Ogni giorno la nonviolenza
Le conseguenze politiche della speranza

(Parte seconda e conclusiva)


di Roberto Mancini

[Ringraziamo Roberto Mancini (per contatti: r.mancini@unimc.it) per averci messo a disposizione come contributo per la Giornata della nonviolenza il testo inedito di una relazione svolta a un convegno promosso dll’associazione Macondo ad Asiago a fine agosto]


4. L’urgenza di un metodo per la politica

La speranza lascia intravedere un metodo per la politica, nel senso ampio di una direzione e di un modo di agire grazie ai quali la politica stessa trova una via e una misura; a sua volta l’assunzione di un vero metodo d’azione svolge la speranza, permette all’umanita’ di sperimentare un bene che corrisponde alla sua dignita’ per lo piu’ misconosciuta.

Ma con quali tratti si delinea, in questa prospettiva, un metodo per la politica, anzi per una politica di servizio alla societa’ e all’armonia tra umanita’ e mondo naturale? Di solito tale questione riceve scarsa attenzione da chi fa politica nei partiti e nelle istituzioni, mentre sono considerati molto piu’ rilevanti i soggetti, gli schieramenti, i numeri che esprimono i rapporti di forza e, nel migliore dei casi, le leggi elettorali e gli interventi di ingegneria istituzionale. Se tutti accettano implicitamente che la politica sia ricerca e conquista del potere, va da se’ che si adottera’ qualsiasi metodo sia funzionale a questo scopo. E’ ovvio che per chi intende la politica secondo questa mentalita’ ad esempio personaggi come Andreotti, Berlusconi o Bossi sono autentici "animali politici" che brillano per astuzia, abilita’ strategica e capacita’ di ottenere risultati.

La guarigione della politica passa necessariamente per una nuova attenzione al metodo e in effetti per la disponibilita’ a seguirlo ed eventualmente a svilupparlo. Nella logica di potenza il cosiddetto uomo politico, almeno tendenzialmente, finche’ puo’ non deve sottostare a limiti: di potere accumulato, perche’ non avrebbe senso limitarlo e condividerlo oppure vincolarlo all’uso di mezzi pacifici e democratici; di tempo, perche’ deve riproporsi al comando e durare il piu’ possibile; di criteri morali, perche’ questo gli legherebbe le mani; di verita’, perche’ essa toglierebbe giustificazione al suo potere; di giudizio critico, ad esempio dalla libera opinione pubblica o dalla magistratura, perche’ esso farebbe rischiare una crisi di credibilita’ e di consenso, oltre che una drastica riduzione della liberta’ di manovra. Se accetta un limite lo fa o per compromesso tattico e strumentale, o perche’ non puo’ fare diversamente. I soggetti politici collettivi, come governi o partiti, si muovono secondo la stessa allergia al limite.

Nella prospettiva di una politica di servizio, invece, ogni soggetto, singolo, collettivo o istituzionale, accetta di buon grado dei limiti: nel potere, in quanto viene condiviso e non concentrato, anzi, esso viene vincolato al limite che separa fecondita’ e distruttivita’; nel tempo, perche’ nessuno deve assumere come un fine in se’ la perpetuazione della propria identita’ politica; nel rapporto con l’etica e con la verita’, poiche’ i soggetti della politica di servizio sanno che e’ la politica come tale a non dover essere assolutizzata e a mancare della legittimita’ per darsi i suoi criteri fondanti da sola; nel rapporto con il giudizio dell’opinione pubblica e nell’esposizione ai giudizi di competenza della magistratura, perche’ il potere non degenera se viene bilanciato e controllato da piu’ istanze.

Il processo concreto in cui prende corpo questa svolta dalla politica di potenza alla politica di servizio e’ quello che prende avvio con l’assunzione leale di un metodo da parte di una molteplicita’ di individui che si associano come movimento, gruppo, partito, sindacato, comunita’, associazione.

Una scelta simile pone le condizioni per giungere al superamento della confusione, della mancanza di continuita’ e della dispersione che spesso gravano tuttora anche sulle forme migliori di impegno politico. Il metodo indica e apre una via, dischiudendo un orizzonte rispetto al quale puo’ essere armonizzato il rapporto tra i fini e i mezzi, tra i valori di cui ci si prende cura e il tipo di energia che si impiega, tra i criteri di fondo e le strategie. Si riesce allora ad acquisire maggiore concretezza e capacita’ di armonia nell’agire.

