Congresso Movimento Nonviolento - Testimonianza
Intervista a Mao Valpiana

di Diana Napoli

[Ringraziamo di cuore Diana Napoli e Mao Valpiana per questa intervista realizzata a Verona il 4 ottobre 2007.

Diana Napoli, laureata in storia presso l’Universita’ degli studi di Milano, insegna nei licei, e’ stata volontaria in servizio civile presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.

Mao (Massimo) Valpiana e’ una delle figure piu’ belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e’ nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e’ impegnato nel Movimento Nonviolento (si e’ diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e’ membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l’altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e’ stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un’azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e’ stato assolto); e’ inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell’Obiezione di Coscienza); e’ stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta’ con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita’ su nostra richiesta, e’ nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e’ in cammino"]


- Diana Napoli: Iniziamo con un questione concreta e su cui mi piace sempre parlare: quanti dei volontari che hanno svolto il servizio civile presso la Casa della nonviolenza sono rimasti legati alla nonviolenza?

- Mao Valpiana: Ce ne sono diversi. Raffaella Mandolia era volontaria e adesso addirittura e’ diventata responsabile della sede di Mestre e fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento. Giulia Allegrini e’ stata volontaria qui e ora sta continuando il suo percorso nei Corpi civili di pace (in sigla: Ccp), e’ nei coordinamenti internazionali. Niccolo’, che ora gestisce la biblioteca della casa di Verona, e’ stato anche lui un volontario. Altri, a richiesta, vengono, passano di tanto in tanto, mantengono un legame.

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- Diana Napoli: Alcune delle persone con cui ho potuto parlare hanno fatto notare che forse c’e’ da parte del Movimento Nonviolento una certa difficolta’ ad accedere al bacino dei volontari in servizio civile, compresi quelli del Movimento Nonviolento per cui a volte la formazione non e’ sufficiente a trasmettere (al di la’ delle motivazioni dei volontari che ovviamente scelgono, volontariamente, i bandi) il senso del "progetto" sulla nonviolenza che di volta in volta viene messo in atto.

- Mao Valpiana: Io penso che molto si costruisca sul campo e per quello di cui ho avuto esperienza la formazione, intesa come ore destinate specificamente dal bando ai volontari, abbia una ricaduta molto molto relativa. Quello che conta e’ il rapporto che si crea nei dodici mesi del servizio civile. E molto dipende dal fatto che ci sia o meno da parte del volontario, in partenza, la disponibilita’ (Raffaella per esempio, aveva "incontrato" Capitini negli studi universitari): se questa c’e’, trova nel Movimento Nonviolento un terreno fertile ed e’ qualcosa che puo’ crescere. Chi arriva gia’ impermeabile riesce a passare dodici mesi senza farsi coinvolgere. La formazione influisce relativamente.

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- Diana Napoli: Una volta ti ho sentito dire, al comitato di coordinamento, che a tuo avviso non c’era sempre il giusto "ricambio" e che all’interno del Movimento molti se ne andavano ma pochi arrivavano a dare il cambio. Era il pessimismo di un giorno o una constatazione generale?

- Mao Valpiana: Era pessimismo e realismo, pero’ quel giorno parlavo non del Movimento ma del comitato di coordinamento. Effettivamente giovani che entrino a farvi parte non ce ne sono, da un po’ di anni. Gli ultimi sono Pasquale Pugliese o Massimiliano Pilati, giovani per modo di dire, nel senso che si tratta di persone che adesso hanno intorno ai 40 anni e sono entrati diversi anni fa. L’ultima e’ Raffaella Mendolia. Tuttavia questo e’ da imputare al fatto che il comitato di coordinamento e’ un organismo particolare, per cui e’ necessaria un po’ l’idea della militanza politica, un approccio anche molto "politico" in un certo senso. Ma questo non deve far intendere pero’ che i giovani siano un problema (come di solito chiedi sempre nelle altre interviste che ho letto). I giovani restano, ce ne sono, Marco Brandini, per esempio, era un giovane obiettore che si e’ appassionato ed e’ restato qui per dodici anni. Restano, ma impegnandosi su settori particolari. Mentre una volta si aderiva anche un po’ ideologicamente: "io aderisco al Movimento Nonviolento e dunque sono anche disposto ad entrare nel direttivo", ora mi pare che l’approccio sia diverso, piu’ pragmatico: entro e rimango su quel settore che mi piace, mi interessa... pero’ i giovani nell’ambito della nonviolenza io li vedo. Voi siete giovani, per esempio. Noi i posti per il servizio civile li abbiamo sempre coperti mentre ci sono enti pubblici che non li coprono.

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- Diana Napoli: Quando c’e’ un settore che interessa, una proposta, i giovani entrano e rimangono. Dato il gran parlare che si fa di crisi della politica, non sarebbe il caso di elaborare una proposta politica articolata su piu’ livelli, in grado di coinvolgere diversi piani e settori? O forse il Movimento Nonviolento ce l’ha, solo che non si vede, non e’ immediatamente percepibile o visibile?

