Congresso Movimento Nonviolento
Messaggi di saluto al Congresso del Movimento nonviolento

Messaggi di Giancarla Codrignani, Ekkehart Krippendorff, Alberto L’Abate, Enrico Peyretti, Giuliano Pontara,Lorenzo Porta, Carmelo Sgandurra, Peppe Sini


ALCUNI MESSAGGI DI SALUTO AL CONGRESSO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO



Ringraziamo Mao Valpiana per averci messo a disposizione i messaggi di saluto al XXII congresso del Movimento Nonviolento svoltosi dal primo al 4 novembre 2007 a Verona. Pubblichiamo di seguito una prima serie di essi; gli altri pubblicheremo via via che saranno trascritti e ci saranno messi a disposizione.

Anche da questi messaggi si evince come il congresso del movimento fondato da Aldo Capitini abbia avuto la capacita’ di essere punto di riferimento ed appello alla riflessione comune. Voci diverse vi si sono incontrate in un dibattito non reticente.

E’ tempo che le persone amiche della nonviolenza escano dalla subalternita’ e della marginalita’; e’ tempo che chiamino ogni persona di volonta’ buona ad uscire dall’apatia o dalla rassegnazione; e’ tempo di dismettere ogni ambiguita’ e di rompere ogni collusione con i poteri assassini, con le ideologie violentiste, con le pratiche dell’oppressione e della devastazione. E’ tempo di proporre la nonviolenza come proposta politica, come prassi politica, come azione politica, come organizzazione politica. La nonviolenza cosi’ come l’ha pensata e praticata Mohandas Gandhi, organizzatore politico di lotte politiche per obiettivi politici. La nonviolenza cosi’ come l’ha pensata e praticata Martin Luther King, organizzatore politico di lotte politiche per obiettivi politici. La nonviolenza cosi’ come l’ha pensata e praticata Danilo Dolci, organizzatore politico di lotte politiche per obiettivi politici.

La nonviolenza del movimento delle donne, che della nonviolenza in cammino e’ stata ed e’ la massima esperienza storica.

La nonviolenza dell’ecologia fondata sul principio responsabilita’.

La nonviolenza della tradizione socialista e libertaria.

La nonviolenza del riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

La nonviolenza giuriscostituente.

La nonviolenza e’ la politica del XXI secolo. Qui e adesso e’ il luogo e il momento di passare dalla mera testimonianza personale all’azione politica collettiva.

Solo la nonviolenza puo’ fermare la guerra. Solo la nonviolenza puo’ sconfggere la barbarie. Solo la nonviolenza puo’ impedire la devastazione della biosfera.

Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.



GIANCARLA CODRIGNANI


[Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia’ parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta’ e per la pace, e’ tra le figure piu’ rappresentative della cultura e dell’impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L’odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L’amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]



Caro Mao,

avevo registrato sull’agenda da prima dell’estate le date del vostro Congresso a cui mi ero ripromessa di partecipare per l’importanza che assume in un momento particolarmente critico, ma oggi ti mando un contributo sostitutivo perche’ saro’ all’estero e non potro’ essere con voi.

Ho detto che ritengo rilevante il momento, sia per le vicende in corso che hanno a che vedere con tutti i problemi della violenza, sia perche’ i principi che abbiamo coerentemente onorato negli anni debbono essere riletti alla luce delle ipotesi che sapremo formare per il futuro.

Non intendo soffermarmi su cose ovvie. Tuttavia credo che, proprio a partire dalla nonviolenza, si debba ridare senso al "fare politica" come dovere civile costruttivo e "bello".

Parto dall’obiezione di coscienza, che e’ stata ragione di conoscenza per molti fra noi. Come Presidente della Loc sono da tempo dimissionaria, proprio perche’ vorrei che si rimettesse in discussione il significato di questa scelta dopo la fine della leva obbligatoria e dell’entrata in vigore del servizio civile. Se c’e’ oggi da riflettere sulle possibilita’ che i militari professionisti abbiano a scontrarsi con problemi di coscienza davanti a ordini iniqui (penso ai refusenik israeliani o ai disubbidienti americani), sono anch’io perplessa di fronte ad un impegno "civile" che rischia di diventare un "precariato nobile" che puo’ produrre profitto in un settore rigorosamente no profit.