Inoltre, l’assunzione del metodo da’ l’opportunita’ di superare l’arbitrarieta’ delle opzioni, delle tattiche, dei narcisismi individuali. Non solo e non tanto perche’ un metodo politico fornisce delle regole d’azione, uno stile, un’eleganza del comportamento collettivo, ma anche e soprattutto perche’ il metodo, se viene seguito con saggezza e senso del limite, pone i soggetti politici nella condizione di riconoscere con fedelta’ e di servire quell’orizzonte massimo che coincide con l’unita’ della speranza umana e che da’ alla politica come tale la sua misura. Chi si orienta verso un orizzonte di questo respiro non puo’ non assumere un metodo per la sua azione.

Si presenta qui un rischio ineludibile del rapporto tra metodo e politica, quello del dogmatismo metodologico. Cio’ che sto chiamando "metodo" non dovra’ infatti essere inteso come un nucleo rigido di regole e procedure. Eppure tale tendenza involutiva rappresentera’ quasi certamente una tentazione persistente. Per molti il Metodo potrebbe finire per diventare una specie di dogma. Proprio per questo e’ necessario maturare e condividere la consapevolezza del fatto che un metodo non e’ una casa, e’ una strada al cui sviluppo possono concorrere tutti quelli che sono disposti a fare questo cammino, e’ come un fiume che ha molte correnti.

Un frutto ulteriore ed essenziale della cura per il metodo della politica diventa percepibile quando si precisa che qui non si tratta di un metodo qualunque, bensi’ del metodo piu’ adeguato a una politica di servizio e ispirata all’unita’ della speranza umana. Ne deriva che, in tal caso, "metodo" non significa solo un quadro di criteri e di regole e neppure soltanto una via; la parola "metodo" raccoglie anche i significati di conversione, riorientamento, guarigione. Cioe’ si tratta di una via lungo la quale avanzare ed essere trasformati diventano tutt’uno. Il punto cruciale e’ che la fedelta’ alla scelta del metodo, che e’ poi fedelta’ al suo orizzonte, offre ai singoli e anche ai soggetti collettivi un antidoto alla tentazione permanente di ricadere nella logica di potenza.

L’insieme di queste acquisizioni e’ rintracciabile non a caso in quello che secondo me rimane il paradigma del metodo politico nel senso ora accennato, ossia il metodo della nonviolenza per come ha iniziato a svolgersi nell’esperienza storica di Mohandas K. Gandhi, di Martin Luther King e degli altri che hanno avuto il coraggio dell’azione nonviolenta. Proprio il carattere esemplare della via della nonviolenza pone in primo piano il nodo principale che la concezione qui delineata si trova dinanzi: come, quanti assumono un metodo nonviolento, possono affrontare il contrasto con quelli che per metodo hanno la semplice ricerca della potenza in qualunque modo? A che serve un metodo che resta senza potere e senza efficacia? Non naufraga tutto nell’eterna contraddizione, per dirla in termini cristiani, tra croce e storia?

E’ indispensabile giungere alla chiara consapevolezza del dato strutturale per cui il contrasto tra politica di potenza e di dominio, da una parte, e politica nonviolenta di servizio, dall’altra, puo’ essere affrontato positivamente solo se ogni volta si riesce a produrre un cambiamento di piano e una riqualificazione del rapporti di forza. E’ lo scambio, nel senso ferroviario, che permette di passare dal confronto tra forze accecate e finalizzate a sopraffare gli altri al confronto che include anche il riconoscimento reciproco, il dialogo, la scoperta del bene comune e il servi zio a esso. E’ il passaggio dal conflitto distruttivo al conflitto solidale, dalla ricerca del dominio alla ricerca della giustizia ospitale verso tutti. Non c’e’ potenza che possa sconfiggere la potenza; la politica della contropotenza e’ un’illusione. Solo l’amore politico nonviolento puo’ riconvertire la potenza in un’energia qualitativa, in consenso informato e capace di discernimento, in risposta umanizzata ai bisogni sociali e umani. Per farsi un’idea di questo tipo di scambio, di snodo, di svolta e’ illuminante ricordare ad esempio che, per quanto la cristianita’ abbia sempre di nuovo tentato, sino a oggi, di riportarla allo status dello strumento per eccellenza della vittoria, la croce di Gesu’ e i suoi frutti sono irriducibili e alternativi alla logica della vittoria che mortifica i nemici. Il bene comune, la pace, la giustizia vera potranno farsi strada nel mondo non grazie ai mezzi della potenza, stabilendo il dominio dei buoni su cattivi, bensi’ grazie al moltiplicarsi delle conversioni personali e al diffondersi di un metodo dialogico di incontro e anche di scontro. Si tratta percio’ di lavorare alle condizioni che permettono l’emergere di persone, di soggetti collettivi, di istituzioni e di una cultura capaci di stare nel conflitto solidale, di restare al di qua del confine che separa dalla distruttivita’ il conflitto tra posizioni esistenziali e sociali differenti, tra diritti che sembrano elidersi a vicenda, tra tradizioni e progetti diversi. In particolare, promuovere una cultura dei diritti umani omettendo la cura per le condizioni del conflitto solidale significa solo alimentare dialettiche tendenzialmente distruttive. L’attraversamento dell’iniquita’ e del male, la liberazione, la guarigione collettiva sono possibili solo per il farsi strada della forza mite della verita’, di quella verita’ che e’ l’amore, e per la crescente adesione degli esseri umani a essa. Non ci sono scorciatoie.

