FORUM Koinonia - Possibili scenari per i nostri incontri
UN DIO CONTROVERSO: per una teologia del Mediterraneo

di A.B.Simoni

A VOI LA PAROLA…

Perché questo tema per i nostri incontri 2008-09, e cosa sta a significare? La risposta è nel cammino fatto e nella prospettiva che si apre. Una prima attenzione a questo problema era già presente - il 30 settembre 2007 - nelle considerazioni introduttive degli incontri 2007-08, che a loro volta nascevano da una riflessione condivisa nell’aprile con amici di Banchette-Ivrea, imperniata sulla domanda: “E se fossimo i primi cristiani?”.
Ne è nato il desiderio e il tentativo di essere cristiani prima di tutto “secondo verità” - e cioè nel suo significato intrinseco e personale - e non solo secondo tradizioni, convenzioni, pratiche religiose, appartenenze, mobilitazioni, moralismi, psicologismi ed estetismi vari. Si è cristiani in quanto Cristo vuol rendere tutti adoratori del Padre in spirito e verità (cfr Gv 4,22-24), vuole farci essere uomini alla sua maniera. Condividere con lui questa tensione orienta a Dio o al suo Regno, per essere adoratori in modo nuovo, non in questo o in quel luogo, ma là dove egli guarda ed è: nel segreto e dentro di noi! E questo vale - stando al testo di Giovanni - per chi lo conosce e per chi non lo conosce.
Incrociare in seguito “Se questo è un Dio” di Raniero La Valle ha dato un respiro storico e culturale a questa istanza biblica, fino a poter dire - forse per eccesso - che tutte le questioni umane più vitali e comuni sono - consapevolmente o inconsapevolmente - come variazioni sul “tema Dio”, rimasto a lungo sospeso come irrilevante, o perché rimosso o perché dato per scontato. Verrebbe anche da chiedersi: se di Dio ce ne siamo tanto occupati come dato per morto, non dovremmo tornare ad occuparcene ora, quando sembra che sia anche troppo vivo, tanto da avere incidenza persino nelle elezioni presidenziali americane e riflessi innegabili nelle vicende politiche nostrane? Il libro di La Valle ci porta a dire che se Dio ha avuto una storia nel passato, può continuare ad averla: e quale è la nostra storia con lui ora?
È venuto poi il momento di presentare a Montebello il libro di Daniele Garota “In cosa crede chi crede”, e la riflessione si è fermata sul primo articolo della professione di fede “Credo in un solo Dio”, per ripensare l’irriducibilità di Dio alle stesse religioni monoteistiche, che devono invece riconoscere la loro derivazione e convergenza unicamente in ordine al suo mistero. Il dialogo tra le religioni non è una operazione di coincidenze e di assonanze, ma di radicalità nel credere. Così come un dialogo della Chiesa col mondo moderno o secolarizzato non può ridursi ad uno sterile dibattito su laicità e sana laicità, tra ragione e fede: dov’è realmente un Dio in questo braccio di ferro infinito?
Le circostanze mi hanno portato poi a Pozzallo per il convegno sul Mediterraneo (vedi n.8 di Koinonia) e a dover parlare della “Missione dell’Ordine domenicano e il Mediterraneo”, un mare , il Mediterraneo, che è area storica e culla geografica dei monoteismi e delle religioni del Libro. Se il compito dei domenicani è di servizio teologico, è giocoforza che nel groviglio dei problemi che il Mediterraneo evoca e presenta, sia importante far riemergere anche la sua dimensione teologica: il Mediterraneo in altre parole è anche una opportunità che riporta il problema di Dio al centro, sia per quanto riguarda l’incontro tra le varie religioni e sia anche come banco di prova e nodo da sciogliere dentro i problemi umani e storici che presenta ai nostri giorni.
Questi vari passaggi hanno fatto capire meglio che la “questione Dio”, per quanto controversa, è in ogni caso trasversale. E se c’è un Dio, è sempre in riferimento ad un popolo, mentre se c’è un popolo è quasi sempre in relazione ad un suo Dio: egli sarà sempre il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, di questo o di quel popolo, nel senso che i popoli hanno la vocazione intrinseca a diventare Popolo di Dio. Questa differenziazione interna al nome di Dio possiamo forse riscontrarla già nelle diverse tradizioni bibliche: quella detta jahvista, che è caratterizzata dall’uso del nome divino Jahvéh, e quella detta elohista che è caratterizzata dall’uso del nome comune Elohim.