- Mao Valpiana: La proposta c’e’, certo; solo che per vederla ci vuole impegno, attenzione. La nonviolenza e’ una proposta globale, articolata, dalle centomila articolazioni, coinvolge tutta la vita, tutta la persona.

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- Diana Napoli: Su questo oggi c’e’ un po’ di confusione, dato che basta fare una manifestazione senza picchiarsi e ci si dichiara nonviolenti. Forse allora cosa sia esattamente la nonviolenza e’ una questione non presente a tutti, o che non emerge, per cui non saprei dire in effetti se sia una bene o un male questa circolazione cosi’ superficiale del termine "nonviolenza".

- Mao Valpiana: Uno dei compiti del Movimento Nonviolento e’ proprio quello di fungere da continuo richiamo e mantenere viva la nonviolenza specifica. Noi tendiamo infatti a specificare e ad aggiungere al termine gli aggettivi: nonviolenza attiva, gandhiana, capitiniana... e questo e’ necessario di fronte a una genericita’ per cui nonviolenza e’ sinonimo di pace e pace e’ sinonimo di non si sa piu’ che cosa, anche se uscire da questa genericita’ non e’ semplice. Gia’ non abbiamo accesso (e dico per fortuna) ai grandi mezzi di comunicazione che fanno di tutto una marmellata, pero’ in effetti entrare in contatto con questa "specificita’" della nonviolenza e’ difficile. La gente, i giovani, fanno fatica a trovarci e ad entrare in contatto con noi. Un giovane normale, che va a scuola e guarda la televisione, e’ improbabile che senta parlare della nonviolenza. Se non ha l’amico, il fratello maggiore, o la madre che gli dice che e’ esistito un certo don Milani, un tale Capitini, che ci sono le sedi...

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- Diana Napoli: Io stessa mi ricordo di aver incontrato Capitini all’universita’, ma relativamente al vegetarianesimo: del Movimento Nonviolento non si parlava...

- Mao Valpiana: Pero’ quando un giovane per fortuna, per caso, o per volonta’, per sua tenacia, entra in contatto, a me pare di poter dire che ha la possibilita’ di rimanere, portare il suo contributo particolare, la sua freschezza e soprattutto di interessarsi. Se tu prendi un numero di "Azione nonviolenta" a caso, nella raccolta che c’e’ in questa stanza dal 1964 al 2005, e inizi a sfogliare, troverai una ricchezza incredibile, una miniera che deve ancora essere scoperta e utilizzata, ma che c’e’. E anche se qualcuno afferma che tanto patrimonio, che nessuno conosce, serve a poco, io non sono d’accordo. Intanto c’e’, ed e’ gia’ molto, e quando sara’ scoperto servira’ a molti: e’ una miniera nascosta e quando qualcuno trovera’ questo tesoro sara’ un filone lunghissimo da esplorare. Anche se dal punto di vista legislativo e istituzionale il risultato piu’ importante per il Movimento Nonviolento e’ stato il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza, esistono anche tanti altri piani su cui si e’ lavorato e per cui a volte noi stessi fatichiamo a rendercene conto o a riconoscercelo. Lo testimoniano, come dicevo, i fascicoli di "Azione nonviolenta".

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- Diana Napoli: Tu come sei arrivato al Movimento Nonviolento? Immagino che avrai avuto diverse occasioni di raccontarlo, ma io non lo so.

- Mao Valpiana: In casa mia si parlava spesso di mio nonno, il padre di mia madre, che era stato un resistente antifascista, arrestato e poi morto a Mauthausen. E quindi sin da giovane, in casa, ho macinato questo clima culturale. Lui non era un partigiano in senso classico, ma un intellettuale pacifista (il termine nonviolento non si usava), era un avvocato e una delle prime irruzioni delle brigate nere nel suo studio porto’ alla requisizione dei suoi libri di Tolstoi. Era un socialista, antifascista, ma seguiva un filone antimilitarista. Su questo terreno culturale sono cresciuto. Poi ricordo un altro episodio, cioe’ l’arresto di un amico delle mie sorelle, Enzo Melegari. E io pensai: "cosa avrA’ fatto, rubato? Mi sembrava un bravo ragazzo". Era il primo obiettore cattolico a Verona, in carcere per obbedienza al Vangelo; per fedelta’ al messaggio cristiano non volle fare il servizio militare. Questa faccenda mi aveva colpito moltissimo e ho cominciato a coltivarla dentro di me, pensavo: "anche io quando saro’ grande faro’ cosi’...". Poi frequentando la parrocchia e gli scouts...

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- Diana Napoli: Ma quando avevi l’eta’ per fare il militare era gia’ passata la legge sull’obiezione di cpscienza?

