La parola ci interpella
La lettura della Bibbia oggi: per rendere biblica l’intera azione pastorale della Chiesa cattolica

di a cura di Ernesto Borghi

Ernesto Borghi è nato a Milano nel 1964, laureato in lettere classiche e dottore di ricerca in teologia, è docente di esegesi biblica al Corso Superiore di Scienze Religiose a Trento, all’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Bolzano, coordina la formazione biblica nella Diocesi di Lugano e presiede l’Associazione Biblica della Svizzera Italiana. È sposato e padre di due bambini nati nel 2001 e nel 2007.

Giuseppe Barbaglio è stato ed è uno dei biblisti professionisti di rilevanza sovranazionale capaci di non reputare tra loro in alternativa il rigore della scienza, la passione per la formazione biblica dei “non addetti ai lavori” e la valenza culminante della lettura della Bibbia nell’approfondimento della relazione tra gli esseri umani e il Padre di tutti. Non è stato certamente il solo, ma ha fornito una luminosissima testimonianza in proposito.

Gli studiosi “torri d’avorio” esistono anche oggi in ogni campo e anche, purtroppo, in quello biblico. Ciononostante non pochi sono anche coloro che cercano, secondo le proprie capacità e prospettive, di collocarsi nel solco tracciato anche da Giuseppe.

Oggi, in presenza di possibilità di analisi delle Scritture ebraiche e cristiane articolate, diffondibili e ricche come forse mai in passato e, contemporaneamente, di limiti e opacità nella considerazione di questa formidabile porzione della cultura universale, le domande che sorgono spontanee possono essere almeno tre: perché leggere la Bibbia oggi? Come leggerla per la cultura e la vita del popolo di Dio? Come rendere biblica l’intera pastorale cattolica? Questioni metodologiche, storiche e latamente esistenziali si intersecano quasi inestricabilmente. Vediamo di dipanarne, brevemente, alcune.

1. Al di là delle unilateralità metodologiche[2]

La lettura di qualsiasi testo, in particolare di ogni testo biblico, a mio avviso, non può che partire, soprattutto oggi, dal presupposto che il processo ermeneutico sia destinato ad un dinamismo infinito, come già l’ermeneutica tardo-antica sottolineava[3]. E chi legge si inserisce in questo fiume interpretativo, se cerca di essere attento a tutti gli elementi che la “lettera del testo” gli offre, così come gli si presenta hic et nunc[4].

Lettrici e lettori devono adattarsi al testo da leggere, siano essi scienziati della lettura biblica o semplici cultori della stessa, nel senso di essere al suo servizio. Ciò significa anzitutto muovere, a mio avviso, secondo tre consapevolezze di carattere metodologico, che nella storia dell’esegesi biblica si sono formate e presentate in alternativa tra loro, ma che oggi possono essere intese probabilmente in forma integrata. Anche in questa sede credo sia utile puntualizzarne i connotati fondamentali.

1.1. L’attenzione diacronica

Questa prospettiva, storicamente più radicata negli ambienti protestanti-riformati, è riassumibile in quello che si denomina metodo storico-critico, che anche tra i cattolici è reputato condizione necessaria per ogni studio serio dei testi biblici[5]. Esso, più propriamente, non è un metodo unificato, ma piuttosto un insieme di metodi, che trovano il loro comune denominatore nell’attenzione alla dimensione diacronica della lettura dei testi.

La dimensione diacronica, cheè preoccupata di risalire ai testi originali tramite ipotesi di ricostruzione testuale da verificare storicamente, è la prospettiva che il “metodo storico-critico” ha posto in essere, da qualche secolo a questa parte. Sono approcci che si collocano “a monte” del testo, ossia verso tutto quanto ha preceduto e accompagnato la sua genesi.

Un numero assai ampio di studiosi concorda oggi abbastanza, mi pare, sia pure con differenze di accenti e di sottolineature da ricercatore a ricercatore, sulle “doti” e sui “difetti” di tale prospettiva di attenzione ai testi biblici. Tra le prime vi sono alcuni dati di fatto:

• evitare la supremazia della dogmatica;

• proteggere la peculiarità della testimonianza biblica rispetto ad altre influenze;

• prendere sul serio il carattere umano della rivelazione;

• mostrare la lunga processualità della tradizione;

• rivelare un’indubbia capacità autocritica sui propri presupposti e metodi;

• stimolare il dibattito in forza della sua precisione investigativa;

• consentire una ricerca ecumenica;

Censurabili sono invece altri aspetti e, segnatamente,

• la difficoltà a chiarire sempre in modo adeguato l’ipoteticità delle scoperte fatte;

• il rischio che chi legge resti uno spettatore esterno circa il contenuto dei testi e la loro valenza teologica ed antropologica;

• la possibilità che egli si rifugi, in modo archeologistico, nel passato per non affrontare l’influenza, sulla cultura e sulla vita contemporanee, di quanto i testi dicono a livello contenutistico e formale[6].

