L’assurdo, la colpa, il potere…

di Mario Mariotti

A me sembra di incominciare a capire il perché dell’episodio di Abramo nell’A.T. Ecco l’ipotesi: se Dio ci chiede cose assurde ed impossibili, (c’è qualcuno che ci racconta che Dio può chiedere cose assurde ed impossibili), come quella di sgozzare nostro figlio, noi non ubbidiamo. Il male, allora, che poi, strutturalmente, durante la nostra vita ci piove addosso, noi non lo imputiamo all’assurdità della richiesta, ma al nostro rifiuto di esecuzione della volontà di Dio.
Abramo, invece, raccontano i presunti testimoni, era pronto ad ubbidire, allora Dio si è accontentato del sangue di un innocente montone; e Abramo è diventato il padre, il paradigma della fede, che potrebbe comportare l’ubbidienza a cose assurde ed impossibili. Queste cose assurde, invece, vengono proposte non da Dio che ci ama, ma dalla casta sacerdotale che ci usa. Noi ci troviamo addosso il senso di colpa perché non abbiamo ubbidito a Dio, la stessa casta che ha il rimedio per spegnere il nostro senso di colpa: l’uso degli infiniti meriti dell’agnello per cancellare, con i sacramenti, il nostro peccato.
Così si passa dal male imposto da noi ai fratelli, al peccato contro l’Onnipotente, cui la casta può rimediare. Ecco, in sintesi, il meccanismo della nascita della religione, e la radice del potere dei sacerdoti, che conoscono Dio meglio di Lui stesso, che sanno interpretare la Sua volontà meglio di Lui stesso, che ricevono da Lui il compito di scegliere chi va salvato e chi va dannato, perché Egli stesso è in altre faccende affaccendato (vedi Leggenda del grande Inquisitore - Fratelli Caramazov - Dostoevskij).
Ecco un episodio fondamentale dell’A.T. che non corrisponde alla Verità, ma all’esigenza degli uomini di istaurare il rapporto fra loro e il Creatore in termini religiosi. L’uomo non ha il coraggio di imputare a Dio il negativo della creazione perché Lo teme, quindi imputa alla propria disubbidienza a Dio la causa del negativo che lo colpisce. A ripristinare la benevolenza di Dio ci pensa la casta, che lo conosce e sa come fare.
Evviva la casta! Se uno comincia ad aprire i fanali, si accorge che anche nel Vangelo ci sono episodi e messaggi che possono essere sospettati di essere stati costruiti, a causa degli occhiali religiosi che se ne stavano ben stretti sul naso delle prime comunità cristiane e degli evangelisti che le raccontavano.
Prendiamo l’annuncio dell’Angelo a Maria. L’Angelo non riporta sicuramente il pensiero di Dio, dato che Colui che nascerà da Maria, non é il Gesù che conosceremo in seguito, ma viene caratterizzato in modo da corrispondere esattamente alle aspettative della cultura religiosa degli Ebrei di quel tempo, che aspettavano un Messia, cioè un leader politico-religioso che avrebbe risolto tutti i problemi del popolo eletto.
Prendiamo l’episodio in cui il Signore affida a Pietro le chiavi del Regno. Ritenendo io questa cosa assurda, ed anche maligna per gli esiti storici che ha avuto, secondo me è più probabile che l’episodio sia stato creato per mettere in bocca al Signore l’investitura di Pietro come leader, in un gruppo di aspiranti a tale ruolo in litigio fra loro.
In altre occasioni i Dodici avevano disputato su chi fosse il primo fra loro, dimostrando di non avere ancora capito niente. Forse l’episodio è stato proposto per troncare quel tipo di dispute. Nell’episodio della vedova e del tesoro del Tempio, in bocca al Signore viene messo un elogio per un comportamento assurdo, il povero che si svena per il ricco per fare cosa gradita a Dio, mentre Lui era sicuramente indignato e avrebbe ripetuto gli stessi termini che conosciamo contro i mercanti del Tempio. Forse quella prima comunità cristiana voleva stimolare i neofiti ad essere generosi, oppure aveva già contratto il virus che era endemico nella casta sacerdotale degli scribi e farisei, cioè voleva accumulare.
E che dire del “chiedete e vi sarà dato”; del “bussate e vi sarà aperto?”. Tutti gli errori della storia dell’umanità attestano la non-corrispondenza di questa Parola con la realtà. Probabilmente già fra i primi cristiani si era già verificata la divisione fra i laici e la casta, e quest’ultima si imponeva come l’esperta del pensiero e della volontà di Dio, e si specializzava nel deresponsabilizzare i fedeli invitandoli a pregare Dio perché facesse Lui quello che dovevano fare loro, cioè amare e condividere.
Secondo il mio parere, se uno conoscesse bene il Vangelo troverebbe altri episodi che possono indurre a dubitare sulla veridicità degli stessi, e sulle parole che vengono attribuite al Signore e che si contraddicono fra loro, come l’uso dei termini di servo e di figlio usati in occasioni diverse. Tutto questo significa che la Parola non va mai presa alla lettera, ma solo in Spirito.
Voglio terminare con un altro episodio significativo in rapporto a questa tesi, quello del Monte Tabor. Per quello che so io, sia Elia che Mosè erano dei leader politico-religiosi che avevano contribuito in modo determinante alle fortune del popolo eletto, e questo, a danno dei nemici, e con l’uso della violenza. Bene, per me Mosè ed Elia non sono neppure lontani parenti del mite e non-violento Gesù, e lontani anni luce dal Suo messaggio sulla gratuità dell’amore del Padre, che si riversa non sugli eletti, ma su ogni creatura, anche la più piccola e insignificante. L’episodio, per me, serve per nascondere la incompatibilità fra religione e Incarnazione, serve a dimostrare continuità fra quelli che in realtà sono gli opposti, serve a riportare il messaggio dirompente di Gesù, paradigma di laicità fraterna e solidale, nella logica religiosa prevalente nell’A.T., logica dell’Alleanza fra Dio e i suoi eletti, rappresentati da Elia e Mosè.
È anche significativo quello che propone Pietro: “..stiamo insieme, piantiamo tre tende..” Antico e Nuovo Testamento, sul Tabor delle regge vaticane, dei palazzi vescovili, dei monasteri, nella pace tranquilla dei nostri privilegi, ottenuti anche dai vari concordati con tutti i regimi, e lasciamo agli altri l’impegno della Incarnazione.
Rispediamo il Signore nell’alto dei cieli e convinciamo il prossimo che noi ne abbiamo le chiavi. Quello che al Signore è costato lo strazio dell’assassinio sulla croce, noi lo traduciamo in prestigio, potere e benessere economico. Chi ce lo fa fare di scendere dal Monte Tabor, visto il grado significativo di alienazione delle pecore fedeli e credenti?
Secondo voi cari lettori sono molto lontano dalla realtà?

Mario Mariotti



Lunedì, 13 ottobre 2008