Le Omelie di Padre Aldo Bergamaschi
Le beatitudini

Matteo 5,1-12


di Padre Aldo Bergamaschi

3 febbraio 2008

In quel tempo, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il
regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di
pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di
essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli”.
Matteo 5,1-12


Mi trovo di fronte a un passo evangelico che non vorrei mai commentare, eppure, non posso fare co­me quei cavalli che si rifiutano di saltare la siepe, brucano l’erba che c’è attorno, facendo finta che la siepe non ci sia: affrontiamo dunque la siepe.
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”, ci fermeremo solo a questa afferma­zione, oserei dire: perchè saranno costoro che cominceranno a co­struire il regno dei cieli. E’ questa una sottolineatura che voglio fare perchè è molto importante, giacché tutti i commen­tatori scivolano via quando si tratta di stabilire che co­sa sono questi poveri in spirito. Oggi francamente, non so più che cosa la dottrina ufficia­le sostenga, siamo in una smagliatura totale e i più arditi han­no soltanto due affermazioni: la Chiesa deve stare con i pove­ri, e la parola, solidarietà. Ecco, le due parole, la moneta prodotta in questi venti anni di disperazio­ne interpretativa.
Primo punto "Beati i poveri n spirito". A giudizio di chi vi parla è la carta costituzionale della co­munità cristiana, e la carta della comunità Cristiana non si deve mai desiderare che venga imposta per decreto legge. I ri­cercatori dei valori spirituali, questa è la traduzione giusta, così ci liberiamo anche di tutto quell’affanno della parola poveri e della parola ricchi.
Questi ricercatori di valori spirituali, giacché è Gesù che parla alla situazione storica, possono essere ricchi o poveri storici, dato di fatto è che, sono coloro che tolgono il dua­lismo ricco-povero storico e introducono un tipo di etica in cui la fratellanza è il primum. Ma dove? Nel rapporto di lavo­ro, vale a dire nella produzione dei beni senza passare attra­verso la strumentalizzazione del prossimo. Se invece l’assetto storico non è superato, almeno in linea di principio, allora è giusta l’obiezione di coloro che mi dicono: sono utopie le sue. Risponderò umilmente, come diceva Manzoni: “Al mondo viviamo tut­ti di utopie, soltanto che bisogna essere così accorti da scegliere quella buona rispetto a quella cattiva”. Ebbene io mi sforzerò di scegliere quella buona, quindi la scelta non è fra ciò che è ragionevole, ciò che è Cristiano tra virgolette, ma la scel­ta fra due utopie, il problema allora è di scegliere quella buona. Diversamente, è utopia anche quella di voler far si che uno Stato costringa le donne a non fare aborto. Anche questa è utopia, signori miei, secondo la vostra visione del mondo.
Io non ho mai detto: voglio che i preti e i frati vadano a lavorare, intendiamoci, anche se non è del tutto sbagliato, dovre­mo dimostrare anche questa tesi. L’errore della classe sacerdo­tale è quello di avere una teologia errata, di insegnare de­gli errori sul problema del lavoro, per cui quella teologia con­sacra eternamente la figura del ricco e del povero, ed è quanto avrò modo di dimostrarvi.
Se l’assetto storico non è superato, allora il passo della beatitudine si presta a tutte le interpretazioni e diventa responsabile di tutte le ingiustizie. La cattura di questo passo comincia molto presto, II secolo dopo Cristo. Un predicato­re famoso di nome Clemente Alessandrino - personal­mente lo considero una persona deliziosa - uno che, attraverso il passaggio dei singoli sistemi filosofici, fino al Platonismo e poi al Cristianesimo, ha poi riveduto alla luce di tutta la sua cultura, il messaggio Cristiano. Ad Alessandria di Egitto, ebbe l’ingrato compito di dovere predicare (spero che non sia questa la situazione del sottoscritto) alle persone per be­ne della città. Persone per bene voleva dire ai ricchi, ai potenti, a quelli che contavano in quella città. Questo predicatore ai ricchi scrive loro un trattato: Quale ricco si salverà? Dunque c’è anche la possibili­tà della salvezza, certo, anche Gesù Cristo aveva detto che c’era la salvezza (era difficile passare per la cruna di un ago ecc.), e in fondo mi pare di averlo già detto: è possibile passare per la cruna anche una corda, la si sfilaccia, se ne fanno dei piccoli fili, e uno al­la volta si fanno passare attraverso la cruna di un ago, certo, può passare anche una corda grossa tre centimetri, ma a tale condizioni, sicché gli esegeti più arditi diranno: il pensiero di Gesù è questo, possono salvarsi anche loro, ma a condizioni di non essere più tali. Ecco cosa sarebbe il discorso ridotto concettualmente.