1.2. L’attenzione sincronica

La seconda prospettiva di analisi è detta sincronica giacché conduce a privilegiare il testo che appare, nel suo stadio finale, davanti a chi legge, senza preoccuparsi di andare alla ricerca della stesura originale del testo stesso. Sposano e attuano questa linea di analisi e di interpretazione i metodi letterari di ambito semiotico, narratologico e retorico.

            L’attenzione sincronica rischia di rifiutare la presa di coscienza dei dati forniti da tutte le discipline storiche applicabili, nella loro tensione alla ricerca e storia dei vari strati, fonti e tradizioni che hanno costituito ogni testo biblico.

Rispetto alla prospettiva diacronica, però, può aiutare meglio a comprendere quello che i testi biblici sono dal punto di vista della loro composizione, struttura, realtà formale e contenutistica attuale, cioè così come la tradizione l’ha trasmessa alla nostra contemporaneità.

            In questa prospettiva ogni testo va letto cercando di non «distinguere fra elementi importanti ed elementi secondari, centrali o periferici» di esso. «Qualsiasi ipotesi di lettura si giudica in base alla sua capacità di far emergere, se possibile, l’interconnessione di tutti i dati del testo, secondo un andirivieni continuo tra lo specifico e il globale»[7].

1.3. L’attenzione contestual-esperienziale

Si tratta di approcci che si collocano “a valle” dei testi, ossia si preoccupano di ricontestualizzarli nella contemporaneità odierna per favorire un’appropriazione, personale e collettiva, valida nell’esperienza esistenziale.

Sono piste di lettura dette contestuali ed esperienziali, in quanto considerano i testi come fonti di riflessione, d’ispirazione e di discernimento per l’azione e la vita nell’oggi di lettrici e lettori.

Due filoni molto significativi, tra i tanti indicabili, in cui la dimensione contestuale ha un’importanza fondamentale sono certamente quello femminista, nella molteplicità delle sue accezioni e direttrici, e quello influenzato da vicino dalla teologia della liberazione anzitutto latino-americana[8]:

«Lo scopo dell’interpretazione non è quello di fornire delle informazioni sul passato, ma di illuminare la vita di oggi alla luce della presenza, fra noi, di Dio e del Cristo risorto che

agisce attraverso il suo Spirito. Si tratta di leggere la vita con l’aiuto della Bibbia e di cambiarla»[9].

1.4. Per un’esegesi ed un’ermeneutica integrali[10]

            Cercare di comprendere storicamente i passaggi che hanno condotto alla formazione del passo o del libro che si ha dinanzi agli occhi oggi è importante, anzitutto se non è un processo fine a se stesso.

Diversamente esso fa perdere di vista che quanto interessa è, in definitiva, l’analisi e l’interpretazione dello scritto in esame così come è ora per colui che cerca ora di comprenderlo.

Pertanto una metodologia realistica nell’approccio ai testi biblici non può che essere riccamente articolata. La prospettiva sincronica deve essere, a mio avviso, la “strada maestra” da percorrere. Essa implica una strutturale attenzione al testo in quanto tale nel punto di arrivo della storia della sua tradizione, ossia nella sua effettualità diretta dinanzi al lettore hic et nunc. D’altra parte quella diacronica non va per nulla trascurata in quanto di costruttivo può dare per consentire un accostamento storicamente corretto ai testi anzitutto nell’ambito della critica testuale.

La stessa attenzione esistenziale è un terzo momento imprescindibile, che si sia credenti ebrei e cristiani o diversamente credenti. I testi biblici hanno in sé e propongono, nelle forme più diverse e arricchenti, valori etici ed estetici che possono offrire opportunità di crescita interiore e sociale a chiunque in qualsiasi epoca, come dimostra anche soltanto la storia della cultura occidentale, dal II secolo d.C. in poi.

Un’operazione di accurato discernimento, che faccia interagire le dimensioni sociale ed interiore di chi legge con quanto di vitalmente morale è proposto dalle Scritture, appare del tutto necessaria, se si vuole fruire nella massima ampiezza possibile della positività del confronto culturale che con i testi biblici si può ragionevolmente avere.

Come passato, presente e futuro sono comunque importanti e influenti nella vita di ogni essere umano, così sincronia, diacronia e contestualità esperienziale sono tre prospettive che possono aiutare molto ad essere attenti alle domande che il testo richiede o sostiene.

Il carattere fondamentalmente storico dei testi biblici esige di certo una lettura interessata alla storia; ma non esclusivamente[11] pena un irrigidimento anche interpretativo che rischia di allontanare dai testi e non di avvicinare ad essi.

