=============== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA =============== Supplemento settimanale del martedi de "La nonviolenza e in cammino" Numero 8 del 7 febbraio 2006
In questo numero: 1. Ernesto Balducci 2. Ernesto Balducci: Introduzione a "La pace. Realismo di unutopia" 3. Et coetera
1. ERNESTO BALDUCCI Poche persone hanno saputo pensare, praticare, costruire la pace con la profondita e la pienezza con cui lha pensata, praticata, costruita Ernesto Balducci, indimenticabile maestro e compagno lungo la via della nonviolenza. 2. ERNESTO BALDUCCI: INTRODUZIONE A "LA PACE. REALISMO DI UNUTOPIA"
[Riproponiamo lintroduzione del libro di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di unutopia, Principato, Milano 1983; un ottimo libro per le scuole che illustrava ed antologizzava la tradizione del pensiero per la pace dal Rinascimento a oggi, da Erasmo a Gandhi a Anders. Lintroduzione riprende un indimenticabile intervento di padre Balducci al convegno di "Testimonianze" il 14 novembre 1981, relazione che fu uno dei punti di elaborazione piu alti e profondi del grande movimento pacifista che in quegli anni si batteva contro il riarmo atomico dellest e dellovest]
Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno, dinanzi a tale prospettiva, si fa piu serrato il confronto tra gli utopisti, secondo i quali e possibile, in ragione della stessa smisuratezza del pericolo, uscire una volta per sempre dalla civilta della guerra, e i realisti, secondo i quali il bene della pace, anche oggi come sempre, puo essere custodito solo dallequilibrio delle forze in campo.
Il contrasto tra utopisti e realisti e antico quanto la cultura, ma ha cominciato a diventare acuto agli inizi delleta moderna. Nel chiudere il quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale, Giosue Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento Girolamo Savonarola, che in Piazza Signoria "rizzava roghi innocenti contro larte e la natura" ... "e tra le ridde de suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolo Machiavelli". Il sorriso scettico di Machiavelli e durato fino ad oggi: la tesi degli autori di questo libro e che il tempo in cui siamo rende possibile allutopia di appropriarsi dei severi argomenti del realismo, e al realismo, pena la negazione di se stesso, di integrare in se le ragioni dellutopia. Savonarola e Machiavelli, insomma, non sono piu gli emblemi di due opposte e inconciliabili maniere di progettare il bene comune. Come noto, il maestro dei realisti affidava alla virtu (che nel suo linguaggio voleva dire abilita conforme a ragione) il compito di far fronte alla fortuna e cioe al corso caotico e imprevedibile degli eventi. A suo giudizio, fortuna e virtu potevano governare la storia umana con una incidenza del 50% ciascuna. Le milizie cittadine erano lo strumento primo della virtu di un principe. Uno strumento peraltro da usare allinterno di una preveggenza multiforme delle eventualita della fortuna. "Assomiglio quella - dice Machiavelli ragionando della fortuna, nel Principe (cap. XXV) - a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando sadirano, allagano e piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte terreno, pongono da quellaltra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, senza potervi in alcuna parte obstare. E benche sieno cosi fatti, non resta pero che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessimo fare provvedimento, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbano per uno canale, o limpeto loro non sarebbe ne si licenzioso ne si dannoso. Similmente interviene della fortuna; la quale dimostra la sua potenzia dove non e ordinata virtu a resisterle".
Il "fiume rovinoso" di cui oggi anche Machiavelli dovrebbe ragionare e il fiume del fuoco atomico, contro cui nessun argine vale, nessun "provvedimento" che non sia la sua estinzione; e la "citta" affidata al principe oggi e, secondo la "verita effettuale", vorremmo dire materialistica, non Firenze o lItalia, ma il pianeta Terra.
Se per Machiavelli il "provvedimento" delle armi era, di fronte allimperativo assoluto del bene del Principato, un imperativo ipotetico, legato cioe a condizioni di fatto, una volta che queste condizioni mutano, anche limperativo, per logica realistica, deve mutare.