Di Dio in sé se ne può parlare solo in seconda istanza e a distanza, mentre egli in concreto è sempre Iddio di qualcuno e per qualcuno, così come è “Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo”. Nel libro di D.Garota si cita questo episodio: “Provaci che Dio esiste, dissero con aria di sfida alcuni miscredenti al Baal Shem Tov, ed egli, deciso, non fece altro che andare in sinagoga a prendere il rotolo della Torah per stringerlo al petto e dire davanti a tutti: giuro che Dio esiste!” (pp. 34-35). La sua storia è la storia di chi crede in Lui. Del resto, anche senza parere siamo abituati a parlare di un Dio dell’America, dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa, della Cina, dell’India… mentre più difficilmente parliamo di un Dio dell’Europa, forse perché è un Dio controverso, compromesso, da una parte agitato come vessillo (si pensi alle “radici cristiane”) dall’altra rimosso come pericolo o attentato alla modernità.
È di questo Dio controverso che dovremmo o vorremmo occuparci, ed il fatto che proprio il richiamo al Mediterraneo riproponga la questione, potrebbe far parlare anche di una teologia del Mediterraneo, così come si parla di una teologia dell’America Latina, di una teologia dell’Asia, di una teologia Nera, di una teologia del Nord-Europa. Partendo appunto dal fatto che i Paesi del Mediterraneo ci mettono davanti ad una compresenza di religioni monoteiste con tutti i loro problemi interni e di rapporto, ma anche - venendo all’Italia - davanti a prassi e forme di chiesa e di cristianesimo popolari, che devono ritrovare un legame con quelle più culturali del nord.
Dopo l’esperienza di Pozzallo, ho avuto l’opportunità di visitare altri paesi del sud: e lì ti ritrovi immerso in un mondo religioso cristiano da cui non puoi prescindere, perché sembra una soluzione data senza che prima ci siano problemi, ma che in prospettiva di problemi ne pone. Se non altro per dire in quale Dio si incontrano nord e sud dell’Italia e quindi anche dell’Europa, visto che deve essere in ogni caso Dio di qualcuno e di qualche luogo. Un motivo in più, quindi, per non appiattire tutto, ma per porsi la questione di un Dio controverso e di una possibile teologia del Maditerraneo: quale Dio abita e ispira questi luoghi attraverso i popoli che li abitano? Si può continuare ad adorare un Dio del tutto irrilevante rispetto alla situazione sociale di un popolo e tutto da consumare in funzione individuale? D’altro canto, ha senso continuare a evocare Dio solo per la rilevanza politica e sociale che può avere? Forse una teologia deve tornare ad occuparsi sensatamente del suo proprio interlocutore ed oggetto primario!
Un primo nodo da sciogliere è questo: se una teologia debba nascere da situazioni sociali e prassi pastorali tutte da rivisitare o se una pastorale ormai standardizzata debba ammantarsi di una teologia calata dall’alto. Mi chiedo questo in linea generale, ripensando al primato dei movimenti storici rispetto alle ideologie; ma lo chiedo anche perché, avendo trovato durante il mio viaggio un documento della Conferenza episcopale calabra in vista del Congresso ecclesiale regionale 2009, lo vedo presentato con queste precise parole: “Il tema scelto Le Chiese calabresi in comunione per testimoniare il Risorto, vede recuperate le ricche riflessioni del Convegno ecclesiale italiano di Verona 2006, per calarle nella vita pastorale delle Chiese in Calabria”.
Volendo passare da esperienze ecclesiali vissute ad una riflessione teologica in area mediterranea, è chiaro che questa debba tornare ad occuparsi della fede in Dio della gente che la abita, ricordando semplicemente che fare opera teologica è considerazione delle cose in Dio e di Dio nelle cose e tenendo anche presente che la scienza teologica è attività teorica e pratica insieme, e cioè nasce dalle situazioni per tornare alle situazioni nel loro significato e portato di verità e di grazia, o se si vuole di vita e di salvezza, in quanto chiama in causa una qualche porzione del Popolo di Dio.
Certamente un sapere teologico non può non avere anche un suo valore e spessore conoscitivo astratto, ma questo vale soltanto come sapienza o sapore di tutta una esperienza ed impostazione di vita e non disdegna un necessario dibattito teorico su Dio, ma sempre in aderenza alla fede o a una qualche fede, perché un Dio è oggetto di conoscenza solo in quanto è fonte ed obiettivo di una tensione di vita, e mai come teorema o accademia! Forse è anche questo adorarlo in spirito e verità: che Egli sia prima e al di là di tutte le parole.