Sempre nella consapevolezza che «un’esegesi, diacronica o sincronica, vale anzitutto per quel che di oggettivo scopre nel testo biblico, poi può rivelarsi utile per le ipotesi di lavoro che apre e infine non si rivela dannosa solo quando è in grado di migliorarsi e di svilupparsi anche nel suo impianto metodologico»[12].

L’esito di queste considerazione è una considerazione globale. Le due domande fondamentali che occorre rivolgere ad un testo biblico, allorché ci si accinga a leggerlo in una prospettiva esegetica “integrale” sono: che cosa ha voluto dire tale testo nell’epoca in cui esso è stato scritto e nei contesti letterari e storici in cui è stato redatto? Che cosa può dire tale testo alla vita mia e dei miei contemporanei in Occidente?

Compiere entrambe le tappe delineate da questi interrogativi è indispensabile così come disporre di qualche semplice strumento intellettuale per viverle ambedue. Comunque al di fuori dallq consuetudine, ancora oggi ampiamente invalsa, di dedicare molto o moltissimo spazio alla presentazione delle interpretazioni e delle ipotesi di lettura e di analisi, formulate nel passato lontano o recente, sui brani di cui ci si intende occupare.

Ritengo, infatti, che oggi l’esegeta biblico, come e più di qualsiasi altro studioso ed intellettuale, debba cercare di offrire alla propria contemporaneità occasioni di riflessione e spunti di elaborazione culturale utili per la vita interiore e sociale di chiunque creda, quale che sia la sua formazione, all’esigenza di provare a vivere in libertà e con senso di responsabilità.

Non esiste l’attività scientifica da una parte e quella divulgativo-culturale dall’altra. Vi sono certamente vari livelli di complessità e di analiticità nel lavoro dell’esegeta, così come in quello di qualsiasi scienziato, ma le soluzioni di continuità tra scienza e divulgazione appaiono troppo spesso, soprattutto tra chi si occupa di discipline umanistiche, piuttosto delle ammissioni, magari indirette, del proprio disinteresse verso le condizioni formative ed informative dei contemporanei o della propria incapacità di mediazione culturale.

D’altra parte, in un’epoca come la nostra, contraddistinta da un confronto ed un rapporto interreligioso ed interculturale senza precedenti, caratterizzato da luci ed ombre egualmente significative, chiunque sia professionalmente dedito allo studio e alla presentazione informativa e formativa delle fonti cristiane e, in particolare, dei testi biblici, deve, come parte fondamentale della propria attività di scienziato e se crede alla formatività radicalmente umanistica dei terreni che percorre da studioso, preoccuparsi di individuare le modalità per rendere fruibile, ai propri contemporanei, quanto di profondamente umanizzante i testi biblici contengono.

Senza pretese di esaustività né di direttività intellettuale. Badando ad evitare qualsiasi moralismo, ma tentando di far notare quale sia la ricca, realistica ed entusiasmante antropologia che dalla Bibbia promana, nell’interesse di un confronto culturale libero e responsabile tra sedicenti credenti e sedicenti non credenti. Giuseppe Barbaglio ha dimostrato ampiamente tutto ciò, mi pare, ad esempio attraverso la sua straordinaria attenzione alle figure storiche e alle convinzioni ideali di Gesù di Nazareth e di Paolo di Tarso, alla ricerca di una giustizia che dalle parole e dalle azioni del Dio di Gesù Cristo presentate nel Nuovo Testamento intenda intridere esistenzialmente le relazioni tra tutti coloro che abitano questo inizio di XXI secolo.

1.5. Per un’esegesi ed un’ermeneutica bibliche nella fede cristiana

D’altra parte non può esistere un’esegesi biblica che, volendo realmente fare i conti, in modo integrale, con il senso del testo, non debba essere teologica[13], dunque aperta alla riflessione sul Dio del patto sinaitico e di Gesù Cristo. E non solo su questo, ma anche sull’influenza di essa nella storia della cultura anzitutto euro-occidentale e delle esistenze di coloro che, nei millenni sino ad oggi, si sono sentiti interpellati dal messaggio teologico della Bibbia.

Non è la Bibbia a dover essere letta a partire da testi catechistici e compendi della fede cristiana. Semmai deve avvenire il contrario: occorre leggere questi ultimi chiedendosi se sono effettivamente fedeli espressioni, nelle e per le loro epoche di redazione, del messaggio etico-religioso espresso dai corpora scritturistici ebraico e cristiano. E «il testo biblico in cui si è originariamente configurata l’esperienza di fede, è la condizione di possibilità del sapere teologico. La teologia sistematica non ritrascrive su un registro speculativo i risultati dell’esegesi biblica, ma giustifica l’ermeneutica del testo biblico come l’articolazione originaria e intrascendibile del discorso teologico»[14].

