Esperienze
A Firenze una fucina per la nonviolenza

di Alberto L’Abate

[Ringraziamo Alberto L’Abate (per contatti: labate@unifi.it) per averci inviato il seguente documento sull’esperienza fiorentina recentemente nata - anzi: statu nascenti - della "Fucina della nonviolenza" che é stata presentata al convegno su "Nonviolenza e politica" svoltosi a Firenze dal 5 al 7 maggio. Alberto L’Abate é nato a Brindisi nel 1931, docente universitario, promotore del corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell’Università di Firenze, amico di Aldo Capitini, é impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell’attività di addestramento alla nonviolenza, nelle attività della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario é stato anche un esperto dell’Onu, del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; ha promosso e condotto l’esperienza dell’ambasciata di pace a Pristina, ed é impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E’ portavoce dei "Berretti Bianchi". Tra le opere di Alberto L’Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001]


Vogliamo una Fucina per la Nonviolenza (definizione di fucina nel dizionario Devoto-Oli: "Ambiente che favorisce la formazione di fatti e di personalità socialmente e culturalmente rilevanti", per es. una fucina d’ingegni).

Desideriamo rappresentarci disegnando un cerchio quasi completo con una matita colorata, di quelle morbide, che ci permette di mostrarci persone uguali, diverse e simili, una tempesta di idee, parole, sogni, speranze e progetti che, come in abbraccio umano, racchiudono, ma senza stringere troppo, una parola, quella più importante: nonviolenza.

Vogliamo partire dal basso, dal sé, lavorando su noi stessi, trovando la liberazione attraverso la formazione, il "potere di tutti" (l’empowerment, l’omincrazia) rimanendo sempre un gruppo aperto.

Essere luogo d’incontro, di comunicazione tra realtà ideologicamente vicine e lontane, essere un portale, un collante tra e per i gruppi socialmente attivi, una fucina culturale e di formAzione al fine di pensare e realizzare progetti per determinare cambiamenti concreti.

La nonviolenza é al tempo stesso un modo di intendere il vivere, le relazioni, ed uno strumento che aiuta il genere umano a riconoscere il primato dell’essere sull’avere, ad abolire nel quotidiano la parola "ultimi".

Diventa per noi fondamentale imparare la pazienza per ascoltare, ascoltarci, e capire. Vogliamo colori, creatività e fantasia al potere.

Vogliamo essere sempre più liberi come madre natura ci ha pensati, liberi di vivere la felicità che emerge nelle relazioni tra le persone e con l’ambiente. Vogliamo liberarci dalla violenza del potere e del sistema basati sul profitto economico, distinguendo con forza la differenza che passa tra obiezione di coscienza e una superficiale visione pacifista del mondo.

Per costruire la fucina, per dar vita a questa esperienza di liberazione, ci siamo dati alcuni obiettivi che sentiamo prioritari nella nostra azione nonviolenta senza definirne subito la gli strumenti perché significherebbe guardare prima ai mezzi senza pensare ai fini, privandoci dell’esperienza fondamentale di relazione e condivisione. Crediamo fortemente, come diceva Gandhi, che mezzi e fini sono parimenti importanti, "che i fini siano nei mezzi e viceversa ", per questo é importante nel pensare e fare nonviolento, esplicitare cosa vogliamo prima di come fare per raggiungerlo. Fantasia e creatività non hanno limiti se troviamo il coraggio di creare forme e modalità di agire nuove attente al contesto storico e sociale in cui viviamo.

Diventa dunque a nostro avviso necessario avere in città una struttura permanente di riferimento e riconosciuta che sia idonea a favorire l’incontro e la formAzione tra le persone/cittadini.

Questi sono per noi gli obiettivi su cui lavorare:

- formazione;

- obiezione di coscienza;

- partecipazione;

- guerra e riconversione dell’industria bellica e nucleare;

- antimilitarismo;

- "ultimi" e migranti.

Ad oggi, maggio 2006, abbiamo delineato brevemente due di questi possibili percorsi.

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Riconversione delle industrie belliche in Toscana

L’Italia é tra i primi nove paesi del mondo che fabbricano ed esportano armi. E la costruzione e la vendita di armi non é sicuramente un modo per arrivare alla pace, ma anzi alimenta la guerra. Per questo é importante mettere in programma la riconversione delle industrie belliche.

La Toscana ha un ruolo non del tutto marginale in questo campo. Ma l’approccio portato avanti finora dal movimento nonviolento non ha dato grandi risultati. Finora si é cercato di basarsi sull’obiezione di coscienza di alcuni operai che si dichiaravano obiettori alla costruzione di armi e chiedevano di essere spostati ad altri lavori, spesso senza risultato, o si licenziavano, o venivano licenziati. A nostra conoscenza le persone che hanno agito così sono poche decine con quasi nessun effetto sulla realtà, ma con grossi problemi personali di mancanza di guadagni e di ricerca di altri lavori. Il vescovo di Firenze precedente all’attuale aveva creato un fondo economico per aiutare queste persone e sarebbe interessante venire a conoscere se e come é stato speso ed i risultati di tale impegno.

Inoltre il gesto di questi obiettori li ha isolati rispetto agli altri operai che non si sentivano di seguire il loro esempio. Per questo é necessario seguire una strada del tutto diversa che coinvolga gli stessi operai nella riconversione della loro industria. Due esempi importanti si sono avuti in Inghilterra ed in Piemonte, ma probabilmente esistono anche altri casi che meriterebbe studiare.