Concordo con molte delle anticipazioni sulla rivista di ottobre e non ripeto la necessita’ di un impegno sui temi ambientali, energetici, di contrasto alle mafie... Tuttavia credo che le societa’ occidentali mostrino segni di cosi’ grave cedimento culturale in manifestazioni, anche latenti, di violenza che debbono essere contrastate da quanti se ne rendono consapevoli, in primo luogo sul piano informativo ed educativo.

I cittadini non ricevono informazioni adeguate rispetto alla necessita’ di conoscere le situazioni di conflitto prima che la loro evoluzione diventi guerra. Da almeno un paio d’anni chiedevo ai giovani con cui parlavo se qualcuno di loro studiava il Pakistan, come luogo da allarme rosso: non che avere un’idea delle situazioni produca di per se’ effetti, ma non si puo’ fare una marcia ad Assisi dopo che le guerre sono esplose: e’ il sapere che fa coscienza. Oltre ai luoghi, occorre dedicare attenzione alla nuova qualita’ dei sistemi d’arma: il nucleare puo’ essere miniaturizzato, le armi chimiche e biologiche aprono scenari devastanti, ci sono "novita’" come i droni che preoccupano perfino se usati nel settore civile, i paesi invasi sono vittime non solo delle truppe d’occupazione ma dei mercenari... Siccome e’ difficile "vincere" la partita della riduzione del commercio delle armi, si deve capire di piu’ come cambiano le guerre, visto che anche i militari le esecrano, ma le fanno purche’ "preventive" o "umanitarie". Anche la "riconversione" dell’industria bellica e’ un tema che, invecchiando, non e’ diventato piu’ facile e non si riescono a trovare proposte concrete - lo stato dovrebbe finanziarla - perche’ ormai tutti sanno che lo stampo dei proiettili non riesce a produrre caffettiere.

Quello che, pero’, va tenuto sotto controllo e portato avanti con il massimo di approfondimento e di iniziativa e’ l’educazione. Stiamo diventando societa’ violente, con ragazzi irresponsabili, educati dalle famiglie e dalla scuola all’irresponsabilita’. Nella mia citta’ nel ’68 si chiedeva di fare l’amore e non la guerra, nel ’77 comparve l’immagine della P38, e oggi si pretende il diritto di scrivere sui muri. E’ evidente che e’ stata sempre inadeguata la risposta alle sollecitazioni della storia, ma questo non esime dal riprendere in forme rinnovate l’impegno a fare qualcosa che impedisca una deriva. Una radice di cio’ che chiamiamo "pace" sta qui.

Anche perche’ i ragazzi che vanno a scuola oggi entreranno in un futuro molto piu’ intrigante di quello delle nostre generazioni: basta considerare il settore della genetica o la crisi ambientale per capire che sara’ necessario avere gente capace di cogliere il senso dei fenomeni complessi. In particolare vanno tenute nel debito conto le nuove tecnologie informatiche: il lavoro delle reti puo’ veicolare, se ben organizzate, informazioni e dati non solo per dare appuntamenti ad attivita’ del movimento, ma per sollecitare idee e proposte.

Se, poi i nonviolenti saranno cosi’ efficaci da capire che non si puo’ piu’ parlare di nonviolenza senza partire dalla cultura di genere e dalla competenza delle donne, forse si potra’ aprire qualche pagina nuova. Caro Mao, saro’ lieta se comunicherai anche agli altri questo mio contributo. Buon congresso e un abbraccio.