Ma il nodo decisivo da sciogliere - dopo questi rapidi cenni - è sul da farsi: se queste istanze latenti possano diventare materia di indagine e di scambio e motivo di un impegno collettivo nel proseguimento dei nostri incontri, che appunto si svolgerebbero nella prospettiva di “Un Dio controverso: per una teologia del Mediterraneo”. Ammesso poi che ciò risulti plausibile, come possiamo presumere di far fronte noi, con le nostre povere forze, ad una impresa così imponente?
Quanto a questo ultimo punto, c’è da dire che questa istanza la vogliamo solo segnalare, invitando tutti e ciascuno a tenerla presente, per dirci “di quale Dio siamo” e se quello con cui abbiamo a che fare è davvero il nostro Dio. Quanto al resto siamo soltanto davanti ad una ipotesi di lavoro tutta da verificare in se stessa e banco di prova della nostra onestà intellettuale, della nostra passione evangelica, della nostra responsabilità di missione! Del resto è Gesù stesso a richiamarci le parole del profeta, secondo cui “tutti saranno istruiti da Dio” (Gv 6,45).
Se non bastasse, abbiamo il n.12 della Lumen gentium, dove si dice che “la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici» mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita”.
Siamo davanti ad un terreno tutto da esplorare e mettere a frutto. E’ quel metodo di evocazione e di discernimento di cui Paolo VI parlò il 4 novembre 1966 alla “Associazione pro civitate christiana” di Assisi, facendo riferimento alle parole di Gesù: “Ma è pur vero che tutti sono uomini, e perciò, «docibiles Dei» (Io. 6, 45), suscettibili cioè di ricevere la verità divina, capaci sempre di vibrare alla Parola della salvezza, e spesso, molto spesso custodi essi stessi di qualche segreta esperienza di qualche inesplicabile impulso, che per sé reclamerebbe di svolgersi, di esprimersi, di autenticarsi”.
Questo conferma lo stile di Koinonia e lo spirito degli Incontri: che non vogliono essere sedute culturali per addetti e affiliati su specifici temi di studio a sé stanti, ma occasioni ed opportunità aperte per maturare insieme mentalità, coscienza, consapevolezza, responsabilità e impegno nel cammino quotidiano davanti al quale ciascuno si trova, per accompagnarci nella solidarietà e nella fraternità: ci interessa e ci appassiona la ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia, in cui tutto il resto rientra. Qualcuno a turno ci potrà aiutare, ma solo a condizione che ci sia prima un fermento in tutti.
Non si tratta di un programma in cui inserirsi ed a cui attenersi, anche perché gli appuntamenti vengono fissati di volta in volta in base all’andamento del discorso e a chi si sente disponibile a dare un proprio contributo. È questione di apertura all’incontro, di adattamento alle circostanze, alle emergenze, in altre parole alle condizioni di vita di ciascuno. Alla base c’è la voglia di darci una mano nelle cose essenziali della propria esistenza, c’è la vita con tutte le sue imprevedibilità: i rapporti umani occasionali che potevano apparire qualcosa di marginale rispetto a progetti definiti o ad istanze istituzionali sono in realtà la materia prima ed il terreno vivo di una fraternità evangelica, che va alimentata e fatta crescere come fermento nella massa. Dov’è in concreto il nostro prossimo, se non ai margini della strada?
Tendenzialmente - senza che sia obbligo per nessuno - tutti siamo a disposizione e a servizio di tutti per vocazione e scelta, e nessuno deve rimanere nella posizione passiva di chi si contenta di usufruire di quanto lo soddisfa, senza avere a cuore di dare un proprio contributo d’insieme. Se non è azzardato e presuntuoso, si può dire che Koinonia esiste e vive in maniera dispersa proprio di questa comunicazione sotterranea ed attiva: è in qualche modo una comunione in atto, visibile e invisibile. Se ora ripetiamo certe cose è solo per esserne più consapevoli e mantenere fede alla semplice verità che il sabato - ogni sabato - è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato: che la chiesa stessa è fatta per l’uomo e non l’uomo per la chiesa, se non nel senso profondo che è chiamato ad essere egli stesso - sacramentalmente e cioè transitoriamente - chiesa o santa “convocazione di Dio”, a cui dare vita in ogni luogo e con chiunque.
Si torna al punto di partenza, ma è chiaro che tutto questo discorso non è che un primo frammento ed un incentivo ad esplicitare in proposito il proprio sentimento e pensiero, per mettere a fuoco quella visione di Dio a cui il cuore di ogni uomo desidera arrivare. A voi la parola!

A.B.Simoni


Articolo tratto da:

FORUM (104) Koinonia

http://www.koinonia-online.it
Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Giovedì, 21 agosto 2008