi («per invitare e ammettere gli uomini alla comunione con sé») (ivi) e si rivela in Cristo, «il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione» (ivi). Importante è anche la descrizione della fede al n. 5, dove si dice che con essa l’uomo «si abbandona tutto a Dio liberamente». Al n. 8 la Tradizione viene spiegata come quella realtà per cui «la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede». Importanti sono pure le affermazioni dei nn. 10 e 21: «Il Magistero non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve» (n.10); «E’ necessario, dunque, che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (n. 21).

Non si tratta che di alcuni esempi, ma che lasciano intravedere l’importanza della posta in gioco. Dopo un documento elaborato con grande cura e con formule felici come la Dei Verbum, occorre che il Sinodo rimanga all’altezza di questo linguaggio e viva dunque quella tensione spirituale profonda che gli permetta di dirci parole in cui risuoni la forza dello Spirito.

Occorrerà anche vigilare perché non vengano usate formule che ci riportino indietro rispetto al Concilio Vaticano II, come era avvenuto, ad esempio, nella traduzione italiana del documento del Sinodo straordinario del 1985, che nella dizione latina suonava «Ecclesia sub Verbo Dei...» e che era stato tradotto in italiano «La Chiesa nella parola di Dio...».

Temi su cui non sembra necessario discutere molto

Sarà importante non perdere tempo prezioso (le settimane del Sinodo passano in fretta!) riprendendo quei temi che sono già stati trattati ampiamente nel Vaticano II e circa i duali non è possibile prevedere per il momento nessuna novità di rilievo.