EKKEHART KRIPPENDORFF



[Ekkehart Krippendorff, nato nel 1934, gia’ docente di scienze politiche e relazioni internazionali alla Freie Universitaet di Berlino, alla City University e alla Columbia University di New York, e in diverse universita’ italiane (Bologna, Siena, Urbino) e di altri paesi (Austria, Giappone, Inghilterra...), e’ uno dei maggiori politologi tedeschi, autore di numerosissimi studi di argomento sociologico, politico e letterario. Fra le opere di Ekkehart Krippendorff: Staat und Krieg (Stato e guerra), 1985; Militaerkritik (Critica militare), 1993; L’arte di non essere governati, Fazi, Roma 2003; Critica della politica estera, Fazi, Roma 2004; Shakespeare politico, Fazi, Roma 2005. Il centro "Irene" di Udine sta traducendo in italiano il suo libro piu’ famoso nel campo degli studi di pace, Staat und Krieg (Stato e guerra), la cui pubblicazione e’ prevista per il 2008 per i tipi della Libreria Editrice Fiorentina]


Cari compagni,

vi invio un saluto cordiale e di simpatia per il vostro Congresso. Mi fa un grandissimo piacere che il mio modesto lavoro accademico risulti utile per le vostre deliberazioni nell’approfondimento di un atteggiamento politico e umano che abbiamo in comune.

La nonviolenza e’ ovviamente qualcosa di diverso da una semplice posizione intellettuale e generica di pura negazione ñ la a-violenza, cioe’ la negazione della violenza. Essa puo’ essere solo l’espressione pratica e il comportamento concreto di una visione positiva e creativa della vita, di una fiducia nella ragione dell’uomo, nella nostra capacita’ di crescere in coscienza e di superare istinti primordiali e primitivi come quelli della vendetta e del valore della forza fisica come indice della giustizia di una causa socio-politica.

Ammettiamo che la nostra e’ una posizione difficile, confutata empiricamente quasi ogni giorno - ma la storia dell’umanita’ e’ anche una lotta di minoranze contro l’empirismo facile e banale del potere che manipola gli oppressi, i poveri, i poco educati e che vuole farci credere che "la gente" vuole essere governata e preferisce rinunciare alla fatica dell’autogestione e dell’autonomia propria. Ammettiamo anche che la democrazia in questo senso e’ un modo di vivere davvero difficile, impegnativa e faticosa per tutti. Ognuno ha quindi il diritto di non partecipare alla vita pubblica e di ritirarsi (gli antichi greci, scopritori della politica come attivita’ collettiva, chiamavano un tale uomo un "idiota").

La guerra, la violenza fisica e’ il modo di comportarsi da "idiota" - cercare soluzioni presumibilmente rapide, efficaci e facili a problemi in realta’ complessi, come complessa e’ la vita umana stessa.


ALBERTO L’ABATE


[Alberto L’Abate e’ nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell’Universita’ di Firenze, e’ impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell’attivita’ di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita’ della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario e’ stato anche un esperto dell’Onu, del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’; ha promosso e condotto l’esperienza dell’ambasciata di pace a Pristina, e si e’ impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione"; e’ portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace. Tra le opere di Alberto L’Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001]


Cari amici,

avevo programmato di venire al Congresso ed avevo gia’ preparato due interventi da presentare e discutere in quella sede. Purtroppo una brutta malattia, una bronchite che secondo i medici richiede vari giorni per uscirne e molta attenzione a non strapazzarmi e non prendere freddo, mi impedisce di farlo.

Gli interventi, comunque, ve li faccio avere per e-mail, il primo sulla lotta all’emarginazione ve l’ho gia’ mandato ma nella versione che vi faccio spedire ora (il mio computer e’ bloccato, non capisco per quale ragione) c’e’ una piccola aggiunta che secondo me e’ molto importante; il secondo l’ho scritto ieri e perfezionato stamani mattina stesso, e lo passo a Gigi Ontanetti, della sezione locale del Movimento Nonviolento, "la Fucina per la Nonviolenza", che sara’ al congresso sabato e domenica prossima, e che ve lo spedisce, con líaltro, stasera stessa, ed e’ anche disposto a presentarlo al congresso a nome mio, perche’ se ne possa discutere. Se comunque li potete fotocopiare e mettere nella cartella del congresso questo puo’ facilitare la discussione.