La fede attuale della Chiesa di Gesù Cristo, nelle sue varie articolazioni confessionali, non può avere alcun interesse legittimo nel “corrompere” i testi biblici a fini strumentali di maggiore o minore transitorietà.

D’altra parte neppure le Scritture ebraiche e cristiane debbono la loro integrità critica a letture esegetico-ermeneutiche che le sottraggano al loro valore originario per la fede cristiana: «la manipolazione dogmatica e la censura razionalistica non corrispondono ad alcuna necessità, nè teologale né critica, perché “mancano” rispettivamente l’intenzione della fede e l’obiettività del testo»[15].

Se i testi biblici sono studiati in una Facoltà di teologia confessionale o in altro ambiente sempre strettamente legato alla tradizione cristiana (parrocchia, comunità religiosa, movimento, ecc.) , sia pure con modalità diverse, essi devono essere analizzati ed interpretati, comunque, con strumenti “non confessionali” che possono garantire un dialogo con altre discipline scientifiche o altri punti di vista.

E passando dal contesto della riflessione scientifica a quello della vita di fede contemporanea del “popolo di Dio”, questo contatto diretto con il testo stesso, anche se non è un obbligo intrinseco per essere cristiani, è nondimeno imprescindibile in un’azione pastorale, dunque esistenziale che intenda abilitare tutte le componenti ecclesiali, tutte le persone, quale che sia il loro stato di vita, a vivere nella fede, ad immagine e somiglianza di quanto compiuto, per esempio, da Gesù nella sua conversazione con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13ss).

In altre parole la competenza cristiana, ossia il desiderio intimo ed esplicito di provare ad essere cristiani, è intimamente legata alla competenza di lettura della Bibbia, quindi alla volontà di confrontarsi con i testi biblici e all’effettiva possibilità culturale di vivere tale confronto.

Esso sarà anche occasione di dialogo effettivo con altri esseri umani se si eviterà un atteggiamento anche oggi non infrequente:

«finché io sembrerò “avere” la verità che testimonio, l’altro rifuterà di ascoltarmi. Le formule che proporrò si urteranno con le formule che l’altro possiede. Se, al contrario, so rinunciare alle mie formule per manifestare la nudità del mio spirito davanti al mistero, allora è probabile che mio fratello lascerà cadere gli orpelli con cui rivestiva la sua verità»[16].

La Bibbia come Parola di Dio appare l’unica voce davvero in grado di parlare del Dio del Sinai e di Gesù Cristo anche alle donne e agli uomini del XXI secolo, al di là di tutte le rivelazioni surrettizie, un po’ magiche e un po’ reliquiarie, anche oggi ben presenti[17].

2. Per rendere effettivamente biblica la pastorale della Chiesa cattolica: nuove opportunità formative

La Bibbia è la fonte primaria di riferimento per la vita di ebrei e cristiani e una delle radici essenziali della cultura dell’Occidente. Questi sono dei dati di fatto generalmente compresi? Sì e no, perché, purtroppo, molte persone, a vari livelli ecclesiastici e sociali, non ne sembrano ancora coscienti. Il Sinodo dei Vescovi cattolici del prossimo ottobre avrà l’auspicabile funzione di individuare le strategie per accrescere sensibilmente tale consapevolezza, del tutto necessaria, ma, per ora, palesemente lacunosa ed insufficiente.

Non pare che la Bibbia costituisca ancora il punto di riferimento centrale nella pianificazione pastorale e nelle proposte formative a tutti i livelli culturali ed anagrafici del popolo di Dio, anzitutto nel cattolicesimo proprio dei Paesi neo-latini. Forse questi limiti sarebbero avviati a superamento, se anzitutto la globalità dei vescovi sapesse sposare, nella mentalità individuale e nella prassi pastorale, affermazioni decisive come questa:

«(La Bibbia) in quanto norma insuperabile per la chiesa, l’annuncio e la fede ecclesiale, rappresenta il criterio fondamentale e decisivo per tutte le altre istanze di testimonianza e queste istanze – la Tradizione, il senso della fede di tutti i credenti, il magistero ecclesiale e la teologia scientifica – non sono da vedere isolate, ma devono essere colte nella loro relazione con la Scrittura e tra di loro»[18]

Appare ancora troppo frequente la condizione di vescovi e presbiteri che mostrano, nei fatti, di non credere alla centralità delle sacre Scritture nell’impostazione e nella conduzione dell’azione pastorale ordinaria nelle loro diocesi o parrocchie o gruppi ecclesiali.

Questo fatto dipende certamente da molte ragioni, tra le quali la già menzionata formazione della maggioranza dei vescovi, in particolare in Italia, spesso in grado di cogliere la bellezza ed efficacia di una conferenza o di una lectio, ma poco inclini ad impostare l’intera azione del loro ministero e del loro magistero davvero a partire dalla Parola di Dio e sulla base di essa.