- Mao Valpiana: No, stava passando. Quando io ho scritto la dichiarazione di obiezione pensavo che sarei andato in carcere; dichiarazione collettiva, eravamo in tre, della parrocchia. Poi passo’ la legge. Sono stato uno dei primi a Verona.

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- Diana Napoli: Correggimi se sbaglio, ma parlando con diverse persone, noto che il retaggio cattolico e’ sempre fortissimo. Sono arrivata a pensare, certo estremizzando, ma per farmi comprendere, che se non ci fosse stata la Populorum progressio e la Pacem in terris non si sarebbe fatto nulla, e non solo per la nonviolenza. Che ruolo aveva la formazione cattolica? Tu stesso parli della dichiarazione con due compagni della parrocchia. Ora che mi viene in mente, una volta hai anche scritto un articolo molto bello contro la guerra in Iraq ispirandoti ad alcuni esempi di San Francesco.

- Mao Valpiana: Negli anni ’60, ’70, ’80, gli ambienti culturali cattolici erano piu’ propensi ad offrire una formazione e delle figure di riferimento che indirizzassero verso la nonviolenza che non gli ambienti culturali della sinistra storica o extraparlamentare che avevano un’altra tendenza. In parrocchia sentivi parlare di don Milani, in un gruppo giovanile della sinistra di Che Guevara. Molti di noi poi vengono dall’esperienza degli scout e gli scout puntavano molto sui temi della condivisione, solidarieta’, ecologia, rapporto con la natura. Molti di loro li ritroviamo nei Verdi, non a caso. Poi e’ vero che il Movimento Nonviolento e’ un movimento laico ed io vi appartengo proprio per questo, pero’ e’ anche vero, ed e’ una questione che per me resta aperta, non ancora risolta, che i nostri grandi maestri, da Gandhi, a Lanza del Vasto, a Martin Luther King, vedevano la nonviolenza come una qualcosa di religioso, o meglio vivevano la nonviolenza come un aspetto del loro essere persone di fede, persone religiose. Gandhi diceva che "una vita senza religione e’ una barca senza timone". Capitini non era cattolico, ma era un libero religioso e la sua proposta e’ permeata di spirito religioso. Ma naturalmente esiste anche una nonviolenza atea o una nonviolenza agnostica, e comunque laica... poi ognuno fa i conti con se stesso. Forse sono piu’ facilitati coloro che hanno una visione di trascendenza, nel senso che la nonviolenza fa della sconfitta la grandezza e questo e’ il cuore del cristianesimo. Il cristianesimo vince nel momento della croce e questo, che e’ un paradosso per il mondo, e’ compreso benissimo dalla nonviolenza, che e’ la nonviolenza dei vinti, degli umili, dei poveri. Pero’, detto questo, cio’ non toglie che il Movimento Nonviolento resti un movimento laico, e a me pare giusto cosi’... che la nonviolenza sia aperta a tutti, ma proprio a tutti.

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- Diana Napoli: Questo e’ vero, pero’ forse questi aspetti sono quelli piu’ suscettibili di coinvolgere le persone. Forse il fatto che queste cose non siano proprio all’ordine del giorno (anche perche’ magari esistono questioni piu’ urgenti di dibattito) e’ un danno che si fa al Movimento Nonviolento.

- Mao Valpiana: Ma no, il dibattito su "religione e laicita’" e’ ben presente, e vivo, e attuale per noi... abbiamo fatto anche un convegno, e poi un libro intitolato "Convertirsi alla nonviolenza?".

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- Diana Napoli: Ma in un anno di servizio civile e’ la prima volta che ne sento parlare (a parte il manifesto dell’archivio).

- Mao Valpiana: Io non lo sbandiero perche’ si tratta, per ciascuno, di una questione personale. Ma torniamo a Francesco, oggi e’ il 4 ottobre, lui e’ il santo della nonviolenza: leggendo la sua vita e le sue opere e’ un esempio straordinario. Dopo Buddha e Gesu’ penso che venga San Francesco e poi Gandhi. La modernita’ della nonviolenza viene da questi quattro maestri. Approfondendo anche solo un po’ l’analisi e la riflessione ci si chiede come sia stato possibile che la Chiesa, che ha avuto al suo interno figure come Francesco, abbia fatto certe scelte nella storia, come il concordato, la vicinanza al regime fascista (motivo per il quale Capitini usci’ dalla Chiesa). La Chiesa celebrera’ la beatificazione di Franz Jaegerstaetter. Era un contadino, un autodidatta, ma maneggiava i testi sacri mirabilmente e a partire da cio’ ha deciso di vivere fino in fondo, con serenita’, la coerenza con il suo sentire religioso, una scelta radicale di nonviolenza, l’obiezione di coscienza, accettando col sorriso sulle labbra la decapitazione; finalmente, dopo 60 anni, la Chiesa ha riconosciuto questo gesto e la beatificazione e’ nient’altro che il riconoscimento di un perfetto cristiano, di una persona che ha vissuto in Cristo. Se dunque chi ha praticato l’obiezione di coscienza al nazismo, litigando col suo vescovo e opponendosi alla chiesa che benediceva le armi, e’ stato beatificato, altrettanto dovrebbe fare, per la parte "civile" l’Europa: Franz Jaegestaetter era il cittadino europeo perfetto. Lui aveva capito, mentre tutti gli altri sbagliavano: per paura, menefreghismo, quello che sia, ma sbagliavano. Perfetto cristiano ma anche perfetto cittadino: sulle monete dell’euro bisognerebbe incidere il profilo di Jaegerstaetter, contadino austriaco che da solo contro l’Europa nazista aveva fatto la scelta giusta, e non solo per motivi religiosi ma anche, appunto, civili: perche’ era per l’Austria, per la dignita’ del popolo, io non vedo contraddizione tra questi due aspetti. E l’Italia? Francesco e’ patrono d’Italia: come puo’ l’Italia avere un patrono cosi’, il santo della nonviolenza, e poi impegnarsi nei bombardamenti?