Alcune raccomandazioni:

1) Nel direttivo dell’Ipri-Rete Corpi Civili di Pace, con le dimissioni di Giulia Allegrini, manca il rappresentante del Movimento Nonviolento eletto all’Assemblea. Sarebbe importante, per il funzionamento di questo organismo di cui fa parte anche il Movimento, che nominiate un vostro rappresentante che abbia tempo e voglia di seguire i lavori di questo organismo. Questo, attualmente, e’ impegnato in iniziative, con il Tavolo della Sentinelli, viceministro degli esteri, per fare qualche concreta realizzazione dei Corpi Civili di Pace, sia in Italia, attraverso un progetto Infoeas (Informazione di Educazione allo Sviluppo) che prevede molte iniziative in varie regioni italiane per far conoscere agli studenti di vari ordini e gradi, e alla popolazione stessa, cosa sono e cosa possono fare i Corpi Civili di Pace, ed all’estero con progetti in fieri per il Kossovo (due nostri collaboratori stanno andando in quella zona per cercare una associazione locale con la quale collaborare strettamente), ed in Medio Oriente (si sta cercando di vedere se e’ possibile presentare un progetto di lavoro in Palestina ed Israele per il prossimo bando della Comunita’ Europea di partnership con questa area. Gia’ attualmente collaboriamo ad un ufficio informazione e di coordinamento delle iniziate italiane in loco (una prima forma di ambasciata di pace) organizzato a Gerusalemme dall’Associazione della Pace, che fa parte delle Ipri-Rete Corpi Civili di Pace. Inoltre stiamo collaborando strettamente, con la Provincia di Bolzano, la Fondazione Langer, e l’Universita’ di Bologna, alla Conferenza nazionale sui Corpi Civili di Pace, che si terra’ a Bolzano, il 29-30 novembre 2007, ed a Bologna il primo dicembre. Oltre a questo siamo impegnati in iniziative, che anticipano líInfoeas suaccennato, a Venezia, e a Gorizia. Sull’altro fronte, di interventi di Corpi Civili di Pace contro i mali interni del nostro paese e nella lotta all’emarginazione, siamo impegnati ad organizzare una iniziativa in Calabria, nella Locride. Vi accludo un mio intervento su questa tema che sviluppa quello che ho presentato, a nome dellíIpri-Rete Ccp, al Tavolo del Ministro Ferrero sulla lotta all’emarginazione.

2) Ricordatevi che da un appello di Zanotelli e da un documento collettivo sulla lotta alle basi nucleari in Italia, firmato da molti di noi, attraverso un lungo lavoro cui hanno collaborato sia Tiziano Cardosi della Fucina per la Nonviolenza di Firenze, sia Alfonso Navarra di Milano, sia anche altri di noi, e’ stato predisposta una proposta di legge di iniziativa popolare sulla eliminazione di queste basi. Spero che qualcuno ne parli al congresso e che questo decida di dare una mano concreta alla raccolta di firme che questo progetto comporta. Su questo tema, nel mese di novembre, ci sara’ anche un convegno a Milano, cui collaboriamo anche come Ipri-Rete Ccp, che sviluppera’ a fondo questa tematica.

Detto questo tanti, tanti auguri per lo svolgimento dei vostri lavori che mi auguro siano proficui ed impegnati.

Cari saluti.


ENRICO PEYRETTI


[Enrico Peyretti (1935) e’ uno dei maestri della cultura e dell’impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e’ ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell’Ipri (Italian Peace Research Institute); e’ membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita’ piemontesi, e dell’analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e’ membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la’ del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall’albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e’ pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov’e’ la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita’. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e’ disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e’ in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu’ volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un’ampia bibliografia degli scritti di Enrico Peyretti e’ in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]


Carissimi amici,

non potro’ essere presente al congresso del Movimento Nonviolento per l’impegno preso gia’ un anno fa di partecipare, negli stessi giorni, al convegno a Camaldoli "Oggi la Parola".

Propongo un tentativo di riflessione sul tema del congresso: nonviolenza e politica, nonviolenza messa alla prova della politica. Mi pare che, su questo punto, noi oggi oscilliamo tra l’assoluto del principio, ricordato in tutta la sua pienezza, e il relativo, che e’ sempre il carattere dell’azione e della politica (azione sempre concertata con altri, sempre mediata con altre posizioni).