*

5. La politica di servizio: note per un metodo

Se adesso teniamo conto del contesto odierno, credo che il paradigma della politica che da’ corso a questa svolta possa essere specificato in quanto metodo della politica di servizio. Voglio precisare che lo considero come una ripresa e una specificazione del metodo della nonviolenza. La sua descrizione e’ irriducibile alla forma di una serie di ricette e consigli pratici. Intendo semmai esplicitare, per dirla con Maria Zambrano, delle "note per un metodo" (cfr. M. Zambrano, Note di un metodo, Napoli, Filema, 2003, p. 30), cioe’ delle annotazioni che siano anche un po’ delle note musicali per un’armonia possibile e ancora incompiuta, e che comunque a me non e’ affatto completamente nota. La fisionomia di questo metodo, a grandi linee, comincia a configurarsi facendo riferimento a tre nuclei:

a. la tipologia delle azioni necessarie e feconde;

b. il modello orientativo della loro sequenza operativa;

c. il quadro degli obiettivi parziali e interconnessi, il cui perseguimento esige la congruita’ dell’agire sia dal lato dei mezzi adottati, sia dal lato dell’orizzonte di senso, di valore e di finalita’ che ispira l’agire politico.

a. La tipologia delle azioni necessarie e feconde, strutturalmente tipiche della politica di servizio, deve prevedere un agire restitutivo, un agire riconduttivo e un agire educativo.

L’azione restitutiva e’ quella che provvede alla restitutio in integrum dei diritti umani nei confronti di quanti ne sono stati spogliati. Il diritto qui e’ concepito, percepito e attuato a partire dalla condizione dei piu’ oppressi per risalire a quella di tutti. Non si tratta di rovesciare le posizioni tra oppressi e oppressori, secondo il modello storico delle rivoluzioni armate, ne’ di alleviare la condizione degli oppressi mantenendo la struttura sistemica che produce oppressione, secondo il modello storico dei riformismi, ne’ di fare concessioni e di dare assistenza ai piu’ svantaggiati, secondo il modello delle dottrine sociali paternaliste, ma si tratta di ricostruire l’universalita’ del riconoscimento delle persone e del godimento dei diritti da parte loro muovendo dalla situazione di quanti sono stati resi gli ultimi della societa’. L’azione restitutiva e’, da un lato, cosi’ radicale da tendere a riplasmare complessivamente l’assetto della convivenza e, dall’altro, cosi’ pacifica da promuovere non una vendetta sugli oppressori, ma processi di risanamento e di guarigione del tessuto sociale, della cultura diffusa e della vita pubblica.

L’azione riconduttiva e’ invece quella che cerca di riattribuire effettivamente i doveri umani, politici, amministrativi a coloro che li hanno elusi. Essa riporta il potere al dovere e tenta di "costringere" culturalmente e giuridicamente chi esercita un potere pubblico a farlo secondo giustizia, a uscire dall’indifferenza e dall’irresponsabilita’. La rete e la stratificazione delle cause e dei fattori di un sistema iniquo di convivenza e’ assai complessa e, alle fine, ognuno sembra legittimato nel poter dire: "non e’ colpa mia". Il dominio e, in radice, il male tendono sempre a farsi impersonali, il che consente loro di farsi pressoche’ inafferrabili, ubiqui, trascendenti. Non per niente spesso nella storia la reazione in buona fede a questa apparenza automatica del dominio e’ stata quella di superarlo tramite l’identificazione del male con un nemico preciso, che ha un volto, un luogo e che percio’ puo’ essere colpito e sconfitto. La personificazione del negativo e’ una delle piu’ diffuse strategie cognitive e poi politiche di lotta. E’ l’inverso del criterio che vorrebbe la distinzione tra il peccato e il peccatore, come talvolta si dice nella morale religiosa e come, in chiave trasfigurata e lucida, punta a fare la politica della nonviolenza. Nel processo di identificazione o di personificazione, nella mentalita’ della politica di contropotenza, cioe’ della prassi che combatte un dominio di altri per sostituirlo con il proprio, per cosi’ dire il peccato e’ il peccatore. Tutti i delitti e gli attentati cosiddetti politici si compiono secondo questo delirio dell’eliminazione di un capro espiatorio.

