Dopo Assisi
Le prime pagine dimenticano i 200 mila di Assisi

di Roberto Natale, Federazione Nazionale Stampa Italiana

Cos’è una notizia? La domanda accompagna il giornalismo dai suoi inizi, e non ha una risposta certa e valida per sempre e per tutti (per fortuna). Ma vale la pena di farsela una volta di piu’, questa domanda, all’indomani della Perugia-Assisi e dei suoi duecentomila marciatori. Per la gran parte dei quotidiani italiani, tranne lodevoli eccezioni, non e’ stato un evento degno della prima pagina: ne’ di un piccolo richiamo, ne’ di una foto delle colorate tuniche dei monaci tibetani. Scelta libera e rispettabilissima, naturalmente. Che non impedisce pero’, a chi abbia un minimo di memoria, di fare un raffronto con altre recenti occasioni in cui la prima pagina era stata conquistata.

Fine agosto dell’anno scorso, nelle settimane della guerra in Libano: lo stesso soggetto che ha messo in piedi la marcia, la Tavola della Pace, aveva organizzato allora, sempre ad Assisi, un incontro a sostegno dell’intervento delle Nazioni Unite. Bastarono due tizi con un poster del leader di Hezbollah, Nasrallah - due tizi che pure erano passati inosservati alle migliaia di presenti - per alimentare una polemica politico-editoriale incandescente. Pochi mesi dopo, in un sabato di novembre, due manifestazioni in contemporanea, a Roma e a Milano, dedicate al Medio Oriente. Nel corteo della capitale un pugno di sconsiderati decise di bruciare tre fantocci raffiguranti altrettanti soldati: un americano, un israeliano, un italiano. La prima pagina - e non solo - fu per loro; gli altri, cioe’ decine di migliaia di manifestanti pacifici, vennero cancellati.

Al movimento per la pace e’ stato spesso rimproverato, anche dalla grande informazione, di muoversi soltanto in risposta alle emergenze del momento, sull’emozione dell’invasione di turno. Stavolta la critica non reggeva: e’ esplosa si’ la questione birmana, ma quando la manifestazione era gia’ stata abbondantemente messa in cantiere. Un’altra critica veniva in passato avanzata con frequenza: un movimento troppo antiamericano, che sa portare la gente in strada solo se puo’ farla sfilare al grido antico di "yankee go home". Stavolta nemmeno questa osservazione aveva il minimo appiglio: sulle vie dell’Umbria erano in tanti, e a spingerli non c’era la minima traccia di odio anti-Usa. E’ una notizia, si potrebbe pensare. Una buona notizia, per di piu’. Un movimento che non ha bisogno del sangue di giornata per chiedere giustizia, e che non si fa annebbiare dai fumi dell’ideologia. E invece no. Per stare in prima pagina non serve mettere insieme duecentomila persone a parlare di diritti umani. Tornano alla mente le parole rivolte di recente a noi giornalisti dal Presidente della Repubblica, quando ci ha messo in guardia contro i danni che puo’ provocare "l’idea che le buone notizie non siano notizie".

Verrebbe da dire, come in un vecchio film, che "il crimine paga". Ne tengano conto gli organizzatori della marcia. La prossima volta un po’ di fuoco, per favore. Ma non quello della lampada votiva accesa con l’olio prodotto nelle terre sequestrate alla mafia. Banale, scontato, stucchevole. Serve un fuoco piu’ emozionante: una bandiera, un fantoccio, una molotov. E se proprio non ce la fate, nonviolenti come dite di essere, almeno una pubblica lite: Flavio Lotti e don Ciotti che si mandano reciprocamente al diavolo, per esempio. Siate buoni: volete darci o no un po’ di lavoro, a noi giornalisti?


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Marted́, 09 ottobre 2007