Per fare un paragone neotestamentario, la nonviolenza e’ come la fede, la politica e’ come le opere: la fede senza le opere e’ morta, ma le opere sono sempre inferiori alla fede, sono imperfette, parziali.

La nonviolenza deve diventare politica; la politica deve diventare nonviolenta. Su questo siamo d’accordo. Questo "deve" e’ un dovere morale nei persuasi della nonviolenza, e’ la dinamica necessaria per salvare la storia, ma non e’ imponibile per via politica, di legge, di maggioranza, se non matura prima nelle convinzioni. Quel dovere non puo’ realizzarsi totalmente in tempi visibili, cioe’ rimangono impurita’ e compromessi anche nella politica che cerca nonviolenza.

La nonviolenza o sta a parte, guarda e giudica politica e storia ripetendo il principio "non uccidere", "no a eserciti e guerra"; oppure scende nella storia e nella politica realizzando il piu’ possibile - cioe’ non perfettamente -, insieme ad altri, certi gradi di riduzione della violenza, che saranno, nel migliore dei casi, soltanto gradi di riduzione e non scomparsa della violenza.

Credo che i diversi movimenti oggi ispirati alla nonviolenza potrebbero ottenere qualche passo politico istituzionale di riduzione della violenza attualmente presente nella politica, se si collegassero in una "federazione politica nonviolenta", per agire insieme.

Mao Valpiana scrive (in "Notizie minime della nonviolenza in cammino" del 13 ottobre 2007): "Se riusciamo a svolgere un buon congresso e condurre una buona manifestazione, avremo, nei fatti, gia’ messo in atto la nostra politica nonviolenta. E’ quello che possiamo e vogliamo fare". Dubito proprio che fare bene le due ottime cose che dice Mao sia gia’ aver messo in atto la politica nonviolenta. I valori, gli obiettivi (per noi la nonviolenza), poi i programmi e mezzi di azione, per diventare politica hanno bisogno di consenso. La nonviolenza e’ cultura, educazione, propaganda, ma non sara’ politica fino a quando non avra’ un certo numero di consensi, notevole, influente, determinante. Fino ad allora e’ progetto politico, ma non "messa in atto della politica nonviolenta". Questa attuazione e’ assai lontana. Non facciamoci illusioni. Se riusciamo a farne passare qualche elemento, dobbiamo accettare di non potere per ora togliere una maggiore quantita’ di violenza dalla politica.

L’assolutismo dei principi e’ ben giusto, ma, se la nonviolenza si limita a riaffermarlo, deve rinunciare alla politica, che e’ necessariamente relativa dovendo tollerare quote di contraddizione, ed e’ tuttavia accettabile, nonostante queste contraddizioni, se e’ orientata nella giusta direzione. Oppure il movimento deve "dire tutta la verita’ al potere" (Gandhi), senza condividere il potere politico, ma deve rispettare il lavoro di chi fa politica accettandone la relativita’. Dalla discussione sulla guerra in Afghanistan nel 2006, qualche amico della nonviolenza insulta pesantemente ("assassini complici di assassini") quei politici, compresa Lidia Menapace, che ritennero di dover tollerare la presenza italiana in quella guerra in vista di una sua riduzione, e chi di noi ha dimostrato comprensione per loro. Anche a me pare evidente che l’affermazione assoluta del principio contro la guerra fino a far cadere il governo di centro-sinistra porterebbe piu’ guerra, col ritorno del centro-destra che volle affiancare attivamente le guerre dell’impero. Bisogna che tra noi ci sia rispetto della diversita’ dei giudizi politici concreti, altrimenti non c’e’ nonviolenza e non c’e’ politica.

Vi allego una riflessione su "Politica e morte", che non vorrebbe essere pessimista e scoraggiante, ma un guardare insieme la strada ardua da percorrere.

Auguro di cuore buon lavoro al Congresso e mando un fraterno saluto a tutti.