*
Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. Lumanita e entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e avvenuta e noi siamo vivi! Non e forse vero che labisso si e spaventosamente allargato dinanzi a noi? Daltronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e uniformi. In ogni caso si puo gia dire, con fondatezza, che si sono andate generalizzando alcune certezze in cui e facile scoprire il riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.
La prima verita contenuta in quel messaggio e che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata limmagine eurocentrica della storia, essa si e dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu recente e piu organica e quella del Rapporto Brandt. Lunita del genere umano e ormai una verita economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e il Sud a dipendere dal Nord ma e il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e sottoposto e poi, piu specificamente, perche esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi laggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dellultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per lappunto, nel solo anno 1979. E piu comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e un prodotto fatale dellavarizia della natura o dellignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa unimmensa quota dei profitti nellindustria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe 10 volte di piu del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu la coscienza tranquilla.
La seconda verita di Hiroshima e che ormai limperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e arrivato a coincidere con listinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dellaggressivita distruttiva. Fino ad oggi e stato un punto fermo.che la sfera della morale e quella dellistinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante unardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dellistinto di conservazione (di cui la paura e un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita.
La terza verita di Hiroshima e che la guerra e uscita per sempre dalla sfera della razionalita. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti lhanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l"accadimento" funesto generava l"avvenimento" fausto. Ma ora, nellipotesi atomica, laccadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, lavvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dellaccadimento.
*
Queste tre verita non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e anchesso di tipo nuovo, non in continuita con quello tradizionale. Per pacifismo tradizionale non intendiamo qui le forme idealistiche o misticheggianti su cui giustamente cadeva il sarcasmo di Marx, ma quelle correnti ideologiche che, nelleta moderna, hanno posto a fondamento della politica la ricerca di una pace definitiva. In questo senso potremmo parlare di tre diversi pacifismi che hanno accompagnato, contestandole, le culture via via dominanti, il cui dogma centrale e sempre stato la inevitabilita della guerra.
Si ravviva oggi quel pacifismo che per solito viene detto umanistico perche ebbe le sue prime manifestazioni nelleta di Erasmo, ma che potremmo chiamare anche, utilizzando un lessico piu alla moda, radicale. Il suo principio e la tolleranza, il suo nemico e il fanatismo, da quello religioso a quello ideologico. La pace tra gli uomini e tra i popoli non va posata sulla fede religiosa o su qualsiasi altra visione del mondo, ma su cio che negli uomini e comune, sulla loro natura razionale, la cui voce e la coscienza. "Voila lennemi" diceva Voltaire indicando la chiesa cattolica. Il pacifismo radicale vede il nemico preferibilmente nelle istituzioni, in particolar modo nellesercito, e ripone la causa dello spirito aggressivo nellinfluenza nefasta che esse hanno sulle coscienze.
Cio che sembra mancare in questo tipo di pacifismo, a causa del suo impianto individualistico, e la disponibilita al confronto e soprattutto la giusta considerazione del valore delle istituzioni, della loro capacita, almeno potenziale, di garantire il cittadino dinanzi al privilegio e di fornirgli strumenti di diritto per il perseguimento della giustizia e delleguaglianza. Ecco perche esso e stato sempre un pacifismo elitario, capace di svegliare le coscienze, ma incapace di mordere realmente sulle cause che generano i conflitti interni ed esterni alla societa. Il principio della tolleranza e senza dubbio necessario a dar fondamento a una societa pacifica, purche pero venga coniugato con una militanza politica il cui obiettivo sia la subordinazione delle istituzioni ai fini del bene comune e della pace.