Secoli di formazione cristiana hanno conferito una rilevanza suprema, perlomeno a titolo disciplinare e prescrittivo, alle celebrazioni sacramentali. Le devozioni popolari, anche molte di quelle più riconducibili ad un paganesimo travestito da cristianesimo, non sono state spesso sufficientemente ridimensionate neppure agli occhi delle generazioni più giovani. I testi e corpora biblici restano ancora secondari nella formazione cristiana diffusa o, comunque, non all’altezza della loro importanza strutturale rispetto alla fede e vita cristiane sin dalle origini.

Due esempi sono eloquenti per certificare quanto sto dicendo.

• Vi sono ambienti ecclesiali in cui si considerano, con maggiore rispetto e considerazione, gli scritti di questo o quel fondatore di gruppi o movimenti piuttosto che i testi biblici e la libertà spirituale che consegue da una loro matura e seria lettura. Sarebbe molto interessante, per esempio, esaminare i progetti formativi e la prassi di vita di gruppi, movimenti e congregazioni che si sono affacciate all’attenzione ecclesiale, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ossia da quando nella Chiesa cattolica la considerazione della Bibbia ha assunto connotati di serietà scientifica ineguagliabili rispetto al passato.

Tale analisi andrebbe condotta a partire dal seguente interrogativo: l’attenzione intelligente ed appassionata delle sacre Scritture ebraiche e cristiane è al centro dei progetti, delle iniziative, insomma dell’esistenza di questa collettività ecclesiale? E quando parlo di centralità, non mi riferisco all’utilizzazione della Bibbia come un prontuario di istruzioni prescrittive e precettistiche, a partire da una concezione anacronisticamente rigida del magistero ecclesiastico, ma ad un ascolto delle Scritture che sia una vera e propria scuola di libertà interiore e sociale per tutti, dagli esiti delle scienze bibliche alla vita quotidiana.

• Ancora oggi si usano espressioni del tutto improprie come “catechesi biblica” o “gruppo biblico” nella pastorale ordinaria di parrocchie e istituzioni ecclesiastiche varie, come se si potessero tenere incontri di catechesi che non siano radicalmente fondati su testi biblici o fosse legittimo considerare l’attenzione alla Bibbia come uno tra i vari ambiti dell’azione pastorale e non come la fonte d’ispirazione e di discernimento decisiva di essa.

D’altra parte le energie economiche e umane che le Chiese, in particolare quella cattolica, dedicano allo studio e alla divulgazione seria della Bibbia sono certamente inadeguate. Ancora oggi pochissimi di coloro che si dedicano professionalmente a questo campo sono laiche e laici che vivano confortevolmente, insieme alle loro famiglie, di questo lavoro.

Favorire in larga scala la presenza di non presbiteri realmente preparati tra gli studiosi della Bibbia consentirebbe un’osmosi sempre più ricca tra la ricerca scientifica in campo biblico e teologico e la vita quotidiana della società umana nel suo complesso. Ciò non sarebbe in sé un antidoto bastevole all’erudizione inconcludente, che chiunque può realizzare. Tuttavia si contribuirebbe ad incrementare notevolmente, in quantità e qualità, i canali di interazione tra la Bibbia e la cultura contemporanea.

Mi limito ad una proposta concernente l’Italia, che, in proposito, è uno dei Paesi più evidentemente arretrati. Si immagini, per esempio, che l’8% di quanto la Conferenza Episcopale Italiana introita annualmente dalla voce “otto per mille” della dichiarazione dei redditi dei cittadini italiani (ottanta milioni di euro rispetto al miliardo circa complessivo) venisse destinato ad un progetto effettivamente culturale: finanziare stabilmente l’assunzione, a tempo indeterminato, di mille persone, a cui proporre, nelle singole diocesi e in base alle loro competenze ed inclinazioni, incarichi formativi da svolgere dalle istituzioni accademiche all’attività pastorale e viceversa.

Sarebbe una sorta di “rivoluzione copernicana”, una scelta della Chiesa cattolica italiana capace, tra l’altro, di valorizzare realmente una parte significativa del laicato. Dopo tante parole astratte e tanti progettini di incidenza assolutamente ridotta, si passerebbe finalmente a prospettive tanto concrete quanto influenti. A queste semplici e fattive condizioni, la conoscenza culturale ed esistenziale dei testi biblici, in una prospettiva di umanizzazione spirituale decisiva, nell’arco di pochi anni, farebbe un enorme salto di qualità. Ciò favorirebbe sensibilmente il ritorno di tante persone alle radici autentiche della fede cristiana, per il bene complessivo della Chiesa e della società civile nel suo complesso.