GIULIANO PONTARA



[Giuliano Pontara e’ uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia’ apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e’ nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita’ del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l’Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent’anni all’Istituto di filosofia dell’Universita’ di Stoccolma. E’ in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita’ italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e’ uno dei fondatori della International University of Peoples’ Institutions for Peace (Iupip) - Universita’ Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e’ stato coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E’ membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita’ e’ stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita’ di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E’ stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell’era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita’ nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un’etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49; L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006. E’ autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E’ pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu’ ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo’ essere letta nel n. 380 de "La nonviolenza e’ in cammino"]


Cari amici e compagni della nonviolenza difficile,

mi piacerebbe essere fisicamente presente a queste giornate di corale ricerca e marciare con voi per le vie di Verona (e magari tirar fuori sul piu’ bello un panino di tasca e mangiarlo ordinatamente in istrada); non potendo essere presente, desidero esprimervi la mia ammirazione e gratitudine per il vostro continuo, giornaliero, instancabile impegno etico-politico di cui, ne siamo tutti coscienti, c’e’ piu’ bisogno che mai. La nonviolenza e’ fatta nel giornaliero, da uomini e donne "terribilmente normali", con aggiunte individuali che assieme possono creare ruscelli, torrenti, fiumi.

Buon lavoro e un caro saluto a tutti.


LORENZO PORTA


[Lorenzo Porta, studioso e amico della nonviolenza, sociologo, peace-researcher, e’ docente di "Maieutica reciproca e ricerca-azione per la pace" del Corso di laurea "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" del Dipartimento di Studi sociali della Facolta’ di Scienze della formazione e scienze politiche dell’Universita’ di Firenze; collabora con la Libera Universita’ delle Autobiografie di Anghiari. Tra le opere di Lorenzo Porta: (a cura di, con Nedo Baracani), Il pregiudizio antisemitico. Una ricerca-intervento nella scuola, Franco Angeli, Milano 1999; "Procedimento maieutico e scrittura autobiografica", in I. Gamelli (a cura di), Il prisma autobiografico, Unicopli, Milano 2003; (a cura di), Autobiografie a scuola. Un metodo maieutico, Franco Angeli, Milano 2004]


Invio questa lettera aperta dopo aver consegnato un mio saggio a Mao Valpiana intitolato "Sul buon uso degli anniversari: memoria e futuro a partire da Danilo Dolci". Per la sua lunghezza tale scritto non verra’ pubblicato sulla rivista "Azione nonviolenta", ma pochi giorni fa Mao lo ha commentato ed ha colto alcune problematiche importanti in esso sollevate. Non posso essere presente all’assemblea, ma con questa mia lettera spero di essere compresente proprio nei primi giorni di novembre che per Aldo Capitini erano la "festa della compresenza dei morti e dei viventi". Nel saggio succitato che verra’ pubblicato prossimamente in un numero monografico su Dolci dalla rivista "Segno" ho cercato di descrivere la temperie culturale degli anni ’50, decade in cui la lotta nonviolenta organizzata animata da Dolci e il Centro studi e iniziative di Partinico si andava dispiegando. Ho sottolineato la tenace, costante e poco ostentata trama di relazioni che Aldo Capitini aveva realizzato attorno all’esperimento di Dolci negli anni ’50 ed in particolare ai contatti che aveva coltivato con l’area dell’azionismo socialista e democratico di Piero Calamandrei, avvocato difensore di Dolci e dei compagni che attuarono lo sciopero alla rovescia del febbraio ’56 di ricostruzione di una strada a Partitico. Il processo del marzo ’56 e’ il capovolgimento del concetto di ordine pubblico dei codici fascisti per far risaltare un "disordine" come esercizio della democrazia nello spirito della Costituzione repubblicana. Nel mio lavoro di scandaglio dell’epoca, nonostante gli anni duri del sindacato spaccato, dell’Europa della guerra fredda, della societa’ divisa ideologicamente, ho visto crearsi attorno all’iniziativa siciliana un polo d’attrazione che coinvolge trasversalmente giovani, intellettuali critici, gruppi e movimenti che intendono andare oltre le ideologie sclerotiche: un cattolicesimo istituzionale ancora gravido di dogmatismo, sulla difensiva; ed un comunismo gerarchico, che affidava al partito ed al suo gruppo dirigente le decisioni del cambiamento: attendere la presa del potere e poi costruire la societa’ nuova.