Faccio due esempi. Il primo è quello del rapporto tra Scrittura e Tradizione. Il tema è trattato nel capitolo IIdella Dei Verbum, sotto il titolo «La trasmissione della divina Rivelazione». Il testo del capitolo porta ancora i segni delle forti tensioni attraverso le quali si è giunti alla stesura definitiva di esso. Vi fu anche un momento, quello della votazione del 20novembre 1962, in cui il Concilio apparve praticamente spaccato in due, e qualcuno dubitò della possibilità di andare avanti. La situazione fu salvata dall’intervento personale di Papa Giovarmi XXIII, che ritirò lo schema dalla discussione e lo affidò a una nuova commissione, presieduta dai cardinali Ottaviani e Bea. Doveva però ancora passare molto tempo prima della definitiva approvazione, che avvenne nella votazione del 18 ottobre 1965. Ho richiamato brevemente questo episodio per dire come sarebbe oggi poco produttiva una ripresa di quelle discussioni. Ciò che è stato raggiunto con grande fatica e non senza qualche compromesso non merita di essere ripreso, soprattutto di fronte ad altre urgenze più pratiche e pastorali. Un secondo esempio è quello della discussione sul metodo storico-critico e, più in generale, sui metodi interpretativi della Scrittura, in particolare nella esegesi dei Vangeli, di cui parla la Dei Verbumnel capitolo III (nn. 11-13) e poi nel capitolo IV (n. 19). Il tema era uno dei più caldi in quegli anni. Si pensava da alcuni che il metodo storico-critico non fosse compatibile con la fede. Le pagine della Dei Verbum riportano le conclusioni di un lungo travaglio, ricordando le regole generali per la retta interpretazione dei testi biblici e menzionando espressamente i diversi generi letterari che sono presenti nella Scrittura. Nel frattempo era uscita (1964) una istruzione della Pontificia Commissione Biblica sulla storicità dei Vangeli che chiariva la specificità della loro interpretazione ma con l’attenzione al loro contesto concreto. In seguito poi la stessa Commissione ha pubblicato un ampio documento su L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) che fa in maniera esaustiva il punto sulla questione. Il Sinodo potrebbe dunque contentarsi di riassumere autorevolmente le cose più importanti che emergono da tale documento, evitando di entrare di nuovo nelle discussioni metodologiche. Argomenti da approfondire Sarà invece importante che il Sinodo, partendo soprattutto dalla parte pastorale della Dei Verbum, cioè dal capitolo VI, esamini quanto è stato fatto in questi quarant’anni e quanto resta da fare per rispondere alle attese dei Padri Conciliari. Così il Sinodo sarà come un grande esame di coscienza di tutta la Chiesa sul frutto che essa trae dalle Scritture sacre. I Lineamenta orientano in questo senso, soprattutto con le domande al capitolo II («La Parola di Dio nella vita della Chiesa») e al capitolo III («La Parola di Dio nella missione della Chiesa»). Nel capitolo II sono descritti i vari modi con cui la Chiesa si alimenta della Parola: nella liturgia e nella preghiera, nella evangelizzazione e nella catechesi, nella esegesi e nella teologia e nella vita del credente. Penso che tutti questi ambiti siano importanti e meritino l’attenzione dei Padri sinodali. Io mi limiterò a dire qualcosa su alcuni di essi, che riguardano la moltitudine dei fedeli. Bisogna riconoscere che la maggior parte di essi non ha ancora raggiunto quella familiarità con la Scrittura che era auspicata dal Vaticano II. Basti ricordare i risultati di un sondaggio tra gli italiani, da cui risulta che circa il settanta per cento di essi non hanno mai letto i quattro Vangeli e soltanto il quindici per cento li ha letti almeno un volta nella vita. La Dei Verbuminvece esortava «con forza e con insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere "la sublime scienza di Gesù Cristo" con la frequente lettura delle divine Scritture. "L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo"» (n. 25). Queste ultime parole di san Girolamo sono state opportunamente ricordate da Papa Benedetto XVI in uno dei suoi caldi e ricorrenti inviti a leggere e a meditare le Scritture sante. Il Concilio esortava poi ad accompagnare la lettura della Scrittura con la preghiera, affinché potesse svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo. A questo proposito venivano ricordate le parole di sant’Ambrogio: «Gli parliamo [a Dio] quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini» (AMBROGIO, S., De officiis ministrorum, I, 20, 88). L’esperienza pastorale di oltre 22 anni di governo di una grande diocesi, con lo sforzo di richiamare in ogni modo e in ogni occasione l’importanza di imparare a pregare a partire dalle Scritture, mi ha convinto che tale insistenza è importante e porta frutto. Si potrebbe quasi dire che le parole del n. 25 della Dei Verbum possono costituire come un traguardo e, in ogni caso, un momento importante del piano pastorale di ogni vescovo. Il documento conciliare ricordava la necessità di iniziative adeguate e di sussidi per il popolo di Dio. A questo proposito possiamo affermare che in Italia si è fatto un progresso enorme in questi ultimi decenni. Negli anni prima del Concilio erano pochissimi i sussidi esistenti ed era persino difficile trovare una versione cattolica della Bibbia dai testi originali. Oggi i sussidi si sono moltiplicati a dismisura, tanto che c’è l’imbarazzo della scelta. Esistono edizioni numerose della Scrittura, buoni commenti di esegeti italiani, vocabolari e dizionari aggiornati, enciclopedie e atlanti biblici ben elaborati ecc. È quindi inescusabile un fedele (e tanto più un prete o un religioso o una religiosa) che non si accosta alla Sacra Scrittura dicendo di non trovare sussidi adeguati.

Forse è ancora da chiarire ulteriormente (e potrebbe farlo opportunamente il Sinodo) la distinzione tra catechesi e lettura della Scrittura. È ovvio che una catechesi, cioè un insegnamento ordinato e organico sulla fede cattolica, non può che essere fondato ampiamente sulla Bibbia. Ma ciò non toglie la necessità che ogni fedele si accosti personalmente o in gruppo al Libro Sacro come tale, cominciando, ad esempio, dalla lettura integrale del Vangelo di Marco e degli Atti degli Apostoli. Non c’è paragone tra la forza, la concretezza, l’interpellazione personale che può venire dal testo biblico accostato per se stesso con ciò che avviene quando il testo è mediato da altre istanze, sia pure importanti e necessarie. Naturalmente si dovranno aiutare i fedeli a non leggere nel testo ciò che è suggerito dalla loro soggettività, ma a partire dalla pagina biblica così come è senza piegarla a interessi precostituiti.