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- Diana Napoli: Tu credi che, arrivati a questo punto, la nonviolenza debba trasformarsi in un movimento politico?

- Mao Valpiana: Lo siamo gia’: io penso che la nostra sia la buona politica. Oggi purtroppo siamo un po’ schiacciati tra la mala politica e l’antipolitica e a pochi viene in mente che possa esserci una terza via: la buona politica, o come io preferisco chiamarla, la politica della nonviolenza. Dobbiamo migliorare sul piano organizzativo, siamo troppo carenti, gli diamo poca attenzione, ma si capisce anche il perche’: la nostra e’ la storia dell’obiezione di coscienza, per cui siamo "forti" sulla coscienza, appunto, l’individualita’, la singola persona che deve trovare dentro di se’ la forza (ed e’ tutto un aspetto positivo), la motivazione... L’aspetto negativo e’ che a volte manca la dimensione organizzativa, di movimento, la capacita’ di creare le reti, i collegamenti tra le persone e i gruppi... quella che i leninisti chiamavano "l’organizzazione".

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- Diana Napoli: Non a caso sono leninisti. E nei rapporti coi partiti? Ci si candida come esponenti del Movimento Nonviolento oppure credi che sia preferibile, per il momento, la scelta dei singoli di candidarsi autonomamente, a prescindere dal fatto che si faccia parte del Movimento Nonviolento?

- Mao Valpiana: Io ho avuto l’esperienza di candidarmi come Movimento Nonviolento. Ho svolto due mandati in consiglio regionale e poi mi sono candidato a livello nazionale, nel 1987 mi pare. Era la prima volta che i verdi si presentavano a livello nazionale e noi del Movimento Nonviolento avevamo valutato che la nascita dei Verdi fosse un fenomeno interessante, soprattutto per l’impostazione che Alex Langer aveva dato al movimento, con le liste locali, per esempio, che rispecchiavano la nostra concezione di base della politica e il Movimento Nonviolento aveva ritenuto utile la candidatura di chi credeva di poterlo fare. Anni prima c’era stata una vicinanza col partito radicale (sull’obiezione di coscienza la battaglia finale fu un lungo digiuno di Pannella per ottenere la calendarizzazione della legge entro Natale del 1972); alcuni esponenti del Movimento Nonviolento, Pietro Pinna, Matteo Soccio, furono candidati nelle liste dei radicali con la dicitura "indipendenti del Movimento Nonviolento". Poi Successivamente, con la nascita dei Verdi, nella prima ondata di presentazione delle liste i nonviolenti erano presenti, e molti sono stati eletti: io a Verona, Melodia a Livorno, Zavalloni a Cesena, Bergamaschi a Viadana, Michele Boato a Venezia... avevamo fatto anche un coordinamento degli eletti nonviolenti nei consigli comunali. E quindi quando i verdi decisero di presentarsi sul piano nazionale io pensai che questo poteva aiutare il Movimento Nonviolento: io ero conosciuto a Verona, ero stato in consiglio regionale...

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- Diana Napoli: Una volta ho sentito qualcuno che ti prendeva in giro dicendo che per te la politica e’ una malattia.

- Mao Valpiana: Si’, una malattia incurabile. Comunque in quelle occasioni mi qualificavo sempre come rapprsentante del Movimento Nonviolento, forse un modo per condividere la malattia e la cura insieme.

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- Diana Napoli: Ci sarebbero oggi le condizioni per ripetere un’esperienza del genere?

- Mao Valpiana: Non vedo nessun partito che abbia le caratteristiche: non tanto per accettare loro noi, ma noi loro.