E questo, appunto, il principio del pacifismo democratico. Secondo la formula ideologica che gli dettero, al suo nascere, i giacobini, esso identifica la causa delle guerre con le tirannidi, e la fondazione della pace con lesercizio effettivo della sovranita popolare. I popoli amano la pace - ecco il dogma democratico - in quanto il lavoro, la prosperita, la liberta coincidono con i loro interessi, mentre la guerra produce sprechi, rovine, servitu militari. Bastarono i plebisciti di Napoleone a dimostrare quanto fosse ingenuo il dogma giacobino. E tuttavia lidea che un popolo, una volta che gli siano assicurati gli strumenti formali della sovranita, rifugga naturalmente dalle guerre, ha avuto vita lunga. Nel primo dopoguerra essa ebbe una splendida reviviscenza con la dottrina di Wilson che tenne a battesimo la Societa delle Nazioni. Ma fu proprio nella piu democratica delle repubbliche, nata dalle rovine dellImpero tedesco, quella di Weimar, che prospero e trionfo, col rispetto delle regole, il nazismo. Ed oggi noi siamo qui a constatare che un paese di sicura democrazia formale come gli USA si e trasformato in una cittadella atomica, alla cui ombra prosperano in tutto il mondo dittature militari. Il limite dellideologia democratica e che essa chiama in causa il popolo senza tener conto delle forze che nel suo seno si contrastano e lo frantumano piegandolo alla loro logica.
La risposta piu razionale alla questione della pace sembrava averla data il pacifismo socialista. Linternazionalismo operaio e senza dubbio lutopia pacifista piu straordinaria che sia nata nel mondo moderno. Il suo strumento di lotta, lo sciopero, e stato ed e unarma non violenta, che ha modificato dallinterno tutti i rapporti sociali. Ma ognuno sa che esso non e stato in grado di arrestare nessuna delle due guerre mondiali: anche quando e stato indetto, lo "sciopero per la pace" non ha mai funzionato. Lenin ha aggiornato la dottrina marxista della guerra, dimostrando che essa e strutturalmente connessa alla societa capitalistica e che percio vivra e morira con questa. La razionalita della guerra e nel fatto di portare al limite linevitabile crisi del capitalismo e di preparar cosi il suo capovolgimento: la rivoluzione. E quanto avvenne, per suo merito, in Russia. Ma la sua tesi, smentita per due volte, era che una guerra mondiale avrebbe dovuto generare una rivoluzione mondiale.
La crisi del pacifismo socialista si e aggravata in questi ultimi tempi, provocando un collasso estremo nella nostra cultura. I suoi segni sono di due ordini. La dove si ritiene di aver gia realizzato il socialismo, non solo si e messo in piedi un apparato di resistenza militare che uguaglia quello delle potenze capitalistiche (e, in questo, chi condivide la critica socialista allimperialismo del capitale potrebbe anche vedere un dato provvidenziale), ma ha mutuato in pieno la cultura borghese della repressione. Tra gli stessi paesi socialisti, o quanto meno liberi dalla logica del capitale, ce attualmente lo stato di allerta: segno, per molti, che le cause della guerra non sono riducibili alleconomia di mercato.
Ma la crisi deriva anche dal fatto che la spiegazione leninista e contraddetta almeno da due dati oggi emergenti: i movimenti pacifisti allinterno del mondo capitalistico e lingresso in scena dei paesi ex-coloniali in lotta per la loro liberazione. Per Lenin tutte le potenze capitalistiche si equivalevano, dalla Russia zarista allInghilterra parlamentare. Per quanto duttile, il suo pensiero era ancora succube dello schematismo economicistico. Non solo, ma quello che noi chiamiamo Terzo Mondo era per lui soltanto unappendice del mondo capitalista, una specie di immensa retroguardia del proletariato occidentale. Dinanzi ad uno scenario storico cosi imprevisto qual e quello odierno, lideologia socialista appare ormai inadeguata a dar fondamento ad un pacifismo allaltezza delle necessita. Essa sconta fino in fondo il lato positivistico della sua origine che lha tenuta subalterna allideologia borghese. Non e forse una tesi di Marx e di Lenin che il proletariato e il naturale erede della cultura della borghesia, che e intimamente cultura di violenza? Niente di strano che ben poco sia rimasto oggi, in occidente, del pacifismo proletario. Non e forse vero, ad esempio, che, stretti nel cappio delle necessita del sistema, gli operai prestano la forza-lavoro anche nellimmenso apparato che, in Italia come in tutto il mondo industriale, produce armi da esportare nei paesi del Terzo Mondo per dar forza ai regimi oppressivi? Marx ed Engels non si sarebbero forse scandalizzati, dato che per loro la pace sarebbe stata il risultato di una rivoluzione mondiale che, dandosi la necessita, avrebbe potuto anche far uso della violenza delle armi. Ma che senso ha oggi parlare di rivoluzione armata, quando le classi dominanti del sistema imperialistico hanno in mano le armi atomiche?