Allora il punto cruciale per l’azione riconduttiva sta nella capacita’ di uscire sia dallo scenario di un sortilegio impersonale e immodificabile che domina su tutti (quello che Theodor Adorno chiama "il bando": Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 2004, p. 162), sia dalla rappresentazione del nemico come causa e personificazione del male, per cui si finisce per credere che distruggendo lui il bene trionfa ("il nemico va distrutto" scriveva con pessima esemplarita’ Antonio Negri a conclusione e sigillo del saggio Marx oltre Marx, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 197). L’azione riconduttiva punta invece a sviluppare le forme di conoscenza critica, di coscientizzazione etica, di attenzione dell’opinione pubblica e di pressione politica che spingano chi detiene un potere a modificare il proprio orientamento, ad accettare limiti impensati e indesiderati, a usare in maniera del tutto diversa il potere che gestisce - sempre nel caso che sia democraticamente legittimato a farlo - o anche, in molti casi, a farsi finalmente da parte e talvolta a sottoporsi al giudizio della magistratura. Preciso che lo spirito dell’azione riconduttiva non ha a che fare con quella sorta di ingenua sottomissione che chiede ai potenti di diventare buoni e responsabili, come in certe intenzioni di preghiera della liturgia domenicale. L’azione riconduttiva e’ una forma di conflitto, di pressione e puo’ eventualmente portare alla fine del potere di quei personaggi che fanno del male a un paese e alla societa’. In ogni caso la portata dell’azione riconduttiva dei doveri e’ talmente cruciale che l’azione propriamente restitutiva dei diritti, risanatrice e reintegratrice non ha modo di dispiegarsi se non si sta svolgendo con almeno altrettanta efficacia anche l’agire riconduttivo.

L’azione educativa a sua volta e’ indispensabile e contestuale rispetto ai primi due tipi d’azione; non puo’ essere isolata in luoghi e tempi separati. Certo, la famiglia, la scuola e l’universita’ devono svolgere il loro compito educativo specifico. Questo rimane fondamentale perche’ una politica di servizio ha bisogno vitale di persone vere e proprie, di esseri umani formati, lucidi, tendenti alla saggezza, critici, creativi e nessuna di queste caratteristiche sorge se manca la cura educativa della famiglia e della scuola e dell’universita’, ognuna per quanto le compete. Ma nel contempo e’ indispensabile che anche i movimenti, i gruppi, le associazioni, le comunita’, i partiti, i sindacati coltivino una qualita’ educativa del loro modo di essere e di agire, rendendo possibile alla societa’ come tale l’apprendimento di nuovi modi di convivenza. Alle azioni restitutive e riconduttive vengono meno i protagonisti se mancano persone educate in tal senso disposte ad assumere responsabilita’ educative. Cio’ e’ evidente soprattutto se si pensa che i tratti peculiari di una politica di servizio sono cosi’ ardui che rischiano di diventare irraggiungibili per soggetti singoli e collettivi che non siano impegnati in un cammino di affinamento, di conoscenza e di sapienza.

b. Il modello della sequenza operativa tramite cui i vari tipi di azione si realizzano e’ pensabile ad esempio secondo l’ipotesi seguente, ma puo’ essere concepito e vissuto altrimenti.

Posto che ci sia un risveglio interiore, motivazionale, spirituale, etico delle persone che le porta ad agire, il passo inaugurale sta nel procedere a una lettura della realta’ storica, una lettura tale da permettere una visione della condizione umana e dell’ordine del mondo nel presente. Questa visione fa riconoscere urgenze e priorita’, dando luogo a una consapevolezza che poi ispira scelte e programmi.