Indubbiamente – per rifarci alla situazione ecclesiale in Svizzera, Germania e Austria negli ultimi vent’anni – taluni “assistenti pastorali” hanno gravemente disatteso il ruolo formativo e testimoniale che avrebbero dovuto svolgere nella vita delle comunità locali. Ciononostante se la Chiesa cattolica vuole vivere realmente lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II, non può che mettere in atto - anche nelle aree di lingua madre neo-latina attraverso l’apporto di figure professionali analoghe a quelle appena menzionate - progetti e strategie utili a moltiplicare le occasioni in cui il “popolo di Dio” confronta menti e cuori con la Parola del Signore, molto più organicamente di quanto avviene oggi.

Mons. John Onayekan, il 15 settembre 2005, durante il suo intervento intitolato “Da Dei Verbum a Novo Millennio Ineunte” al Congresso della Federazione Biblica Cattolica Mondiale a Roma, disse: «occorre fornire agli esegeti anche le risorse materiali per poter lavorare serenamente». E occorre dare spazio crescente, nelle istituzioni accademiche e pastorali ecclesiali, a donne e uomini ricchi di creatività, competenza scientifica, passione per l’umanità di tutti e spirito di libertà, senza “avere paura” della nuova complessità di rapporti che ne potrebbe scaturire all’interno e all’esterno della Chiesa.

 

3. Bibbia e società civile

In una società che intenda combattere l’ignoranza, la superficialità spirituale e la marginalità sociale, ovunque esse si manifestino, la lettura e formazione bibliche dovrebbero trovare grandi spazi anche al di fuori dagli ambienti ecclesiali.

Oggi si parla a proposito e, non di rado, a sproposito delle radici dell’identità culturale dell’Occidente. Chi vuole riflettere seriamente in merito non può che riconoscere l’importanza essenziale della Bibbia anche in questo contesto. Far emergere gli aspetti interiormente e socialmente più costruttivi della cultura occidentale può essere un viatico davvero importante sulla strada di un confronto sempre più urgente con ispirazioni e mondi culturali extra-occidentali, nell’interesse della libera e pacifica convivenza sia a livello planetario che locale.

Appare molto grave, per esempio, il fatto che, in vari sistemi scolastici pubblici europei, lo studio dei classici della letteratura non contempli l’attenzione alle Scritture bibliche secondo pari dignità rispetto ad altri “monumenti” della letteratura antica, medioevale, moderna e contemporanea. Ci si limita a sostenere, più o meno esplicitamente, che gli insegnamenti scolastici di cultura religiosa, quando esistano, già se ne occupano.

Chi lo afferma, mostra di non rendersi conto che la Bibbia, in virtù anzitutto della sua incidenza storica nel tessuto letterario, architettonico, filosofico, scultoreo e pittorico plurimillenario dell’Occidente, non può né deve essere terreno d’analisi esclusivo dei credenti cristiani, in particolare nell’ambito formativo pubblico. Proporre la dimensione religiosa della cultura appare assai importante e la disciplina scolastica relativa deve diventare obbligatoria per tutti, a mio avviso, come qualsiasi altra materia principale, nell’interesse della crescita interiore e sociale di tutti. Il confronto con la Bibbia, però, deve essere condotto nell’ambito di altre discipline scolastiche, al di fuori di qualsiasi idea di esclusione o di obsoleto confinamento, figlia di un passato certamente da non rimpiangere.

Analogo discorso vale per gli ambiti universitari: il fatto che le cattedre relative allo studio del Primo e del Nuovo Testamento siano numericamente assai esigue in tante istituzioni accademiche non ecclesiastiche è un altro segno indiscutibile di un disinteresse culturalmente assurdo in particolare nella società multiculturale odierna.

Enorme è il contributo etico ed estetico che le Scritture ebraiche e cristiane possono dare all’esistenza contemporanea e ad una salvaguardia dell’umanesimo più dinamico ed intelligente. Ovviamente se questi terreni non sono adeguatamente investigati sotto il profilo scientifico e seriamente presentati a livello divulgativo, tale apporto risulta difficilmente fruibile. E in un’epoca come la nostra, ricchissima di opportunità e stimoli informativi e formativi, ma anche, di settarismi e integralismi di ogni genere e di una superficialità culturale preoccupante, non avvalersi, in tutta libertà e responsabilità, di quello che la Bibbia può offrire di umanizzante ad alto e concreto livello, è davvero desolante.

Il rapporto dell’individuo con se stesso, quello tra l’uomo e la donna, la relazione degli esseri umani con la natura, il valore del lavoro nella vita umana: questi sono quattro ambiti fondamentali dell’esistenza dell’umanità e del mondo nei quali e sui quali i testi biblici hanno molto da dire nell’interesse della ricerca della felicità di tutti con tutti per tutti. Chi oggi può legittimamente sostenere il contrario, volendo promuovere il ben comune delle società umane?

