Ma la fede crede nella resurrezione di Gesù Cristo dai morti! Crede, anche se con lascensione è scomparso dopo pochi giorni dalla vista degli uomini (At 1, 6-11). Crede, anche se la resurrezione è avvenuta nella notte e non sotto gli occhi di tutti come la morte, e se dunque nessuno, a rigore, ne è stato testimone, nessuno lha vista, ma ci sono, secondo il racconto del nuovo Testamento, solo testimoni del sepolcro vuoto o delle apparizioni di Gesù, ad alcuni, per alcuni giorni. E comunque quei testimoni non sono più fra noi da duemila anni, sicché più che credere alla loro testimonianza crediamo nel fatto che, allora, si sia creduto sulla base di quella testimonianza, e si sia poi continuato a credere. Come la giustizia del suo regno, così ormai anche la resurrezione di Cristo può essere solo una speranza. Del resto leucaristia, la realtà sacramentale che è stata al vertice della religione cristiana, è, ancora per Lutero, il rinnovamento « mistico » della passione e della morte di Cristo, non della sua resurrezione. Largomento decisivo per credere o non credere nella resurrezione di Gesù Cristo è, secondo Paolo, la resurrezione dei morti: “Se non cè resurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato, allora il nostro annuncio è vano, vana anche la vostra fede. Risultiamo, allora, dei falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo, mentre non lha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Se infatti i morti non risuscitano, neanche Cristo è risuscitato, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Allora anche quelli che sono morti in Cristo sono periti. Se è per questa vita soltanto che noi abbiamo messo la nostra speranza in Cristo, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (1 Cor 15, 13-19). In questo passo paolino la soluzione della questione consiste in definitiva in un differimento: resurrezione di Cristo già avvenuta e futura resurrezione dei morti si implicano strettamente, sono, al limite, la stessa cosa. Anche se Gesù non fosse risorto allora (risorto non secondo il vago simbolo di una sua presenza nella comunità pasquale, ma nel modo in cui la resurrezione è corporeamente espressa nelle Scritture ebraiche e cristiane), se i morti risusciteranno sarà manifesta la potenza di Dio che risuscita, e che risuscita per primo il Cristo. Ma se i morti non risusciteranno, allora non ha senso la resurrezione di Cristo, giacché la resurrezione di Cristo ha senso solo se è la primizia della resurrezione dei morti. Ebbene, dopo duemila anni i morti non sono risuscitati, e lo spazio, per la fede è mostruosamente diminuito. E una sconfitta di Dio la mancata resurrezione dei morti, e lo è tanto più in quanto la stessa resurrezione, tardivo rimedio a quello che è il destino fallimentare del dover morire, ha già il sapore della sconfitta. Il Vangelo di Marco si concludeva con le donne che fuggono spaventate dal sepolcro vuoto (16, 8). Gesù risorto è irriconoscibile, o almeno non è riconosciuto da Maria di Magdala (Gv 20, 1416), né dai “discepoli di Emmaus” (Lc 24, 31), che pure lavevano di fronte e stavano parlando con lui. Il cadavere rianimato che esce dalla tomba - e questo, per quanto si cerchi di non leggere quello che cè scritto, dicono le Scritture - ha sentore di morte, come nellepisodio di Lazzaro (Gv 11, 1-44). La gioia della resurrezione conserva una macchia cadaverica. Il Cristo risorto è rappresentato vincitore, ma il suo trionfo non ha mai cancellato, nel cuore dei fedeli, limmagine del Crocifisso. Anche la finale resurrezione dei morti - nella quale una fede che non sia disposta ad abdicare al proprio senso continua ancora a sperare contro ogni speranza (come, del resto, aveva sperato contro ogni speranza Abramo, nostro padre nella fede, Rm 4, 18) - porterà con sé un sentore di sepolcro: anche se ne venisse cancellata la memoria (Is 65, 17; Ap 21, 4), il tragitto percorso resterebbe orribile ugualmente. Per consolarcene, Dio stesso asciugherà le lacrime dagli occhi degli strappati allabisso della morte e degli inferi (Is 25, 8; Ap 21, 4), abisso al quale la prima generazione cristiana si illudeva di poter sfuggire; il Signore si chinerà per servirli a tavola (Lc 12, 37). Ma da ogni parte gli occhi della fede devono ormai veder irrompere la sconfitta di Dio. Già le prime comunità cristiane erano costrette, dinanzi ai primi martiri, a pensare che qualcosa mancasse al perfetto sacrificio redentore di Cristo. I martiri, a cominciare dal protomartire Stefano e via via lungo i primi secoli della chiesa, morivano con gioia, affrontavano i supplizi, anzi li desideravano, per essere ricongiunti con il loro Signore. Così, almeno, ci è stato tramandato. Questa gioia (che, fra laltro, rende la morte dei martiri così diversa e lontana da quella di Gesù), Paolo dice di provarla nelle sofferenze con le quali completa nella sua carne “ciò che manca ai patimenti del Cristo” (Col 1, 24). I martiri, nellApocalisse, gridano a gran voce: “Fino a quando, Signore santo e fedele, tarderai a fare giustizia, a far vendetta del nostro sangue sugli abitanti della terra?” (6, 10): ad essi viene risposto di “pazientare ancora un po, il tempo necessario per completare il numero dei loro compagni di servizio e fratelli che devono essere messi a morte come loro” (6, 11). Quando tutto sembra compiuto nel perfetto sacrificio di Cristo, tutto esige ancora sangue. Il numero dei martiri, dopo venti secoli (un tempo più lungo di quello che va da Abramo a Gesù), non si è evidentemente ancora completato, sebbene lApocalisse, lultimo libro della rivelazione biblica, si concluda insistendo nella promessa che “il tempo è prossimo” (22, 10), che il ritorno di Cristo “è prossimo” (22, 7; 22, 12; 22, 20). Se a coloro che conservano la fede a prezzo del martirio - perché la fede implica comunque, nella sequela di Cristo, un non metaforico martirio (Mt 10, 38; 2 Tm 4, 6) - è ancora promessa una salvezza solo al di là della morte, e se lo scacco del crocifisso Dio di tenerezza e di pietà è in ciò palese, un altro scacco, parallelo a questo, patirà Dio se non tutti saranno salvati.
Sergio Quinzio
Da “La sconfitta di Dio”, pp. 60-64 Articolo tratto da:
FORUM (88) Koinonia
http://www.koinonia-online.it
Sabato, 22 marzo 2008
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