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- Diana Napoli: A volte la forza di un movimento, o cosi’ mi pare, sta non solo nell’"anima", nella proposta politica piu’ o meno articolata... ma anche nel fatto che riesce a fare opposizione radicale su certe questioni, per esempio la guerra, il che sarebbe all’ordine del giorno tra l’altro, ma non solo. Anche se poi risultasse perdente da un punto di vista numerico, non sarebbe utile impegnarsi in una campagna nazionale (al di la’ della legge elettorale), per riportare all’attenzione certi temi? O anche per far si’ che ci sia qualcuno che si candida all’opposizione, per opporsi e non transigere su determinate questioni. Perche’ con questa storia che bisogna sempre scegliere il meno peggio, che la situazione e’ difficile, opposizione, alla fine, non la fa piu’ nessuno. Chi e’ che si oppone alle scelleratezze?

- Mao Valpiana: La missione del Movimento Nonviolento, il suo motivo d’essere, e’ l’opposizione integrale alla guerra e alla sua preparazione. Per questo lavoriamo ed esistiamo. Trovare un partito che condivida questo e’ difficile perche’ mette in crisi l’organizzazione stessa dello Stato, discute l’esercito, le sue funzioni... Tu dici: pero’ bisognerebbe farlo lo stesso. Si’, sono d’accordo, ma in questa fase no. In altri momenti ho sostenuto tesi diverse, ma in questo momento non lo sosterrei. Siamo in un momento in cui anche le migliori delle persone (e in parlamento ce ne sono) vengono schiacciate da un meccanismo, per cui non si riesce, con tutta la buona volonta’, a fare nemmeno il grillo parlante (il grillo della favola di Pinocchio, mica il comico...), che sarebbe peraltro una nobilissima funzione. Ma in questa fase no, siamo in una babele... questa non e’ politica. Siamo in una fase preoccupante, gravissima. Non sono contrario in assoluto, ma ora non vedo la possibilita’, per noi. Spero pero’ di sbagliarmi, e che quanto prima anche nelle istituzioni si possa ritornare a fare politica seriamente. Sembra un paradosso, ma e’ cosi’. Io ho sempre sostenuto che Langer incarnasse la politica della nonviolenza, che fosse in grado di portare nelle istituzioni, sia nei contenuti che nel modo di essere, la nonviolenza. Ha messo in pratica l’omnicrazia. Capitini ha teorizzato "il potere di tutti", Alex ha cercato di realizzarlo, con tutte le difficolta’ del caso, ma riuscendo a fare breccia nelle istituzioni come prima non si era riusciti. Quindi lui faceva benissimo a fare il politico; eppure persino a uno come lui oggi direi che e’ meglio restarne fuori, dalle istituzioni, a fare il movimento. E’ un dramma. Io non voglio proclamare il fallimento della politica, ma bisogna riformarla. Forse bisognerebbe riformarla da fuori, per poi tornarci dentro.

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- Diana Napoli: E come si riformano da fuori le istituzioni?

- Mao Valpiana: Con quello che stiamo facendo: il Movimento Nonviolento e’ politica. Stiamo dando idee, esempi, formazione: e’ un lavoro prepolitico necessario alla politica e in questo momento e’ indispensabile. Oggi, inoltre, con questa legge elettorale, dov’e’ quella segretaria di partito che inserirebbe nelle sue liste uno che lavora per l’obiezione e l’opposizione alla guerra e agli strumenti che la rendono possibile... dov’e’ quel partito? Anche Rifondazione, fino a quando si e’ trattato di fare i i convegni, era un interlocutore; ma quando si e’ trattato si fare le liste ha preferito inserire Caruso o Luxuria; perche’ non hanno chiesto ufficialmente se ci fosse qualche amica o amico della nonviolenza da proporre? Non c’e’ stata questa scelta. Io ho molta considerazione per Bertinotti, ma era segretario del partito e questa scelta non l’ha fatta. Oggi dunque non ci sono le condizioni per candidarsi al parlamento, tanto piu’ che si sarebbe ostaggio di un governo... sull’Afghanistan, i rifinanziamenti... E poi non mi parrebbe bello che i nonviolenti entrassero in parlamento "per gentile concessione" di un partito.

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- Diana Napoli: In quell’articolo che citavo prima in cui parlavi della guerra in Iraq partendo dall’esempio di Francesco coi turchi, drammatizzavi non tanto che si fosse andati in Iraq coi mezzi della guerra, ma, realisticamente, che nemmeno il 5% delle azioni fossero condotte coi metodi nonviolenti, il che sarebbe stato gia’ un enorme risultato, preludio alla volta successiva in cui il 5 sarebbe diventato 10% e cosi’ via. A che punto e’ la questione dei Corpi civili di pace?