Ma oggi in una societa’ la cui composizione di classe e’ molto cambiata e in cui la produzione di beni e servizi si e’ moltiplicata a dismisura, cosa ci dice quella frase pronunciata da Dolci che fu incriminata per oltraggio alle istituzioni: "Non garantire il lavoro secondo lo spirito della Costituzione e’ da assassini". (...)

Ecco la grande differenza tra una strategia di azione diretta nonviolenta che vuole colpire l’ingiustizia e non le persone e propone strategie concrete di lotta a vasta partecipazione per contrastare lo sfruttamento. Il problema e’ terribilmente serio, lo constatiamo negli strati bassi del lavoro dequalificato soprattutto nel settore terziario, dove si concentra la gran parte del lavoro deregolamentato, precario, una situazione simile a quella del vasto settore agricolo negli anni ’50.

La grande manifestazione del 20 ottobre a Roma ci dice che e’ possibile organizzare territorialmente un controllo dal basso del furto di tempo, legalita’ e democrazia presente in modo diffuso negli ambiti vitali delle nostre societa’ sentito da milioni di persone, ma che non trova un corrispettivo organizzativo adeguato alla sfida proprio per la situazione di polverizzazione e divisione fisica, territoriale e contrattuale dei lavoratori.

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Anche il lavoro intellettuale e’ esposto ad una precarizzazione di lungo periodo, nell’ambito dell’istruzione nei diversi gradi degli insegnamenti dalle elementari all’Universita’. Assistiamo ad un aumento forte della societa’ disciplinare, gerarchica, con diffusione delle pratiche di mobbing, termine di nuovo conio per esprimere l’arbitrio delle decisioni. E questo avviene nei luoghi pubblici preposti alla formazione culturale dei giovani. L’universita’ e’ sovente il luogo in cui queste pratiche sono diffuse fino a considerarle un elemento ambientale ineliminabile. Non e’ vero! Un’universita’, quella italiana, dove le percentuali di abbandono dei corsi e’ piu’ che doppia nei soggetti con genitori privi di laurea rispetto a coloro che hanno un genitore laureato, questo differenziale non e’ mutato sostanzialmente dal 2001 al periodo in cui e’ stata varata la riforma Moratti e successivamente (Indagine Istat sui "Percorsi di studio e di lavoro dei diplomati", 2004, cfr. www.lavoce.it, argomento: Scuola e Universita’, Uguali perche’ mobili, gennaio 2007; La mobilita’ sociale resta al palo, ottobre 2006).

La ricerca versa in condizioni miserevoli ed e’ assai scadente a confronto con altri Stati europei. Non solo, la didattica fino ad ora e’ stata tremendamente compressa con la semestralizzazione dei corsi. Solo ora il Ministro Mussi ha posto mano all’increscioso problema aumentando a 120 ore annue l’attivita’ didattica dei docenti strutturati (associati e ordinari) e facendo argine ai Corsi di laurea fittizi. Ma gran parte del lavoro e’ svolto dai quarantottomila docenti a contratto che con compensi da fame svolgono le lezioni, fanno ricevimento, seguono le tesi. Alcuni di essi sono persone che svolgono altre professioni e si fregiano di un "titolo di prestigio", molti altri sono studiosi che hanno puntato moltissimo sul lavoro all’Universita’ e si trovano con un compenso che a Firenze in quest’anno accademico si aggira sui 720 euro lordi per quaranta ore di lezione (6 crediti formativi). Sia questi incarichi, sia la partecipazione a gruppi di ricerca, ad attivita’ didattiche a pagamento come masters, perfezionamenti, sono a discrezione dei professori ordinari.