Ovviamente se le istituzioni accademiche non ecclesiastiche pensano soltanto a sviluppare i settori che appaiono immediatamente spendibili nella materialità della vita, in forza dello strapotere dell’economia e del denaro su tutto e tutti, e le istituzioni ecclesiastiche paragonabili non fanno scelte sostanzialmente diverse da queste, un discorso di ampio respiro umanistico non avrà alcun diritto di cittadinanza.

E i costi sociali di certe scelte formativamente miopi sono già oggi evidentissimi a chiunque percepisca la mancanza di speranza per il futuro, che sono riscontrabili nella vita di larghe porzioni dell’umanità, anche giovanile, e la deprimente infelicità che contrassegna l’esistenza di un numero crescente di abitanti del cosiddetto “Primo Mondo”, che vanno spesso alla ricerca di alienazioni esistenziali distruttive, magari perché le radici umanizzanti della cultura di tutti non sono adeguatamente valorizzate.

4. Leggere la Bibbia oggi per l’umanità di tutti

            Dopo millenni di rapporti con le sacre Scritture ebraiche e cristiane la nostra contemporaneità, se è consapevole del tesoro di cui dispone, deve poter rielaborare contenuti e forme che la lettura biblica ha consegnato attraverso secoli e secoli di studio, di culto e di formazione di centinaia di generazioni umane. E lo deve fare, ad un tempo, con rigorosa fedeltà metodologica e acuta attenzione alle istanze più profonde della società di oggi.

            Leggere la Bibbia è una scuola di libertà, dunque di stimolo alle capacità umane di discernimento interiore e sociale profondo, ma non pretenzioso, appassionato, ma non emotivo. Ciò può avvenire, a mio avviso, solo se i testi primo e neo-testamentari sono considerati nella loro storicità, nella loro ermeneuticità, nella loro fontalità originaria per la fede, dunque la vita cristiana.

            Primo e Nuovo Testamento, complessivamente intesi, propongono un’idea di essere umano in cui intelletto e cuore, razionalità ed emotività sono chiamati ad integrazione ed unificazione al servizio della solidarietà interumana fatta di amore concreto e quotidiano per i propri simili. Il tutto in una logica di dialogo tra ispirazioni culturali diverse, che abbiano i diritti e i doveri personali e sociali dell’individuo al centro della loro attenzione.

            Come si vede, si tratta sempre di un discorso radicalmente formativo al servizio dell’essere umano e delle sue possibilità di essere felice e sensato anzitutto nella dimensione terrena della sua vita. Badando a evitare non gli approfondimenti scientifici sempre auspicabili, ma gli accademismi inutili e gli accessi di arroganza e di ignoranza ecclesiastica che ancora sono un rilevante ostacolo sulla strada di una diffusione davvero capillare, seria ed esistenziale della conoscenza delle Scritture.

La lettura tenace, appassionata e lucida della Bibbia è una strada importante in questa direzione, da percorrere in una chiave ecumenica che valorizzi armonicamente le diversità secondo umiltà e effettivo senso di responsabilità, nella Chiesa, a cominciare dalla confessione cristiano-cattolica, e nella società civile italiana, europea e mondiale di oggi e di domani. Il Sinodo dei Vescovi del prossimo ottobre ha di fronte delle sfide importanti. I padri sinodali sapranno raccoglierle positivamente? Che ciò avvenga è un fervido auspicio, una vivissima speranza, un’intensissima preghiera. Non c’è tempo da perdere… Ne va della serietà dell’evangelizzazione, dell’effettualità degli studi biblici e della crescita sociale e interiore dell’umanità…

Ernesto Borghi



[2] Per ulteriori approfondimenti si veda E. Borghi, Il Tesoro della Parola, Borla, Roma 2008, passim.

[3] Gregorio Magno in P.C. Bori, L’interpretazione infinita, Il Mulino, Bologna 1987, p. 31.

 

[4] «Chi s’impegna in un atto di lettura, in un’analisi, si serve di strumenti d’interpretazione in funzione dello sguardo che egli getta sul testo che legge. L’approccio testuale o il metodo seguito è qualcosa di più di un procedimento da realizzare o di una serie di tappe da percorrere… Colui che legge adatta il suo procedimento in relazione al testo che percorre e si sforza di rispettarlo così come gli si presenta. Tuttavia ciascuno percepisce a modo suo le rotture del testo, le sue digressioni e, in funzione della propria comprensione del testo, egli si costruisce lo strumento che gli permette di condurre la sua lettura. Ogni metodo non è un procedimento fisso, ma una guida che permette di percorrere un tratto di cammino e che deve restare abbastanza flessibile e adattabile per dare la possibilità di passare da una tappa all’altra della lettura del testo» (C. Coulot in Exégèse et herméneutique. Comment lire la Bible?, Cerf, Paris 1994, pp. 9-10).

