Buona pasqua

di eugenio melandri

Lo cercava disperatamente in quel giardino dove lo avevano deposto in fretta la sera del venerdì. Voleva piangerlo ancora. Voleva accomiatarsi da quel’uomo, che aveva radicalmente trasformato la sua vita. Aveva ancora ben fisso nella memoria il ricordo di quel giorno, in cui, a casa di un ricco fariseo, gli aveva lavato i piedi con le sue lacrime e li aveva asciugati con i suoi capelli. Si portava fisso nella memoria il ricordo di ogni sua parola: “Nessuno ti ha condannato. Nemmeno io ti condanno. Vai in pace”. Fino a quelle frase che lui aveva rivolto a Simone il fariseo, parlando di lei: “molto le è perdonato, perché molto ha amato”.

Pensava forse a queste cose, mentre piangendo lo cercava nel giardino. Mentre interrogava il giardiniere: “dimmi, dove lo hanno messo”.

Le altre donne erano andate via impaurite. Lei però era rimasta lì. Cocciuta a cercare il suo corpo. Ma Lui non era più chiuso dentro quel sepolcro. La tomba era vuota. Era tornato lungo la strada. Aveva ripreso a camminare come prima. Le aveva rivolto, ancora una volta, la parola: “Maria”. Si ripeteva il miracolo della creazione, quando, in principio, Dio aveva messo la donna e l’uomo nel giardino e li aveva chiamati per nome.

Ed era bastato sentire il proprio nome per capire tutto. Che la tomba non è l’ultima dimora. Che la morte non è la fine. Che era definitivamente cancellata la condanna e che la terra poteva tornare un giardino. Che la speranza, ogni vera speranza, è capace perfino di scoperchiare le tombe e di svuotare il sepolcri.

Forse è proprio in quel territorio misterioso che va dal giardino primordiale dell’Eden al giardino della tomba vuota di Gesù di Nazareth che si gioca la nostra avventura umana. Lo canteremo stanotte: “O felice colpa che ci ha meritato un tale salvatore”.

Ma come Maria, per trovarlo, non possiamo fermarci davanti alla tomba vuota. Dobbiamo cercarlo e cercarlo altrove. Lui non abita tra i morti, ma è vivo. Troppe volte lo cerchiamo dove lui non è. Dovremmo saperlo. Gesù, lungo tutta la sua vita, ha percorso luoghi che non avremmo mai immaginato. Ha proclamato Beati i poveri, i puri, gli ingenui, i nonviolenti. Ha accolto Maria la prostituta e Zaccheo il pubblicano. Ha taciuto davanti a chi lo accusava. Ha chiamato i farisei sepolcri imbiancati. Ha ordinato a Pietro di rimettere la spada nel fodero. Ha perdonato quelli che l’ammazzavano. Sempre. Fin dall’inizio della sua vita di uomo. Quando i magi lo cercavano nel palazzo del re, mentre lui era nato in una grotta. Quando è stato “avvolto” in pochi panni. Quando è stato “deposto” in una greppia. Fin d’allora ha rivoluzionato ogni razionalità. La sua nascita, la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione sono stati tutti e soltanto colpi di un genio che non poteva non venire da Dio.

Per questo anche oggi ha senso cercare. Ha senso sperare. Ma, per trovarlo, bisogna partire di là: dalla strada che l’ha condotto sul monte fuori città. Dal buio della notte che ha attraversato il mondo quando ha reso lo spirito. Dalla tomba vuota che ci mette per strada a cercarlo.

E’ ancora notte nel mondo. L’alba troppe volte tarda a venire. E’ difficile avere braccia sufficientemente lunghe per abbracciare tutta intera la speranza. Eppure lui è vivo. Ha lasciato il lenzuolo in cui era avvolto nella tomba vuota e si è rimesso per strada. Per trovarlo dovremo percorrere vie insolite. Non lo troveremo tra gli ori e gli incensi delle chiese. Non nelle regge dei potenti. Non nei templi della ricchezza e del denaro. Potremo trovarlo solo se ci metteremo sulla strada e avremo occhi e orecchie capaci di vederlo e di sentire la sua voce che ci chiama per nome. Lo troveremo povero, piccolo e debole, a viaggiare su una carretta del mare o a gridare, come i monaci del Tibet, la sua voglia di libertà. Lo troveremo fra le tante formiche che ogni giorno ripetono il miracolo della vita dentro un mondo che sembra essersi alleato con la morte. Lo troveremo tra i tanti crocifissi che il potere continua a condurre fuori dalla città. Lo troveremo quando saremo capaci di perdonare fino a settanta volte sette. E anche noi, come la Maddalena, ad un tratto ci sentiremo chiamare per nome.

Auguri



Martedì, 25 marzo 2008