*
Eccoci, cosi, alla questione di fondo. Si avverte, sempre meno confusamente, che se ci sara una reazione allaltezza dellestremo discrimine in cui siamo, essa non potra essere piu la proposta dei pacifismi tradizionali, per preziosa che sia la loro eredita, ma un mutamento culturale (la mutazione di cui sopra si diceva) che metta fine, una volta per sempre, alleta neolitica, tanto per usare unespressione cara a Teilhard de Chardin, o alla preistoria, come diceva Marx. Nelle nuove manifestazioni pacifiste si va facendo strada una richiesta di cambiamento, non solo della politica, ma dei termini fondamentali della presenza delluomo alla storia e al mondo, e cioe la richiesta del passaggio da una civilta che aveva assunto la competizione come molla del suo stesso sviluppo ad una civilta che ponga la sua radice nellaltra valenza delluomo, rimasta fino ad oggi marginale, consolatoria e comunque inefficace: quella dellapertura delluomo alluomo come condizione del proprio essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della solidarieta con lintera specie come condizione del suo essere persona.
Tra i molti orizzonti che la scienza moderna ha dischiuso ai nostri occhi ce anche quello, remotissimo nel tempo, delle origini della nostra specie. Ora sappiamo che gli uomini preistorici non erano piu bellicosi di noi, a volte non lo erano affatto. E vero: la civilta (ma questa parola ora la pronunciamo con piu pudore) comincia con le istituzioni e tra di esse non manca mai la guerra. Ma questo nesso costante tra civilta e guerra ci autorizza a dedurne che dunque la guerra e una legge insuperabile della specie? Troppe volte, nel passato, si attribuiva alla natura della specie quello che poi si e scoperto essere niente piu che un portato della cultura. Ad esempio, la schiavitu. Lopinione comune, fino a due secoli fa, era che la schiavitu fosse unesigenza naturale della societa umana, proprio come aveva insegnato, nel IV secolo a. C., il filosofo per eccellenza, Aristotele. Oggi lidea stessa di schiavitu ci ripugna. E cosi: appena oggi si sta sfaldando il pregiudizio secondo il quale e la natura che vuole il primato delluomo sulla donna: da Aristotele a san Tommaso, a Kant, a Freud, su questo punto non ci sono state incertezze. Oggi anche nel diritto italiano e stata sancita la parita delluomo e della donna nel matrimonio. Ci si va convincendo che quanto si attribuiva alla natura non era che un portato della cultura.
Non potrebbe avvenire lo stesso per la "istituzione guerra"? Come ce stata leta della pietra e poi quella del bronzo e del ferro, non potrebbe esserci, dopo la civilta della guerra, la civilta della pace? E vero, una transizione del genere appare molto improbabile anche agli autori di questa rassegna. Unanalisi obiettiva dellattuale corso delle cose non puo non portare alla previsione della catastrofe. Ma cio che e improbabile, non per questo e impossibile. La paleontologia dimostra che la nostra specie ha saputo sottrarsi alla fatalita (quella fatalita che invece ha avuto la meglio su altre specie di animali e di ominidi), mettendo i propri ritrovati (il fuoco, ad esempio) al servizio del suo istinto di conservazione. In questi decenni la specie si trova in una congiuntura del genere: il fuoco atomico, che la sua intelligenza le ha messo tra le mani, puo incendiare e distruggere sulla Terra ogni germe di vita o puo diventare lo strumento per inaugurare una pagina totalmente nuova della storia umana, quella in cui il genere umano viva pacificamente nellunica citta che e ormai il nostro pianeta. Per la prima volta questa utopia e diventata realistica, sia nel senso che essa e per la prima volta tecnicamente possibile, sia nel senso che essa e lunica alternativa alla morte universale Quel che le manca e, appunto, una cultura che sia al suo livello, cioe, come si e detto, al livello della voce della coscienza e dellistinto, una cultura della pace che succeda alla cultura della guerra di cui noi siamo figli, cosi come alla cultura paleolitica successe, piu di diecimila anni fa, la cultura neolitica che ancora sopravvive nelle sue istituzioni fondamentali.
