Sarò che farete?

di Mario Mariotti

Proviamo a metterci a pensare all’universo. La nostra mente si perde in questa grandezza incommensurabile, negli spazi infiniti, nella ricerca che non avrà mai fine, nella sterminata dimensione di un vuoto e di una materia che ha, essa pure, una forma di vita, ancora in larga parte misteriosa (anche le stelle nascono e muoiono).
Dio, in questo universo di galassie, di stelle, di pianeti, di asteroidi, di energia irradiata e di energia ricevuta, di una materia che va dalla indefinibile grandezza all’infinitamente picco1o, dove potrebbe mai essere? Dove potremmo pensare che sia? Dove potremmo collocare la presenza dello Spirito, dato che la religione parla dell’alto dei cieli, ma noi sappiamo bene che l’alto é relativo e che i cieli, il vuoto e la materia, non possono essere omologati a Dio, che è Spirito, e quindi è altro da questo e quindi è dimensione indefinibile, ma diversa?
Se proviamo ad immaginare a dove potrebbe essere Dio-Spirito, e Spirito come Amore, ci possono venire in mente la mamma che dà la vita alla propria creatura, la cura, la nutre, la difende; e lo stesso fa il padre; poi potremmo pensare al contadino che rende possibile il cibo; a tutti quelli che lavorano per rendere più sicura, meno faticosa e più serena la vita stessa; ai dottori che la difendono, la alleggeriscono dal dolore delle malattie e della vecchiaia; a tutti co1oro che in definitiva, spendono la loro vita per rendere possibile, per difendere, per migliorare, per arricchire di qualità e di senso la vita stessa. La nostra condizione esistenziale di uomini ci trova a definire la nostra esperienza dentro alle due categorie dello spazio e del tempo. Le dimensioni della realtà possono essere altre, o1tre a queste, e noi invece, in un certo senso, siamo ostaggi-prigionieri delle prime due.
Secondo tali categorie, lo spirito è presente ed operativo in noi come luogo, se amiamo e condividiamo, in noi come tempo, quando amiamo e condividiamo. Potremmo allora immaginare lo sterminato universo del vuoto e della materia, poi lo svilupparsi in esso della vita nelle sue più varie forme, dalle più semplici alle più complesse, poi il trasformarsi della vita stessa secondo la dolcezza dell’amore incarnato, per cui lo sbocco dell’evoluzione della materia trasformata in vita dovrebbe essere quello che la Parola definisce Regno, cioè tutto il creato compiuto secondo amore.
Noi, come "Corpus Domini", come mani di Dio, diamo la vita e la completiamo col necessario e la gioia, agli altri viventi; noi, come viventi, siamo destinatari dell’amore che ci nutre di necessario
e di gioia e ci viene dallo Spirito attraverso gli altri viventi. Questa potrebbe essere una visione, un tipo di lettura della realtà che porta un po’ di luce nello sterminato mistero della vita e del senso della vita. Il creato ancora incompiuto; la materia che, secondo intelligenza, si organizza in vita; il Creatore di cui noi siamo strumenti, che si fa spazio e lavora per rendere possibile, per migliorare, per arricchire la qualità della vita. In questa visione, il più probabile luogo e tempo di Dio é l’uomo stesso, il quale si ritrova strumento indispensabile per il passaggio di Dio dalla dimensione inaccessibile della Trascendenza a quella accessibile dell’immanenza, a quella dell’esistenza nella concretezza della nostra esperienza quotidiana.
Noi ci troviamo ad essere cellule del corpo di Dio, ad essere tralci della Vite, ad essere mani di Dio necessarie perché la materia, il mondo si trasformi secondo amore. Dio ama, serve e condivide attraverso di noi. Come i tralci fanno parte della Vite, come essi sono interconnessi con Lei, così noi siamo di Dio, siamo dentro a Dio, senza saperlo. Nel luogo e nel tempo in cui noi amiamo e condividiamo, se e quando lo facciamo, di amare e condividere, lì e in quel momento lo Spirito esiste ed opera. Se noi ci determiniamo secondo noi stessi, accumulando ed usando gli altri per noi, ecco che Dio rimane distrofico e l’uomo sperimenta i frutti maligni dell’assenza dell’Amore incarnato. Proseguendo la riflessione, si può pensare che la Vite sia la continuità, mentre i tralci sono provvisori.
L’Amore resta; noi, strumenti d’amore, cediamo al tempo e ci secchiamo; altri tralci devono scegliere di farsi strumenti di Amore incarnato. L’albero della Vita perde le foglie, ma mette insieme nuove foglioline, e porta cibo, rifugio, ombra e bellezza allo sterminato popolo dei viventi, tutte le oggettivazioni della forza incontenibile del Dio della Vita. Proseguendo la riflessione, si può anche pensare che Dio, Albero della Vita, stia crescendo con noi, che noi e Lui stiamo crescendo insieme. Per me é geniale l’intuizione di quell’uomo che ha formalizzato il proprio pensiero su Dio facendogli dire di Sé stesso: "Sarò che sarò". Dio è al contempo Verità e ricerca della Verità. Se prendiamo esempio da noi stessi, e ci mettiamo a riflettere sulla nostra vita, non ci accorgiamo forse che gli anni, che la vita stessa ci portano ad arricchire la nostra sensibilità, la nostra capacità di capire e di agire di conseguenza, per cui vivere diventa un imparare a vivere, e questo quando non abbiamo come riferimento noi stessi, ma il nostro rapporto con gli altri viventi? Potrebbe essere, questo, il segnale dell’evoluzione di Dio stesso, dato che Lui, per essere sempre più presente ed incisivo fra noi, ha bisogno che noi tessi ci rendiamo più incisivi e coerenti in rapporto all’incarnazione dell’Amore?
"Sarò che sarò" include il significato di: "Sarò come mi farete incarnandomi"? Oppure: "Sarò come io stesso non so ancora", perché la Vita é sequenza, é sviluppo, é ricerca, é eterna conquista aperta agli inesauribili frutti dell’Amore incarnato? Oppure il significato è:" Io resto inaccessibile a voi"?
Che bella esplorazione é questa, e che bello navigare in essa, alla ricerca dell’inesauribile nuovo di Dio… Comunque, non dovremo perderci in essa, anche se é affascinante: la strada maestra é l’incarnazione dell’Amore e della Condivisione da parte di noi stessi in rapporto a tutti i viventi, per togliere sofferenza e portare il necessario e1a gioia. Se il mistero ci rende inaccessibile la Verità, non sarà forse che la Verità non va conosciuta, ma costruita? Cosa succederebbe se, per superare un dolore, ci impegnassimo nella lotta per togliere il dolore dove é possibile e, attraverso lo strumento della ragione, riuscissimo a trovare gli strumenti per fare un futuro senza dolore?
Il fare un futuro senza dolore, senza ingiustizia, senza competizione, senza accumulo, senza violenza, non sarà il dare-trovare il senso del "Sarò che sarò" di Dio, che dialoga con l’uomo perché é nell’intimità profonda dell’uomo stesso?

Mario Mariotti



Venerdì, 18 aprile 2008