Ma c’e’ di piu’. Nella mia doppia veste di docente a contratto di "Maieutica reciproca e ricerca azione per la pace" nel Corso "Operazioni di pace" di Firenze e di docente di ruolo in filosofia e scienze della formazione nelle scuole superiori ribadisco e preciso quello che avevo gia’ detto nel seminario su "Monviolenza e politica" del maggio 2006 a Firenze e in quello su "La politica e la nonviolenza" nell’ottobre 2006 a Verona, ma che non e’ stato sufficientemente recepito. Gli effetti della precarizzazione, dell’aumento dell’arbitrio si manifestano anche in quei corsi di laurea come quello di "Operazioni di pace" a Firenze, corsi dove i valori della pace, del disarmo e della nonviolenza sono oggetto di studio oltre che essere assunti da chi li studia come espressione di una societa’ possibile e desiderabile. Qui la contraddizione e’ piu’ stridente che in altri ambiti dell’istituzione universitaria.

Chiedere trasparenza nei consigli di corso di laurea sui meccanismi di reclutamento nei concorsi universitari e’ considerato un affronto all’autorita’, un esercizio della democrazia paritaria curiosa, frase che significa: "come osa un docente a contratto chiedere trasparenza. E’ gia’ tanto che sieda in Consiglio di Corso di Laurea, bisognerebbe tornare agli anni ’50, quando gli assistenti, quasi tutti di classi elevate, non avevano alcun riconoscimento giuridico, faceva fede l’affiliazione di classe". Per avere praticato questo elementare esercizio della democrazia ho pagato e sconto misure di isolamento.

Chiedo al Movimento Nonviolento che si possa istituire un gruppo di lavoro come un coordinamento di insegnanti che possa approfondire ed agire da collegamento sulla questione della democrazia, trasparenza e qualita’ della formazione nelle universita’, nelle scuole, luoghi pubblici preposti alla formazione culturale e professionale dei giovani. Gli amici della nonviolenza si presentano spesso nell’universita’ in ordine sparso e si trovano talvolta impotenti ed accettano lo stato delle cose, tollerando che veri e propri abusi possano essere fatti passare come vizi di forma. Tutto cio’ non deve accadere.


CARMELO SGANDURRA



[Carmelo Sgandurra, amico della nonviolenza, gia’ obiettore di coscienza, e’ insegnante ad Avola, impegnato in iniziative di pace e di solidarieta’]



Cari amici della nonviolenza,

mentre scrivo vi immagino riuniti a Verona e mi sento vicino a voi (compresente), anche se scrivo dall’estremo sud. Ho vissuto tre anni in Veneto ed ho conosciuto persone straordinarie ed esperienze in grado di rilanciare sempre la speranza che si possa costruire un mondo piu’ equo, piu’ giusto, meno arrogante. Tre anni che hanno lasciato il segno, dei bei ricordi e tanti amici, anche tra voi del Movimento Nonviolento. Ho scelto di aderire al movimento perche’ credo che la nonviolenza sia l’unica strada percorribile per rendere piu’ umano il rapporto con gli altri, a cominciare da noi stessi, prima ancora di dare risposte concrete a grandi temi come la politica, l’ambientalismo, l’antimafia.

Penso alle esperienze di questi ultimi mesi ed in questo momento, in particolare, penso alla bellissima figura di Danilo Dolci che ha gettato le basi della resistenza nonviolenta all’arroganza mafiosa e merita di essere imitato e ricordato, dieci anni dopo la sua morte, in maniera piu’ dignitosa, soprattutto da noi siciliani.

Con la certezza che le strade della nonviolenza, pur non essendo molto trafficate, sono in grado di indicarci la direzione giusta, vi auguro buon congresso.


LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: BREVI TRE CONSIDERAZIONI



Una nonviolenza meramente declamatoria, meramente scolastica, meramente professorale, non e’ nonviolenza, ma dissipazione.

Una nonviolenza che delega la politica ad altri, non e’ nonviolenza, ma vilta’.

Una nonviolenza che non trasforma il mondo, che non salva le vite, che non ferma la guerra e le stragi, che non organizza la resistenza alla barbarie, che non si pone l’obiettivo del potere, del potere per la liberazione di tutte e tutti, del potere di tutte e di tutti, non e’ nonviolenza, ma complicita’.

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
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Numero 265 del 6 novembre 2007



Martedì, 06 novembre 2007