E vero, il tempo e breve, cosi breve che e gia un grave obbligo adoperarsi perche non sia accorciato. Ed e questo che da ogni parte viene chiesto ai titolari del potere politico, in attesa che la mutazione antropologica si svolga secondo i suoi ritmi, sicuramente lunghissimi. Essa chiama in causa la societa in tutte le sue articolazioni organiche, anzi - non dovremmo aver paura a riconoscerlo - chiama in causa primariamente le singole coscienze. Difatti, alla base della pace ce una virtu che non puo essere insegnata: e la fede delluomo nelluomo e, in generale, la fede delluomo nelle risorse della sua specie, rimaste represse e mortificate dalla gelida stagione del cinismo morale. Non si obietti che questa fede nelluomo non e in regola con i rigori della ragione, perche e appunto questa ragione che, sotto le forme del rigore, a nientaltro e intenta se non a codificare lesistente e a proiettarne le forme nel futuro, e proprio questa ragione il primo bersaglio della fede morale. Daltronde anche questa ragione cinica ha le sue forme di fede, quella, ad esempio, di cui danno prova, a loro modo, coloro che propongono come seria lipotesi di una guerra al neutrone regionale e controllata! La fede morale non e piu un semplice postulato, unesigenza cioe senza riscontro nei fatti. Essa ha gia dalla sua parte alcuni processi in corso, il cui senso unitario si svela solo se si assume la civilta della pace come loro punto di riferimento e di sintesi. Si tratta di processi che stanno battendo in breccia, anno dopo anno, le premesse antropologiche della civilta della guerra. La prima di queste premesse e che luomo sia per natura aggressivo, di quellaggressivita distruttiva che noi chiamiamo violenza. Come sopra si diceva, le ricerche antropologiche ci hanno condotto ad un punto in cui non ha piu senso dire che luomo e per natura pacifico o che luomo e per natura violento. La natura delluomo e nel suo farsi, e cioe nella sua cultura. Come dire che luomo e cosi come si fa.
Insomma, una cultura della pace non contraddice a nessun dato irreformabile, scritto nei cieli o sulla terra. Osserviamo cosa avviene nella societa cresciuta allombra del fungo atomico.
- Per la prima volta nella sua storia la specie umana e fisicamente come un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture fisiche e psichiche gia pronte perche avvenga lunificazione soggettiva. Le barriere Est/Ovest e, piu ancora, quella Nord/Sud, sono sempre piu intollerabili: chi le tollera e un ominide il cui sottosviluppo e insieme intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine e gia segnato, perche la loro egemonia e diventata fisicamente impossibile. Il colosso della civilta della tecnica - il Nord - ha i piedi di argilla. Il Sud lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui non fosse schiavo, il tempo del padrone e finito, ed e finita la sua cultura. Il padrone puo morire come Sansone o puo morire di tranquilla morte naturale, e cioe il Nord puo morire sotto le macerie cosmiche provocate dalla sua tracotanza o puo morire risolvendosi in una comunita mondiale senza piu discriminazioni.
- Il rapporto tra luomo e il suo ambiente fisico non puo piu essere quello che e stato, non lo puo piu per ragioni fisiche. Lideologia dello sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori. Gia si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non e quello alienante del romanticismo, e un rapporto su cui batte la luce dellutopia marxiana delluomo naturalizzato e della natura umanizzata. La passione ecologica e un capitolo importante della cultura della pace.
- Si diffonde la presa di coscienza che uno dei luoghi di riproduzione (e proprio il caso di dirlo) della violenza e il modo storico in cui si e determinato il rapporto uomo-donna, tanto nellesercizio della sessualita quanto nel dispiegamento sociale e culturale della sua bipolarita.