Per fare un lavoro serio si tratterebbe di andare presso l’Osservatorio regionale sul commercio delle armi (della Regione Toscana) ed avere il quadro regionale delle industrie toscane che fabbricano armi. Con loro e con l’aiuto dei sindacati, e di docenti universitari che si siano interessati di questi temi, individuare una fabbrica, non troppo grande ma nemmeno troppo piccola, che possa essere effettivamente riconvertita in modo da servire da volano e da esempio. Con gli stessi operai mettere poi a punto un piano di lavoro per arrivare alla riconversione della stessa ed attivare tutte le possibili collaborazioni per realizzare il progetto. Tener presente anche il progetto di legge del Prc sulla riconversione industriale. Dopo ottenuto il primo risultato passare ad altre industrie più grandi. E’ un lavoro che richiede un grosso impegno e un certo tempo, ma che può essere molto significativo.

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Partecipazione

In particolare sul tema di questo convegno, nonviolenza e politica, abbiamo fatto alcune riflessioni.

Partecipazione é parola di moda oggi. Per noi vuol dire permettere a tutti di aver accesso al potere, cioé di poter decidere, con tutti gli altri esseri viventi, collettivamente, di determinare la nostra vita, di trovare la strada per quella felicità che la vita può offrire.

Partecipazione é liberare le nostre città dalla paura, il sentimento che ogni forma di totalitarismo ispira ai propri sudditi. Paura del domani, paura del diverso, paura dello straniero, paura della povertà, paura di essere derubato del proprio benessere. La paura ci inchioda dietro le inferriate delle nostre tane, ci imprigiona e ci allontana dalla vita. La paura ci fa sopportare l’idea della guerra sperando che questa ci liberi dai nostri fantasmi.

Partecipazione é liberare la città dalla violenza, questa coltre che avvolge ogni pietra delle nostre metropoli. La violenza che emargina chi ha redditi bassi in periferie degradate. La violenza che costringe gli esseri umani che hanno abitato la città ad andarsene per lasciar spazio al profitto di chi usa la città come risorsa economica, non come luogo di vita. La violenza di chi non ammette sentire diverso dal proprio. La violenza che si nutre di paura e ne genera sempre più. La violenza che mercifica ogni spazio e ti fa vivere solo se puoi permetterti di consumare. Consumare, appunto, anche la città. Anche questa é violenza: essere costretto a consumare un oggetto o un soggetto che potrebbe riprodursi, mutare, trasformarsi, rigenerarsi; il profitto conosce solo il consumo, fino alla fine, senza pensare a chi ci é vicino e a chi verrà dopo di noi. Violenza é sacrificare il tempo agli ingorghi, immolare la propria salute al dio benzina-kerosene-diesel-combustione.

Partecipazione é sentirsi la parte di un tutto che, solo se completo ed intero, ha senso e dignità.

Partecipazione é sentire ogni creatura compagna del viaggio verso il futuro.

Partecipazione é condividere lo spazio della città con altri esseri che come te cercano la felicità.

Partecipazione é fare della città il luogo dello scambio, del trovare e del trovarsi.

Partecipazione é fare della città un luogo in cui la legge del più forte si tramuta in regno dei fini, dove l’ideale diventa concreto, come un abbraccio o un bacio.

Partecipazione é negare la ogni discriminazione per innalzare la ricchezza di ogni persona.

Partecipazione é al tempo stesso fine e strumento politico per realizzare il sogno di felicità.

Parlare di partecipazione oggi significa ritrovare il vero spirito con cui erano nati i Comitati di Quartiere che organizzarono la rinascita della città dopo l’alluvione del ’66. Nel 1976 nacquero i Consigli di Quartiere, frutto di un’esperienza decennale, che avevano come scopo l’impegno diretto dei cittadini nella progettazione e nel controllo della politica cittadina. Ad oggi la struttura stessa dei Consigli di Quartiere non risponde più a quelle finalità. Diventa quindi urgente innescare un processo di revisione politica e strutturale delle amministrazioni ai vari livelli e trovare forme di partecipazione diretta dei cittadini.

Parlare di partecipazione e di democrazia oggi vuol dire avere il coraggio, culturale e politico, per riequilibrare i poteri del Consiglio Comunale, della Giunta e del Sindaco al fine di permettere la compartecipazione della Città nelle scelte di indirizzo, nella definizione dei progetti, nel controllo dei costi.

Parlare di partecipazione oggi significa dar maggior peso alla presenza del mondo dell’istruzione (dalla scuola dell’infanzia all’università) perché, se é vero che gli studenti sono prima di tutto cittadini, é anche vero che l’istituto scolastico in quanto tale può vivere una presenza educativa e qualificante nelle relazioni sociali, politiche e istituzionali.

Parlare di partecipazione oggi é soprattutto portare il lievito della nonviolenza nei molti conflitti che esistono nelle città per evitare che questi decadano in scontri sterili, per trasformare tutte queste occasioni in una crescita di tutti: politica, culturale, affettiva, sociale, economica.

Infine, parlare di partecipazione oggi significa far rivivere lo spirito dei Cos (i Centri di orientamento sociale) nati nell’immediato dopoguerra su impulso di Aldo Capitini: un luogo assolutamente aperto e paritario, dove tutti si possano confrontare su tutto, dove tutti parlano e ascoltano. Dare forma all’"omnicrazia", cioé al "potere di tutti"; far sì che nessuno sia escluso dalla vita e dalle possibilità che il vivere insieme consentono, far sì che non ci siano più "ultimi", ma solo "uguali".

La nascente Fucina della Nonviolenza di Firenze

Tratto da
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 1292 dell’11 maggio 2006



Giovedì, 11 maggio 2006