Persecuzione dei Rom a Pesaro.

Un uomo lotta fra la vita e la morte


di Gruppo EveryOne

Pesaro, 7 ottobre 2008. Stasera, verso le 20, Radian Danila, Rom romeno di 35 anni, malato di cancro al pancreas, si è accasciato davanti all’ingresso dell’Ipercoop di Pesaro. Avvertiti telefonicamente da un suo familiare, abbiamo chiamato un’ambulanza, che l’ha trasportato d’urgenza al pronto soccorso dell’Ospedale San Salvatore. Le Istituzioni pesaresi, come i servizi sociali e tutte le autorità conoscono perfettamente la condizione sanitaria in cui versano alcuni Rom che vivono a Pesaro: sono malati gravi, a volte incurabili e avrebbero diritto a una casa, a un sussidio, ad assistenza. Invece vivono al freddo, nell’umidità malsana di una casa fatiscente. Nonostante le accorate proteste, l’allarme disperato che il Gruppo EveryOne lancia da mesi, Pesaro ha condannato a morte questi esseri umani e nega loro qualsiasi sostegno. Non hanno diritto neanche all’acqua, alla corrente elettrica, a una stufa per scaldarsi. Hanno negato loro persino un cassonetto dei rifiuti, costringendoli a vivere come topi. Ma non è questo il limite della persecuzione cui sono sottoposte le famiglie Rom di Pesaro. Non è questa l’ultima stazione della Via Crucis che sono obbligate a percorrere, non avendo altra opportunità. La città, infatti, ritiene che l’orrore in cui sono calati questi esseri umani poveri e malati non è ancora una condanna sufficiente e si appresta a colpirli con uno sgombero senza alternative di alloggio. Significa che, se non riusciremo a fermare l’odio irrazionale che ha contagiato praticamente l’intera cittadinanza, risvegliando un barlume di umanità e tolleranza in coloro che decidono, le famiglie "zingare" che vivono a Pesaro saranno costrette a incamminarsi, al freddo, senza mezzi di sussistenza, minate da gravi patologie e dalla precarietà, verso l’annientamento. Gli attivisti del Gruppo EveryOne e pochi cittadini antirazzisti non hanno rinunciato al dialogo con le Istituzioni, ma parlano, scrivono, presentano documenti e lettere aperte in un clima tanto crudele quanto surreale. Anziché provvedere alle emergenze umanitarie, anziché agire con premura e civiltà, le autorità continuano a stringere d’assedio questi profughi in condizioni drammatiche. Per loro non si tratta di uomini, donne e bambini. Il "reato" che viene contestato loro non è l’occupazione di uno stabile rurale (come scritto nel verbale di denuncia), ma quello di esistere. A coloro che, con coraggio e spirito di fratellanza, non rinunciano ad assisterli, con le proprie forze, con i propri mezzi, con i propri cuori, sono riservati sospetto e ostilità. Siamo come la Rosa Bianca o il Gruppo Westerweel nel Terzo Reich. "Mi sento una criminale," ci confidava oggi una donna che aiuta come può le famiglie Rom di Pesaro." Quando porto loro acqua, latte, pane, pasta, devo agire di nascosto persino da mio marito. Perché non capiscono che sono gente come noi?"

Radian Danila sta lottando fra la vita e la morte. Ha lottato tutta la vita contro l’emarginazione: in Romania, a Milano e adesso qui a Pesaro. Due malattie lo uccidono: un tumore e quella distorsione dell’anima altrui, che i sopravvissuti all’Olocausto conoscono bene e Primo Levi definì in una sintesi perfetta:

"Esiste un contagio del male: chi è non-uomo disumanizza gli altri, ogni delitto si irradia, si trapianta intorno a sé, corrompe le coscienze e si circonda di complici sottratti con la paura o la seduzione al campo avverso".


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Mercoledì, 08 ottobre 2008