Lemancipazione femminile, con il connesso mutamento del senso della sessualita, segna potenzialmente un salto qualitativo nella stessa soggettivita umana. L"altra meta del cielo", anzi laltra meta della terra, a partire dalleta neolitica, e stata mantenuta con violenza al di fuori degli spazi in cui si crea la storia: luomo del neolitico e un uomo dimidiato e proprio per questo violento. Lemancipazione femminile e potenzialmente un altro capitolo della cultura della pace.
- Ma il fenomeno forse piu rilevante, che da conforto alla fede nelluomo, e la nuova dialettica che si e aperta allinterno delle grandi religioni. Possiamo limitarci, e non solo per brevita, al cristianesimo. La soglia atomica, come si e detto, in quanto crinale tra morte e vita del genere umano, e di sua natura il "luogo" di una mutazione. Se lalternativa della vita trionfera, essa non potra andare che nel senso di una composizione unitaria del genere umano. Il che significa che tutto cio che e nato e cresciuto con i segni del "particolare" potra sopravvivere solo se sapra accettare le nuove misure di universalita concreta. Alla pari delle altre religioni, il cristianesimo non potra non apparire (e gia appare) come il patrimonio di una porzione del genere umano. La sua storia, nel bene e nel male, si confonde con quella delloccidente. Lattuale congiuntura agisce come un pungolo sulla forma storica del cristianesimo, un pungolo che sgretola quel che e connesso alla relativita storico-geografica e, nello stesso tempo, fa emergere il suo nucleo profetico. La profezia cristiana ha questo di proprio e forse di esclusivo: che e una profezia messianica, investe cioe la totalita delle speranze degne delluomo, prima fra tutte la speranza della pace. In questo senso il cristianesimo trabocca dai confini religiosi e si commisura, senza sforzi, sulla qualita laica della storia.
- Non solo il cristianesimo cattolico ma anche quello delle altre confessioni che fanno capo al Consiglio Ecumenico delle Chiese sta spostando lasse della propria vita interna o della propria missione storica dagli spazi religiosi a quelli antropologici, dove hanno rilievo decisivo la giustizia e la pace. Su queste frontiere lecumenismo e gia in atto. Morendo alle sue terribili stagioni di complicita con le guerre, il cristianesimo di ogni confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che e la passione per luomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civilta della pace e come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le giudichera. Una chiesa veramente evangelica e come unobiezione di coscienza piantata da Dio nella carne viva del mondo. Ebbene, in questi ultimi tempi le chiese, perfino nei loro vertici istituzionali, che sono piu tardi a muoversi e che daltronde hanno ancora un pesante conto da pagare alla civilta della pace, si sentono sospinte sulle trincee dove si prepara la guerra per pronunciarvi il loro no. Secondo alcuni, e gia matura la stagione per un Concilio ecumenico in cui le chiese si ritrovino non per lanciare un nuovo messaggio al mondo ma per assumersi, nei modi loro propri e con tutte le conseguenze, la responsabilita della sopravvivenza del mondo e, in positivo, dellavvento della civilta della pace.
- Sono passati dieci anni da quando il rapporto Faure, condensando unindagine commissionata dallUNESCO, riconosceva che la crisi della scuola era un dato evidente in ogni parte del mondo e osava affermare che, alla radice di questa crisi, cera una "mutazione antropologica". Gli autori di questa rassegna hanno la pretesa di sapere di che mutazione si tratti. La scuola, nelle forme e nei modi che le sono stati assegnati dalla rivoluzione borghese e che nei paesi dellEst europeo appaiono aggravati, e sempre stata lapparato ideologico destinato a procurare consensi al potere costituito o quanto meno alle classi dominanti. Le classi dominanti, per definizione, guardano al mondo con locchio del dominio e cioe locchio che, viziato da daltonismo ideologico, scambia il proprio particolare per luniversale, il proprio calcolo per la Ragione, la propria espansione colonialistica per la diffusione della civilta. Ma locchio fiero del padrone ha bisogno dellocchio umile dello schiavo: oggi, finalmente, locchio umile non ce piu. Le barriere, almeno dal punto di vista conoscitivo, sono cadute e nessuna cultura puo ormai provocare uneco veramente umana nelle coscienze se non e cultura planetaria, e cioe se il suo punto di vista non e il punto di vista del pianeta divenuto lindivisibile citta delluomo. Per diventare planetaria la cultura deve essere cultura di pace.