Si tratta quindi di portarsi, come soggetti politici e come persone, sulla frontiera delle contraddizioni di fondo di un’epoca per sollevare il peso che grava sugli oppressi, per risanare e rigenerare il tessuto della vita sociale, per sviluppare processi di liberazione che sfocino in un nuovo ordine della convivenza. Mi riferisco alla contraddizione tra potenza e servizio, tra violenza e nonviolenza, tra guerra e pace, tra uomo e donna, tra umanita’ e natura, tra capitale e lavoro, tra visioni del mondo che si sentono incompatibili tra loro. A secondo del contesto geopolitico in cui ci si muove si affronteranno le contraddizioni di volta in volta piu’ rilevanti e nocive.

Questo viaggio sino alla frontiera delle contraddizioni non e’ mai un "portare" o esportare il bene e la salvezza agli altri. Chiede semmai di ascoltare le vittime e di stabilire relazioni concrete con loro senza abbandonarle mai al loro destino, imparando dal loro sguardo e dalla loro condizione.

Occorre agire da questa situazione, individuando i processi decisivi e avviandoli o rafforzandoli, se sono gia’ in corso. Ecco il tratto essenziale: la politica di servizio non si cura del narcisismo delle identita’ e delle appartenenze perche’ invece ha a cuore i processi reali di cambiamento, i frutti che si possono generare. Da questo punto di vista non le puo’ essere mossa l’accusa, sempre rivolta dai fautori della Realpolitik a chi sembra loro un utopista, di seguire un’etica dell’intenzione senza attuare politicamente un’etica della responsabilita’ per gli effetti. L’azione che promuove processi concreti comportera’ di entrare nel conflitto, perche’ le contraddizioni richiamate poco fa non sono di tipo logico, ma sono contraddizioni economiche, sociali, culturali e implicano contrasti durissimi. Qui il compito e’ quello di imparare a stare nel conflitto senza mezzi distruttivi, imparando ad ascoltare anche gli avversari, ascoltando in particolare l’istanza profonda che abita, probabilmente travisata e misconosciuta, la loro soggettivita’ umana. Si delinea cosi’ una correlazione tra agenti, vittime, avversari, in ruoli che non sono affatto rigidi, che deve potersi qualificare nel senso del dialogo. Il metodo della politica di servizio chiede sempre di stabilire un piano di dialogo con gli altri affinche’ ci sia il riconoscimento della dignita’ di tutti e possano essere intessuti dei compromessi fruttuosi. Parlo di quei compromessi che non sono una resa o una complicita’ nei confronti degli oppressori, ma sono delle forme di accordo che danno tempo di trovare soluzioni migliori, di scongiurare l’uso della violenza, di discutere e di riconoscersi come interlocutori, di percorrere una strada prima inimmaginabile.

Senza dubbio un soggetto politico, in special modo un soggetto politico collettivo, che abbia questo stile d’azione ha bisogno di fonti e di guide per rivedere periodicamente la qualita’ del proprio impegno e la direzione del cammino, soprattutto quando si sconta la frustrazione per le molte sconfitte che si subiranno. Una riserva di facolta’ autocritica sara’ disponibile se questo soggetto politico sapra’ aderire a momenti di silenzio e anche di ascolto della parola dell’arte, della ricerca filosofica e sapienziale, dell’esperienza delle fedi. Sara’ necessario aggiornare di continuo l’indagine sulle questioni centrali per l’impegno che si sta conducendo. E in ogni caso saremo tenuti passo dopo passo a verificare se la nostra azione produce vittime, per fermarsi in tal caso e accettare di cambiare. Non chiudere qualsiasi canale di ascolto degli avversari servira’ appunto a rendersi conto se essi si sono trasformati nelle nostre vittime. c. Il quadro degli obiettivi parziali e interconnessi da perseguire sulla via della politica di servizio deve emergere nitidamente. Infatti l’impegno che essi meritano e’ decisivo per la concretezza dell’agire. Questo quadro serve a correlare in maniera congrua gli strumenti d’azione adottati e le grandi finalita’ tipiche dell’orizzonte di senso e di speranza che si e’ riconosciuto come vero. L’elaborazione di programmi politici ed elettorali non potra’ che scaturire da una sapiente connessione di questi diversi livelli della politica di servizio.

Nel novero degli obiettivi intermedi considero anzitutto quello di contribuire a riorientare l’opinione pubblica e a portare l’attenzione sociale sulle vere priorita’ della societa’. Qui si pone la questione del consenso. Mentre una politica di potenza mira a un consenso qualunque, anzi il piu’ manipolabile e docile possibile, una politica di servizio deve suscitare un consenso qualitativo, fondato sulla crescita della capacita’ di discernimento. Correlativamente una politica di servizio si qualifichera’ non perche’ sa dare una qualunque risposta ai bisogni emergenti in una societa’, ma per la qualita’ umanizzante e democratica della risposta a questi bisogni.

