Le Omelie di Padre Aldo Bergamaschi
Riflessioni su la «Passione secondo S. Matteo»

Matteo 26,14-27,66


di Padre Aldo Bergamaschi

24 Marzo 2002

16 marzo 2008

Allora uno di Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?” E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. (…) Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Eì, lemà sabactàni”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. E Gesù emesso un altro grido, spirò.
Matteo 26,14-27,66

La Passione di S. Matteo offre due temi di riflessione: 1) Il caso di Giuda; 2) Le parole di Gesù “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Per quanto riguarda Giuda, vi invito a riflettere: Giuda è deprecabile non perché vende Gesù Cristo per trenta danari, la richiesta del danaro è successiva. Per spiegare quale è stata la vera colpa, prenderò a guida il filosofo Niezsche, - filosofo della morte di Gesù - che vedo tornato di moda, e poiché oggi si celebra la giornata mondiale della gioventù, vorrei rivolgere soprattutto ai giovani queste poche note.
Zarathustra, il personaggio del romanzo di Niezsche, incontra Giuda in una valle desolata e gli chiede: “Come mai hai fatto questo?” Giuda diventa nervoso e risponde: “No, non potevo più sopportare quegli occhi, quella voce, quelle parole che andavano al fondo dell’anima e che conoscevano tutto dell’uomo”, vale a dire: non ho avuto alternative, o la mia distruzione o la conversione, e ciò significa - dobbiamo dirlo ai giovani e anche agli adulti -: la distruzione di quello che siamo, per diventare ciò che dobbiamo essere. Ecco riassunta qui, tutta la filosofia dell’occidente. Prosegue Giuda: “Quegli occhi, che mi penetravano nel fondo dell’anima fino a rivoltarmi, quasi a dirmi che io ero un diavolo, così come ero.”
Dice Zarathustra: “Qui è la tua grandezza, finalmente ti sei liberato da colui che ti impediva lo svolgimento del tuo io totale”. Ecco il vero peccato di Giuda: quello di avere - è Nietzsce che lo sottolinea - amato infinitamente se stesso. Giovani, adulti, ecco il peccato, ed ecco perché nella Passione di S. Matteo dobbiamo considerare questo aspetto che ha portato al tradimento e alla uccisione di Dio, almeno con il pensiero. Perché nei fatti, Dio non si uccide: Dio ti salva.
Riguardo le parole di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ho dei dubbi che Gesù le abbia mai dette, perchè oltre a queste di Matteo, abbiamo quelle di S. Marco e di S. Luca che sono: “Mio Dio nelle tue mani rimetto il mio Spirito”; qui sentite le parole di un Dio, e non in quelle di S. Matteo.
Nessuna colpa a S. Matteo, il quale avrà scritto a tavolino recuperando una frase di Isaia del Vecchio Testamento, dove si presenta un Gesù eccessivamente sconsolato. Questa interpretazione induce molti cristiani a incolpare Dio nelle vicissitudini della vita.
Cercherò di chiarire ciò che Gesù ha detto, anche nell’ipotesi che fosse quella di Matteo la versione giusta. I tre evangelisti, dopo aver dato la loro versione diversa, dicono: “Gesù chinò il capo e spirò”, quindi le ultime parole sono quelle che ogni evangelista riferisce. Però il Principio di non Contraddizione ci dice che: o sono false tutte e tre, o una, o forse due sono vere, - perché le due possono coniugarsi benissimo fra loro - ma questa di Matteo è certamente falsa. Nessun rancore nei confronti di Matteo, perché era ebreo e ha recuperato male il Vecchio Testamento.
Facciamo l’ipotesi che della morte di Gesù si abbia solo questo racconto, allora in ogni caso bisognerà fare una lettura corretta. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, quel perché in lingua italiana è un perché inquisitorio, sarebbe una traduzione del “cur ” latino: come mai mi hai ridotto in queste condizioni? In S. Girolamo vi è il testo latino perfetto, che in italiano è stato tradotto male. C’è un “ut quid” e non un “cur ”, allora traduciamo bene: Padre, per quale profondo motivo, per quale alto fine io sono ridotto in queste condizioni? Sottinteso: per salvare gli uomini perché Tu stesso hai detto che sei venuto al mondo per testimoniare la Verità e per testimoniarla anche con il sangue. Ecco allora, la frase sbagliata della traduzione, - che per me non è di Gesù - ma volendola attribuire a Lui bisogna fare la traduzione perfetta, e tutto torna: quella frase contiene un ut quid finalistico.
Il perché italiano ha due aspetti, il perché finale e il perché originario; mangio perché ho fame, è un perché causale; mangio perché voglio nutrirmi, è un perché finale.
Nel Vangelo di Matteo purtroppo si è dato spessore, nella traduzione italiana, a un perché inquisitorio che è puramente causale.



Domenica, 16 marzo 2008