La mutazione antropologica che, secondo il rapporto Faure, sta alla base della crisi della scuola e proprio questa. Se ne accorga o meno, la scuola e ancora un organo di diffusione della cultura padronale che e, per forza di cose, cultura di guerra, in contrasto strutturale con i processi di crescita che abbiamo appena indicato. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi finche non scenderanno a questa profondita, per mettere in questione il presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.
*
Uno dei modi con cui la scuola puo inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi e la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed e un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredita. Tutto cio che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dellutopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato ai margini come ingenuo o poeticamente evasivo. E razionale solo cio che e reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere. La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco piu che interpunzioni nel "continuo" del divenire bellicoso della civilta. La "verita effettuale" e diversa. E diversa non solo nellanimo e nel costume dei popoli, che negli annali ufficiali sembrano piuttosto oggetti che soggetti di storia, ma anche nello svolgimento del pensiero a cui e solito rifarsi, come propria sorgente, il mondo moderno.
E appunto di questo secondo aspetto della verita effettuale che la presente rassegna intende offrire una larga documentazione critica. Il panorama che essa offre e di necessita limitato, nel tempo e nello spazio. Nel tempo: la rassegna si apre col periodo in cui prende origine la politica degli Stati e congiuntamente si trasforma, anche dal punto di vista tecnico, l"istituzione guerra". Nello spazio: la rassegna resta, salvo qualche sortita, nei confini del pensiero occidentale anche perche e in questarea che la civilta della guerra ha prodotto le sue grandezze e oggi il suo dilemma mortale.
Secolo dopo secolo, autore dopo autore, lutopia della pace appare in queste pagine sempre in un rapporto dialettico con la realta della guerra e appare sempre, alla prova dei fatti, perdente. Solo oggi, nellera di Hiroshima, le due logiche, quella dellideale morale e quella della necessita realistica, arrivano a coincidere dischiudendo una ricca gamma di prospettive morali e politiche.
Gli autori della rassegna non nascondono affatto quale sia, in rapporto a questo singolare evento della coincidenza tra utopia e realismo, la loro posizione, anzi hanno voluto apertamente dichiararla fin da questa lunga premessa. E tuttavia essi sono convinti di non aver fatto forza al senso oggettivo delle cose, di non aver contraffatto limmagine della realta su cui le coscienze possono elaborare, in modo autonomo, le proprie scelte. Lo strumento che essi hanno preparato intende provocare e soccorrere, allinterno della scuola, un dibattito che e sicuramente il piu alto, il piu universale e, sia permesso di dire, il piu religioso tra quelli che fanno ancora della scuola loccasione piu importante per la formazione delluomo nuovo. I lettori, giovani o meno, giudichino da loro. E ci aiutino a colmare lacune e a rettificare giudizi per rendere il nostro lavoro sempre piu adatto ad illuminare e ad alimentare, dentro e fuori della scuola, la cultura della pace da cui dipende il destino della Terra.
3. ET COETERA
Ernesto Balducci e nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e stato un pensatore di grande vigore ed originalita, le cui riflessioni ed analisi sono decisive per unetica della mondialita allaltezza dei drammatici problemi dellora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dellultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di unutopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); Luomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre lEuropa (Ecp). Si vedano anche lintervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995; unottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquantanni di attivita, Libreria Chiari, Firenze 1996; recente e il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita, Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l"uomo inedito", Fondazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: tel. 055599147, e-mail: feb@fol.it, sito: www.fondazionebalducci.it
==================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ==================== Supplemento settimanale del martedi de "La nonviolenza e in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it Numero 8 del 7 febbraio 2006
Marted́, 07 febbraio 2006
|