Riflessione
Razzismo

di Giulio Vittorangeli

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli@wooow.it) per questo intervento.

Biografia Giulio Vittorangeli]


LE parole evocano storie, a volte tragiche. Il razzismo é stato un connotato del nazismo e del fascismo. Ha significato morte. Soltanto che alla disumanità quotidiana ci stiamo abituando.

Non sembra che le parole del prosindaco leghista di Treviso di "affondare le navi" dei migranti, contenuta in una lettera indirizzata al premier Berlusconi ed al presidente della Repubblica Napoletano, abbiamo sollevato particolare indignazione.

Prima un pò ci si vergognava ad essere chiamati razzisti; ora viene preso come un complimento.

Soprattutto da quando é scattato il bando per arruolare i razzisti "democratici" e "rispettabili"; tutti gioiosamente smemorati rispetto alla nostra storia passata.

L’unità d’Italia é avvenuta nell’anno 1860, da allora circa 26 milioni di italiani hanno abbandonato definitivamente il nostro Paese. Un fenomeno che, per vastità, costanza e caratteristiche, forse non trova riscontro nella storia moderna di nessun altro paese.

Dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, sono altri popoli che faticosamente approdano, quando ci riescono, sulle coste italiane. Così le cronache, anche di questi ultimi giorni di agosto, ci parlano di pescherecci che con il loro carico di migranti, spesso in gran parte donne e bambini, cercano di sbarcare in Sicilia.

Migranti, di ieri e di oggi, entrambi alla ricerca di un futuro, di una vita dignitosa, di una possibilità di riscatto; spinti dal sogno della "terra promessa" che si trasforma poi in una difficile realtà.

Dicono che i nostri migranti partivano convinti di trovare, negli Stati Uniti, le strade pavimentate d’oro. "Quando sono arrivato ho scoperto tre cose: una, che le strade non sono pavimentate d’oro; due, che le strade non sono pavimentate affatto; tre, mi hanno chiesto di pavimentarle".

Credo che qualcosa di simile vale per l’immagine odierna che molti migranti hanno dell’Italia.

Del resto, l’immigrazione é oggi assolutamente indispensabile per il funzionamento della nostra macchina produttiva. I bassi salari destinati ai lavoratori immigrati garantiscono competitività (sul prezzo delle merci prodotte) e buoni profitti agli investitori.

I dati statistici confermano che gli immigrati sono portatori di ricchezza; basta ricordare che a loro é dovuto il 6% del Prodotto interno lordo italiano, pagano 1,87 miliardi di euro di tasse e rappresentano il 12,5% dell’intera forza-lavoro del paese.

Ma esiste il rovescio della medaglia: perché sui ceti popolari ricade la concorrenza sulla retribuzione del lavoro, causa i bassi salari degli immigrati, e vi é il disagio di convivenze talora difficili, con conseguente corto circuito ideologico che produce una immissione di dosi abbondanti di ideologia razzista. Semplificando, il tutto é riassumibile nella frase: "L’immigrato mi può privare del lavoro, oppure se non mi priva del lavoro fa del mio lavoro un lavoro immigrato; oppure, l’immigrato mi può privare di uno spazio come la casa, oppure se non mi priva di questo spazio fa del mio quartiere un quartiere degradato, insicuro, pericoloso". Conseguentemente, lo scontro tra soggetti sfavoriti (la "guerra tra poveri") é sempre più probabile.

Così gli episodi, piccoli e grandi, di razzismo e di xenofobia - peraltro in aumento - cadono nell’indifferenza quasi totale, quando non trovano facile consenso, nascondendosi dietro la distanza fra un "noi" e un "loro" che non é foriero di buone nuove.

Dove "loro", con quell’aria da miserabili, disperati e socialmente deboli, spaventano; e devono rimanere, essenzialmente, senza faccia, senza identità, essere solo una categoria pericolosa.

Ha scritto John Foot, sulla rivista "Internazionale" (n. 758 del 22 agosto 2008"): "E’ molto più facile infatti discriminare una categoria invece di qualcuno che ha un nome, una famiglia, una storia personale. L’uso della parola ’clandestinò fa parte di quella che é definita la produzione sociale dell’indifferenza morale. Questa gente deve rimanere una massa informe e minacciosa di stranieri. Non possono essere considerati solo dei cittadini privi dei requisiti giuridici o dei documenti necessari (come tutti gli italiani sanno, in questo paese non é facile ottenere con rapidità i documenti), ma una categoria senza volto di potenziali criminali, che ci spaventano e continuano ad arrivare ogni giorno a migliaia, nonostante le nuove leggi, l’esercito nelle strade e i ’pacchetti sicurezzà".

Non capire che in questo secolo appena iniziato la questione dell’emigrazione é un dato storico di civiltà e non di ordine pubblico, é un ulteriore segno della nostra crisi, non solo di democrazia, ma anche di civiltà.

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Numero 560 del 27 agosto 2008



Mercoledì, 27 agosto 2008