Certamente non è facile in una concreta comunità cristiana, in particolare nella parrocchia, conciliare le due esigenze, cioè quella di una formazione catechetica adeguata e quella di un contatto diretto con i Libri sacri. Ma sono molte e varie le esperienze tentate in questi anni a tale proposito, alcune delle quali particolarmente riuscite e che potrebbero essere suggerite in Sinodo, dando così ai Pastori dei modelli o tipi di intervento che rispondano alle esigenze sopra ricordate.

È perciò molto auspicabile che le domande poste dai Lineamentaalla fine del capitolo II ricevano una grande attenzione da parte dei Pastori e dei responsabili della Pastorale, così da poter essere tradotte in raccomandazioni pressanti fatte dal Sinodo stesso a tutta la Chiesa. A questo proposito vorrei aggiungere sommessamente un voto, che forse è un po’ utopico ma che è comunque significativo: quello cioè che in ogni Messa feriale vi sia una brevissima spiegazione (non più di tre minuti) dei testi biblici della liturgia. L’esperienza dimostra che è possibile in tre minuti dare un input che qualificherà la giornata. Occorre però prepararsi accuratamente, perché altrimenti o si supera il tempo previsto o comunque si dice qualcosa di poco incisivo: per questo mi domando se un tale auspicio sia davvero realistico. Esso dice in ogni caso che occorre non lasciare nulla di intentato perché i fedeli abbiano un vero accesso alla forza e alla pregnanza dei testi sacri.

Meno facile sarà un esame sul tema del capitolo III,cioè sulla Parola di Dio nella missione della Chiesa. Qui il panorama è più vasto e complesso e le iniziative riuscite non sono molte. Mi sembra però che la chiave stia nell’educazione biblica del popolo di Dio, nella sua capacità di pregare a partire dalla Scrittura. Se sarà raggiunto questo traguardo, più facili e spontanee saranno le iniziative di evangelizzazione anche dei lontani e dei non cristiani con l’aiuto dei libri sacri.

Il testo dei Lineamenta sottolinea pure la dimensione ecumenica dell’ascolto della Parola e la sua utilità anche per il dialogo interreligioso, in particolare quello con il popolo ebraico. A questo proposito sono giustamente sottolineati due aspetti: il contributo dell’esegesi ebraica anche contemporanea alla comprensione della Bibbia e il superamento di ogni possibile forma di antisemitismo e antigiudaismo.

In relazione al primo aspetto si era già espresso molto chiaramente il documento della Pontificia Commissione Biblica del 2001, su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana. Essogiungeva ad affermare che «i cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuità con le sacre Scritture ebraiche dell’epoca del secondo Tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente ad essa». Ciò significa fra l’altro che la conoscenza dell’esegesi ebraica contemporanea può aiutare il nostro studio delle Scritture. Ma possiamo cogliere qui anche il secondo aspetto richiamato sopra, cioè il superamento di ogni forma di antisemitismo. Infatti molte volte ho avuto occasione di ripetere che non basta evitare ogni sentimento antisemita. Bisogna giungere ad amare il popolo ebraico con tutte le espressioni della sua vita e cultura: la sua letteratura, la sua arte, il suo folklore, la sua religiosità. Soltanto allora si può giungere a stabilire quei legami che permettono non solo di superare diffidenze e pregiudizi ma di collaborare per il bene comune dell’umanità.

I Lineamenta ricordano anche l’importanza della Scrittura per il dialogo con le altre religioni e come fermento delle moderne culture. Qui l’esperienza non è ancora molto sviluppata, e sarà compito del Sinodo raccogliere e vagliare i tentativi sinora fatti per indicare delle vie accessibili e sicure per la comunità cristiana.

Non resta che concludere indicando il frutto che ci si attende da tutto questo lavoro e che i Lineamenta riassumono così: «In questo modo la Parola che Gesù ha seminato come seme del Regno, fa la sua corsa nella storia degli uomini e quando Gesù tornerà nella gloria risuonerà come invito a partecipare pienamente alla gioia del Regno» (n. 33).



Lunedì, 11 febbraio 2008