- Mao Valpiana: Mah, siamo un po’ indietro. Culturalmente abbiamo preparato il terreno, fornito gli esempi, proposto; ora ci vorrebbe il salto nell’istituzione, incardinare cioe’ qualcosa nell’istituzione. Occorre l’interlocuzione politica. E l’interlocuzione politica che abbiamo avuto finora sono state parole, chiacchiere, non siamo arrivati a stringere nulla. All’interno della legge sul servizio cvile c’era un comitato per la difesa civile nonviolenta che doveva gestire un fondo messo a disposizione dalla legge. Ma solo per mettere in piedi il comitato sono passati due anni e non si riesce a riunire, non si riesce a fare le nomine. Quando io parlo di Corpi civili di pace mi riferisco ad un organismo dello Stato, un corpo professionale, supportato, certo, anche da volontari ed obiettori, ma con il riconoscimento istituzionale. Un giovane volontario puo’ stare un mese, due mesi, durante le ferie, ma qui si parla di missioni che non hanno una scadenza temporale e occorrono persone stipendiate, professionisti, gente preparata professionalmente, allo stesso modo (anzi, meglio) che i militari. Prima di tutto e’ necessario che lo Stato ci creda. Gia’ e’ positivo il fatto che si muova qualcosa nel mondo universitario: si fanno studi, corsi, cattedre... Pero’ sarebbe necessario un passo successivo: lo Stato dovrebbe istituire un istituto di ricerca; come ci sono le accademie militari, un’accademia di studi per la pace. C’e’ una proposta di legge, ma tutto si ferma li’. Quello che potevamo fare, e anche di piu’, lo abbiamo fatto: abbiamo scritto anche le proposte di legge. Ci lavoriamo da piu’ di dieci anni. L’Europa e’ arrivata allo stanziamento, anche se poi non e’ stato reso esecutivo. Ci sono anche esperienze importanti da cui si potrebbero prendere le persone. Abbiamo creato appositamente la Rete dei Corpi Civili di Pace insieme all’Ipri, e poi c’e’ líassociazione "Papa Giovanni XXIII", il Centro studi difesa civile, i Berretti bianchi... persino militari in pensione che hanno fatto esperienze all’estero: se si va in una zona minata ci vorra’ pur qualcuno in grado di guidarci, noi non sapremmo da che parte muoverci! Non credo che i militari debbano proteggere i corpi civili, i quali assolutamente non devono essere protetti militaremente, pero’ utilizzare l’esperienza di un militare non e’ un tabu’, non la denigro per partito preso. Qualcuno che ne ha viste di tutti i colori e si e’ anche un po’ nauseato, e magari vuole riconvertirsi... per me ci sta. Ecco, allora, un insieme di queste cose: sarebbe un po’ tutto pronto. Io credo anche al dialogo coi militari su questo, purche’ sia un dialogo alla pari e oggi non e’ cosi’. Oggi ci sono loro che hanno i finanziamenti, le strutture, e noi che siamo su base volontaria. Allora prima ci portano alla pari (anche sul piano finanziario) e poi facciamo tutti i dialoghi che vogliono: anch’io voglio l’accademia, per esempio. Altrimenti certo che hanno gioco facile nel tapparci la bocca criticandoci perche’ mandiamo persone, per esempio, impreparate o senza cognizione di causa. Ebbene, dateci i finanziamenti, cosi’ anche noi possiamo intraprendere degli studi non su base volontaria, formare le persone, formulare proposte concrete. Ora sono le istituzioni a doverci dare un riconoscimento, dare un finanziamento... altrimenti e’ una presa in giro, e cosi’ la sento adesso. Aspettiamo la nuova finanziaria.

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- Diana Napoli: Da quanto tempo esiste la Casa per la pace di Verona?

- Mao Valpiana: Dall’87 o ’88.

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- Diana Napoli: Ma prima di questa data c’era gia’ un gruppo?

- Mao Valpiana: Come gruppo nonviolento veronese ci siamo dal ’74, eravamo in affitto in uno scantinato: poi il gruppo e’ cresciuto, si e’ rafforzato, ha iniziato ad avere un ruolo a livello nazionale. Dal 1983 la redazione e l’amministrazione di "Azione nonviolenta" e’ passata qui. Prima era a Perugia, con Pietro Pinna, poi per due anni e’ passata a Vicenza con Matteo Soccio, poi qui a Verona. Evidentemente il gruppo era consolidato e ha ottenuto la fiducia del Movimento a livello nazionale, al punto di vedersi affidata la redazione della rivista. In seguito abbiamo lanciato la campagna nazionale per acquistare la Casa: ognuno dava 10.000 lire e a forza di diecimila lire abbiamo acquistato il piano terra. Poi si e’ liberato il piano di sopra e per la ristrutturazione, oltre ad un’altra campagna, ci aiuto’ Langer con uno dei suoi lasciti. Poi c’e’ una bella storia che ho raccontato gia’ diverse volte: noi eravamo in buoni rapporti con i due anziani signori che abitavano qui e che nel testamento ci hanno lasciato la loro parte dell’edificio.

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- Diana Napoli: Come dire che prima o poi la generosita’ viene sempre ricompensata, in momenti e luoghi insoliti. Questa e’ la Casa per la nanonviolenza e la sezione del Movimento Nonviolento. Altre sedi sono a Brescia, Torino, Livorno e Mestre.