Clemente Alessandrino invece entra nelle interpretazioni dei passi evangelici che maggiormente disturbano la presenza dei ricchi all’interno della Chiesa e dice: “Non ci si danna perché si è ricchi (storici precisiamo), né ci si salva perché si è poveri (storici), essere ricchi senza avidità e passione non è ma­le”. I ricchi che ascoltavano: oh finalmente c’è un predicatore che ci rimette a posto l’animo, possiamo andare a mangiare tranquilli il nostro pranzo anche se gronda di sangue di schiavitù, naturalmente. Vedete, egli ipotizza che si possa essere ricchi senza do­mandarsi da dove derivi quella ricchezza, tanto per intenderci.
Ma vediamo dove è l’errore teologico: quello di pensare che Dio abbia creato i ricchi e i poveri come ha creato l’uomo e la donna. Voi capite che col­locare la struttura del ricco e del povero nella mente di Dio, è il primo peccato teologico compiuto. Allora, se l’essere ricchi senza avidità e passione non è male, il divenire poveri può essere male perchè reca con se la carenza delle cose neces­sarie. Dice il predicatore di Alessandria che occorre intende­re la beatitudine secondo Matteo "Beati i poveri in spirito", cioè riduciamo a parole chiare: il ricco storico può restare tale, può conciliarsi con la fede Cristiana purché sia povero interiormente, vale a dire, povero in spirito e cioè distaccato dalla ricchezza. “E il povero storico a sua volta non si illuda” dice Clemente Alessandrino immaginando che i poveri siano i pagani, questa è una critica che non è soltanto mia, ma appunto degli storici, “Non si illuda di essere salvo, perchè non è povero se non lo è anche interiormente”, voi capite la dramma­tica situazione.
Primo errore di fondo, la consacrazione ontologica delle due figure a cui viene attribuito un compito di dia­lettica, per cui l’oratore dirà poi che nel Vangelo le ricchez­ze vengono lodate perchè consentono di venire in aiuto al biso­gnoso - avete capito la sottigliezza - e di compiere le opere di mi­sericordia, e infatti cito le sue parole: “Come si potrebbero com­piere le opere di carità se nessuno possedesse dei beni?”. Ecco la giustificazione morale della presenza del ricco all’interno della Chiesa. Per esercitare la carità ci debbono essere ricchi e po­veri, ecco il bilanciere dialettico e certo l’abbiamo ereditata dalla civiltà occidentale, questa teoria è stata forgia­ta dal pensiero greco. Siccome il nostro Clemente Alessandrino veniva da quella radice culturale, egli adesso si sforza, in buo­na fede, di consolare. Badate, molte persone erano ricche e ha detto a costoro: “State tranquilli che alla fine voi siete li per un compito ben preciso” e quindi uno si toglie dalla testa l’idea di dovere cambiare pelle come si suol dire. Per esercitare la carità ci debbono essere ricchi e poveri, e se non ci fossero i poveri bisognerebbe crearli esattamente per potere esercitare la carità.
Mi pare che Gramsci nei suoi "Quaderni dal carcere" abbia scritto, in una mez­za paginetta, una critica sublime a questa operazione ricordando­ la presa di posizione di un operaio cristiano a Parigi, aveva detto: se voi teologi, sotto banco conti­nuate a credere a questa integrazione, sostenete, citando un al­tro passo del Vangelo, che i poveri li avrete sempre con voi; allora, noi che lottiamo per la giustizia e se è vero che il Vangelo deve essere parola di Dio, ne teniamo due dei poveri, perchè sia vero il passo evangelico. Ma per Gesù l’agape cristiana dovrebbe essere l’eliminazione delle due figure storiche nella ekklesia, Ed ecco una definizione molto semplice e precisa della ekklesia: il luo­go in cui sparisce questo dualismo storico che crea appunto tutto il dramma della nostra convivenza.