Un altro obiettivo essenziale, ricorrente nelle esperienze storiche della politica della nonviolenza, e’ quello di riuscire a modificare il diritto per ottenere leggi piu’ giuste, per far nascere una costituzione o per darle attuazione. Volgere il diritto, da strumento di conservazione dell’iniquita’ dissimulata nell’ordine vigente, in strumento di liberazione e di formazione di una nuova sensibilita’ e’ un compito imprescindibile.

Si dovra’ inoltre riuscire a riorientare ed eventualmente a gestire le "politiche" specifiche di un governo e di uno stato: la politica sociale, economica, internazionali, ecc. A tali "politiche" corrispondono processi reali che devono essere seguiti e indirizzati. rafforzare le forme di vita e le realta’ alternative sul territorio. Su questo piano sara’ decisivo riuscire a incidere nel modo e nelle priorita’ riconosciute dalle leggi di bilancio dello stato e delle altre istituzioni locali, come pure di organismi sopranazionali, del tipo ad esempio dell’Unione Europea.

Il quadro degli obiettivi intermedi resta naturalmente aperto, perche’ e’ legato alle situazioni storiche determinate, e le indicazioni ora esplicitate sono solo l’esempio di alcuni di essi. Analogamente rimane aperto il disegno di un metodo per la politica di servizio, perche’ e’ come un fiume che possiede molte correnti profonde e ancora sconosciute.

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Conclusione

Credo che il cammino del mutamento storico e anche antropologico e spirituale che ho evocato nel mio discorso sara’ lungo e doloroso e che nondimeno giungera’ al suo compimento ora inimmaginabile. Credo anche che questo cammino non sara’ soltanto sostenuto e realizzato dal maturare di una politica di servizio. Anche la politica migliore non basta e non puo’ risolvere tutto. Servira’ nel contempo che si riconvertano a una logica di servizio tutte le altre sfere dell’esperienza sociale che, oltre alla politica, nella modernita’ si sono vantate della loro autonomia: la scienza, la tecnologia, l’economia, la morale. Ma anche la sfera dell’esperienza religiosa, che ha sempre subito malvolentieri queste diverse autonomie. La logica del servizio all’umanita’ e al mondo vivente toglie ognuna di queste sfere dall’ambiguita’ che le costringeva alla sterile dialettica tra sudditanza ed egemonia.

Se "era il senso dei diritti dell’uomo promettere la felicita’ anche dove non c’e’ potere" (M. Horkheimer - Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 186), sta a ogni facolta’, tradizione e istituzione umana, a ogni sapere e a ogni forma d’amore vero dimostrare che quella promessa non era falsa. E spetta a ciascuno di noi di fare la propria parte senza pretendere di sapere prima quanta sofferenza e quanta gioia incontrera’.

2. ET COETERA

Roberto Mancini, nato a Macerata nel 1958, docente di filosofia teoretica e di ermeneutica filosofica presso la facolta’ di lettere e filosofia dell’Universita’ di Macerata, ha dato rilevanti contributi alla riflessione nonviolenta. Tra le opere di Roberto Mancini: L’uomo quotidiano. Il problema della quotidianita’ nella filosofia marxista contemporanea, Marietti, Casale Monferrato 1985; Linguaggio e etica. La semiotica trascendentale di Karl Otto Apel, Marietti, Casale Monferrato 1988; Comunicazione come ecumene. Il significato antropologico e teologico dell’etica comunicativa, Queriniana, Brescia 1991; L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verita’, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995; Esistenza e gratuita’. Antropologia della condivisione, Cittadella Editrice, Assisi 1996; Etiche della mondialita’. La nascita di una coscienza planetaria, Cittadella Editrice, Assisi1997 (in collaborazione con altri); Il dono del senso. Filosofia come ermeneutica, Cittadella Editrice, Assisi 1999; Il silenzio, via verso la vita. (Il codice nascosto. Silenzio e verita’), Edizioni Qiqajon, Magnago 2002; Senso e futuro della politica. Dalla globalizzazione a un mondo comune, Cittadella Editrice, Assisi 2002; L’uomo e la comunita’, Qiqajon, Magnago 2004; Il senso del tempo e il suo mistero, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; L’amore politico, Cittadella, Assisi 2005.



Mercoledì, 08 ottobre 2008