- Mao Valpiana: Dunque, Brescia, Torino e Verona sono sedi che il Movimento Nonviolento ha acquistato e questo e’ molto importante perche’ consente di radicarsi sul territorio, di non dover dipendere dal Comune o da un proprietario cui pagare l’affitto... e’ la nonviolenza che cresce. Adesso sta arrivando la sede estiva, la casa di Ghilarza, anch’essa un lascito. Qualcuno a volte scherzando dice che il Movimento Nonviolento e’ un’agenzia immobiliare... non va intesa cosi’. Significa invece che consideriamo il Movimento come qualcosa che non e’ di passaggio (Capitini diceva che la nonviolenza non puo’ essere un flirt) e che si vuole investire in qualcosa cui si crede, e che poi si vuole mantenere a lungo nel tempo. Capitini ha iniziato lasciando al Movimento Nonviolento la casa di sua proprieta’.

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- Diana Napoli: Ogni sede mantiene la sua autonomia, in ogni caso. Tu saresti favorevole all’unificazione del patrimonio almeno bibliografico e archivistico o credi sia giusto che ogni sede conservi il suo?

- Mao Valpiana: Vedrei volentieri un’unificazione almeno virtuale dei questo materiale. E inoltre sarebbe necessario fare anche solo due iniziative all’anno ma comuni a tutte le sedi: stesso giorno, stessa ora, anche una cosa semplicissima, come puo’ essere andare in piazza con un banchetto a distribuire i fascicoli di "Azione Nonviolenta". Dopo cinque anni diventerebbe un momento e un elemento di identita’, e aggiungo che andrebbe fatto non solo in Italia, ma a livello internazionale. Noi dobbiamo crescere nella dimensione nazionale di movimento perche’ e’ quella che ti permette di avere una coscienza comune.

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- Diana Napoli: Pero’, come dice qualcuno, la nonviolenza e’ fuori di se’ e non solo nel Movimento Nonviolento, e una coscienza della nonviolenza esiste al di la’ del Movimento Nonviolento, tu cosa ne pensi?

- Mao Valpiana: Sono d’accordo, pero’ il Movimento Nonviolento e’ l’elemento concreto, particolare, che rende possibile e visibile questa nonviolenza che c’e’, altrimenti come fare a riconoscerla? Capitini diceva: "se voglio far comprendere a qualcuno cosa sia la musica, gli suono una canzone". E la nonviolenza in assoluto, in generale, e’ cosi’ vasta che rischia di non essere palpabile, circoscrivibile, concretizzabile. Il Movimento Nonviolento e’ quel minimo di struttura, umile ma concreta, tramite cui si ha una possibilita’ verso l’infinita nonviolenza. Se uno vuole leggere Gandhi, viene qui e compra un libro. Ma e’ necessario che ci sia la sede, l’orario di apertura, qualcuno che possa garantirla... e alla fine attraverso queste miserie umane passa il messaggio gandhiano. Ma qualcuno che renda possibile tutto cio’ ci dev’essere. Passiamo attraverso le persone e le cose concrete.

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- Diana Napoli: Tu credi ancora che l’antimilitarismo sia un terreno di impegno per il Movimento Nonviolento? Forse sono io che ho una percezione sbagliata, qualcuno dice che sono offuscata dai volti subdoli assunti dal militarismo, ma in ogni modo io non mi sento in una societa’ militarista. Nel senso che militarismo e violenza per me non sono la stessa cosa.

- Mao Valpiana: Devi pensare che meta’ dell’umanita’, piu’ o meno, vive sotto dittature, sotto strutture militari, in paesi che sono a rischi di conflitto o in conflitto (tutti i paesi dell’Africa, i luoghi dove ci sono conflitti in atto, ma anche le grandi dittature tra cui io ci metto anche la Russia e la Cina), e che siamo in un mondo globalizzato: non possiamo tirarci fuori, siamo coinvolti. E in questo contesto, come faccio io, da Verona, da qui, a oppormi, che so, alla giunta militare birmana? Non posso, in senso stretto. Pero’ io qui ho l’esercito italiano, finanziato coi miei soldi di cittadino contribuente, che partecipa ed e’ coinvolto in alcune di queste zone: e questo e’ il punto di attacco all’enorme macchina militare mondiale ed e’ qui che io devo agire, tenendo in considerazione la mia fettina di esercito italiano che partecipa ed e’ pienamente parte della macchina generale. Io do’ questa lettura della campagna antimilitarista in Italia e, diro’ di piu’, sono assolutamente favorevole al disarmo unilaterale.

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- Diana Napoli: Certo, ma questa e’ una visione che richiede una consapevolezza che non e’ di tutti. Non arriva piu’ oggi la cartolina a mostrare questo aspetto nella sua immediatezza e il singolo non percepisce l’antimilitarismo.