Secondo errore di fondo: credere che Dio abbia creato il ricco e il povero, e questa affermazione la troviamo insistentemente nel Vecchio Testamento, già, perchè da lì derivano molti dei no­stri guai mentali. Dio ha creato il ricco e il povero, e poi si deve far si che ci siano i ricchi buoni e i poveri buoni, così come ci saranno ricchi cattivi e poveri cattivi, senza pensare che i due sono un pro­dotto storico e che non potranno mai essere buoni per alcun mo­tivo in quel rapporto, almeno nella visione di Gesù, perchè so­no frutto del principio conosciuto: homo homini lupus. Ma Gesù è venuto a rendere falsificabile questo principio, dunque i due sostantivi non potranno più convivere nella eklesia.
Era l’anno 1937, io avevo dieci anni, molti di voi si ricorderanno che all’epoca il pontefice era Pio XI. Questo papa in quell’anno ha scritto una enciclica contro il comunismo che ha il titolo "Divini Redentoris Promissio", la condizione sociale deve essere strutturata secondo le indicazioni della Chiesa. La cito anche perchè nel 1937, in questo mondo ecclesiale c’era anche un certo don Primo Mazzolari, il quale, ecco qui dove è la sua grandezza, ha preso posizione e ha scritto un articolo, che ha poi avuto molte vicen­de. Pochi giorni prima ancora che uscisse l’enciclica, in quell’articolo Mazzolari non ha fatto altro che braccare l’enciclica come a dire : qui non ci siamo, qui non sono d’accordo, sembrava che lui sapesse già quello che nella enciclica era scritto.
Dopo avere esposto gli errori del co­munismo, il Papa oppone ad esso la vera nozione della civitas umana, comincia col dichiarare l’idea cristiana e prende le mos­se da lontano. In genere facciamo così, si comincia da Dio crea­tore, poi si passa a Gesù Cristo, poi giù giù fino all’ordine eco­nomico previsto dall’enciclica. Cito: “Abbiamo mostrato come una sana prosperità deve essere ricostruita secondo i veri principi di un sano corporativismo”. Signori, vorrei avere qui tutti i de­mocratici cristiani che si rifanno al messaggio per vedere se ce n’è uno ancora che difende il concetto di corporativismo.
Ma vi faccio notare che nel 1937 eravamo sotto un certo regime politico. La cosa strana è che i due regimi usino la medesima parola. Così come oggi le due sponde, la sacra e la profana, usi­no la parola "solidarietà". Ma mi dispiace non ci siamo, ne l’u­na ne l’altra parola. Sentite allora, il sano corporativismo, questa sarebbe stata la risoluzione del problema sociale che rispetti la debita gerarchia sociale, specifichiamo: “Non è vero - dice il Papa - che tutti abbiamo uguali diritti nella società ci­vile”. Signori non commento. Se oggi uno dovesse dire una cosa del genere, voi capite, lo mettiamo perlomeno in manicomio. Non è vero che “non esista legittima gerarchia” anche qui lascia­mo correre, perchè la legittima gerarchia l’aveva ricostruita, mi scuso se uso la parola, il fascismo e veniva comodo per ri­costruirla anche all’interno della Chiesa.
Infine si arriva al punto dolente della povertà e della ricchezza. Il Papa dice (ci­to ancora): “Tutti i cristiani ricchi e poveri - dunque si prevede la cristianità composta da ricchi e poveri - devono ricordarsi che non abbiamo qui una città permanente. I ricchi devono distribuire ai poveri quello che loro avanza”.
Non faccio commenti. I poveri debbono sempre rammentare quel Beati i poveri in Spirito come vi ho citato. In questo caso voi avete utilizzato il passo evangelico che era liberante, e lo avete ridotto a cementare lo statu quo. Continua il Pontefice, “Non si riuscirà mai a fare scomparire dal mondo la miseria dovuta al limite uma­no, per cui a tutti è necessaria la pazienza”. Ecco le prediche che i più anziani hanno udito da 50 anni a questa parte.
Con questa strana teologia non si riuscirà mai a fare scompari­re la miseria dal mondo. Ecco, ciò che mi fa paura sono queste mentalità. Se non ci fossero dei bisognosi, bisognerebbe crearli per poter esercitare e fare esercitare la pazienza.
Termino con un episodio che vi farà anche ridere. Un piccolo scout non è riuscito a compiere l’opera buona della la giornata. Il sole sta per tramontare, si fa sera, la giornata si consuma. Il piccolo scaut vede una vecchierella che sta attraversando la strada, fa cadere sulla strada alcune briciole di sapone, la vecchie­rella scivola e lui si precipita a sollevarla. Ha compiuto l’o­pera di carità.
Bisogna far si che non ci siano più opere buone da fare, quando queste opere buone, per essere tali, hanno bisogno che il nostro prossimo sia alla miseria.

2 febbraio 1987



Domenica, 03 febbraio 2008