[5] Alcuni anni prima un esegeta famoso quale lo statunitense Raymond E. Brown, che ho già ripetutamente citato, scriveva: «l’approccio critico alla Bibbia non è una scelta ma una necessità, e il suo apporto è “critico”, ossia cruciale, per i cristiani, la Chiesa e le Chiese» (Croire en la Bible à l’heure de l’exégèse, tr. fr., Cerf, Paris 2002, pp. 10-11 – l’originale inglese è del 1981).

[6] «L’uso classico del metodo storico-critico rivela certi limiti, poiché si restringe alla ricerca del senso del testo biblico nelle circostanze storiche della sua produzione e non si interessa alle altre potenzialità di significato che si sono manifestate nel corso delle epoche posteriori della rivelazione biblica e della storia della Chiesa...»;d’altro canto «bisogna evitare che alla tendenza storicizzante che si rimproverava all’antica esegesi storica-critica succeda l’eccesso inverso, la dimenticanza della storia, da parte di un’esegesi esclusivamente sincronica... In definitiva, lo scopo del metodo storico-critico è quello di mettere in luce, in modo soprattutto diacronico, il senso espresso dagli autori e redattori. Con l’aiuto di altri metodi ed approcci, esso apre al lettore moderno l’accesso al significato del testo della Bibbia, così come l’abbiamo» (IBC, pp. 35-36). Circa l’importanza basilare e i limiti del “metodo storico-critico” è apprezzabile, anche per il tono propositivo, il contributo di J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, tr. it., Rizzoli, Milano 2006, pp. 12-17.

[7] J. Delorme, sémiotique, in Dictionnaire de la Bible. Supplément, a cura di H. Cazelles - A. Feuillet, 67, Léthouzey&Ané, Paris 1992, col. 296.

[8] Cfr., per es., Aa.Vv., Ermeneutica latino-americana, in Nuovo Commentario Biblico. I Vangeli, a cura di A.J. Levoratti, tr. it., Borla-Città Nuova, Roma 2005, pp. 37-53.

[9] C. Mesters in Les Actes des Apôtres, éd. M. Berder, Cerf, Paris 2003, p. 242.

[10] Si veda anche E. Borghi, La giustizia per tutti. Lettura esegetico-ermeneutica del Discorso della Montagna, Claudiana, Torino 2007, pp. 14-15.

[11] Cfr. D. Marguerat-Y. Bourquin, Per leggere i racconti biblici, tr. it., Borla, Roma 2001, p. 15.

[12] G. Rizzi, Le Scritture tra metodi storico-critici moderni e principi ermeneutici fondamentali nel giudaismo e nel cristianesimo, in “Rivista Biblica Italiana” XLVI (3/1998), 181.

[13] «Il senso delle scritture è perfettamente raggiunto proprio quando la fede, che tutt’ora vive sul fondamento e negli effetti del medesimo evento rivelatore, riconosce anche analiticamente di sapere la stessa cosa a riguardo della quale le scritture attestano» (P. Sequeri, la struttura testimoniale delle scritture sacre: teologia del testo, in Aa.Vv., La rivelazione attestata. La Bibbia fra testo e teologia, Glossa, Milano 1998, p. 24).

[14] A. Bertuletti, Esegesi biblica e teologia sistematica, in ibidem, p. 157.

[15] P. Sequeri, la struttura testimoniale delle scritture sacre: teologia del testo, p. 24.

[16] X. Léon-Dufour, Un biblista cerca Dio, tr. it., EDB, Bologna 2006, pp. 50-51. «L’incontro avverrà nella sincerità. Altrimenti questo dialogo sarà stato soltanto il tintinnio di due armature; non sarà stato il corpo a corpo di Giacobbe con l’angelo. Perché bisogna sempre ritornarci. L’esistenza in società è la lotta con l’angelo al guado dello Jabboq» (ibidem, p. 51).

[17] «La Parola di Dio… è lo specchio di Dio, non solo dell’uomo. Per questo è una Parola sempre nuova, che non stanca mai, perché il suo orizzonte non è mai esaurito. Parola che affascina, capace di aiutarci ad intravedere non soltanto la volontà di Dio, ma anche la bellezza di Dio. E questo è ciò che conta. Se si vuol crescere nella fede e nella comprensione di sé non si può che partire dalla Parola» (B. Maggioni, Attraverso la Bibbia, Cittadella, Assisi 2003, p. 168).

[18] Gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza Episcopale Tedesca e della direzione della Chiesa Evangelica Luterana Unita di Germania, Communio Sanctorum. La chiesa come comunione di santi, tr. it., a cura di A. Maffeis, Morcelliana, Brescia 2003, p. 139.

Articolo tratto da:

FORUM (113) Koinonia

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Sabato, 01 novembre 2008