- Mao Valpiana: Ed e’ peggio. Non ne hanno piu’ bisogno; prima avevano addirittura bisogno di te e ti arrivava la cartolina, gli servivi e tu sottraendoti arrecavi loro un danno; ora sono cosi’ forti che non hanno piu’ bisogno di te in nessun modo. E se il singolo non percepisce l’antimilitarismo, il compito del Movimento Nonviolento e’ farlo capire, e per questo ci vuole gente che studia. Il lavoro dei ricercatori della nonviolenza, dei nostri intellettuali, degli studiosi, per esempio, e’ importantissimo, ma ce ne vorrebbero molti di piu’. Ci vogliono persone a lavorare a tempo pieno nel Movimento Nonviolento e non ne abbiamo neanche una. Capitini lo aveva intuito gia’ nel 1961 dando meta’ del suo stipendio a Pietro Pinna che cosi’, licenziatosi dalla banca, lavorava a tempo pieno per il Movimento Nonviolento e per la nonviolenza. E questo oggi non lo capiamo. Su "Azione nonviolenta" ogni tanto noi facciamo un appello in cui chiediamo solidarieta’ e contributi per la segreteria; alcuni lo fanno ma e’ un gesto da moltiplicare: chiediamo alle persone che su base volontaria mettano a disposizione parte del loro stipendio per le persone che lavorano per la nonviolenza. Non persone che fanno i funzionari, ma che lavorano, che studiano, che operano per la nonviolenza, che girano, che formano i gruppi, si occupano della rivista, la diffondono. Sai quante richieste arrivano qui e non riusciamo ad esaudirle? Chiamano gruppi da tutta Italia, che vorrebbero fare un incontro, ma spesso non c’e’ il tempo o la persona per andare. E invece sarebbe necessario avere sempre la possibilita’ di rispondere "Si’, viene una persona". Poi da questi incontri (il lavoro prezioso dei piccoli gruppi, lo chiamava Capitini), nasce sempre qualcosa di nuovo... e la nonviolenza cammina...

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- Diana Napoli: La "scuola quadri" del Movimento Nonviolento?

- Mao Valpiana: Ma si’, io sono anche per una scuola di formazione politica la quale, come tutte le arti umane, si studia e si impara. Andrebbe organizzata, ma siamo troppo pochi.

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- Diana Napoli: Il tuo ricordo piu’ bello?

- Mao Valpiana: Quando ho fermato il treno della morte, anche perche’ era il febbraio del 1991, la mia compagna era incinta e Marta e’ nata in aprile per cui c’e’ stato anche questo pensiero. E poi anche perche’ e’ stata una buona azione nonviolenta, preparata bene e svolta bene.

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- Diana Napoli: E dov’e’ avvenuta, esattamente?

- Mao Valpiana: Alla Stazione dei Balconi di Pescantina. E’ stato un blitz perche’ noi avevamo sparso la voce, facendo in modo che la questura lo sapesse, che avremmo bloccato il treno a Verona, per cui c’era la stazione completamente militarizzata, polizia ovunque ad attenderci e noi invece che siamo andati piu’ a nord. Io ero quello piu’ conosciuto, c’erano i ruoli definiti, dovevo attirare l’attenzione su di me, inizialmente. Erano treni segreti, ma c’era una catena telefonica dal Brennero per sapere con esattezza l’orario per cui al momento giusto ci siamo messi sui binari e il guardiano del passaggio a livello ha chiamato subito la polizia che ci ha messo circa venti minuti per arrivare dalla stazione di Verona. Sono arrivati a sirene spiegate e quando mi hanno preso io ho fatto resistenza passiva.

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- Diana Napoli: E il treno si era fermato?

- Mao Valpiana: Si’, il treno era bloccato, semaforo rosso; inoltre quando hanno portato via me, da una zona nascosta al di la’ dei binari e’ uscito fuori un altro gruppo e cosi’ via: avevamo organizzato delle squadre per cui portavano via un gruppo e ne arrivava un altro. E poi era febbraio, verso le otto di sera, eravamo con le fiaccole, c’era la neve, e un altro dei nostri, quando il treno passava vi rovesciava sopra, da un cavalcavia, un barattolo di vernice rossa. Era un treno che portava tank, carri armati, a Livorno da dove si imbarcavano per il Golfo Persico. Il nostro era un atto simbolico, ma era una simbologia che dimostrava due cose importanti: che la guerra passa sotto la finestra di ciascuno, e che ognuno puo’ fare qualcosa di concreto per fermarla. Ma ora che ci ripenso, forse la cosa piu’ bella che mi ha regalato il Movimento Nonviolento, oltre la possibilita’ di compiere l’azione (che e’ un valore in se’) e’ stata la possibilita’ di incontrare molta gente, di conoscere persone straordinarie. In fondo e’ vero che la nonviolenza e’ fatta di volti...

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Numero 255 del 27 ottobre 2007



Sabato, 27 ottobre 2007