Razzismo
Contro la paura

di Filippo Muraglia

Leggendo i giornali di queste ultime settimane e guardando le trasmissioni tv,sembra di vivere in un Paese impazzito. La politica e gli organi di informazione, con poche eccezioni, hanno contribuito a diffondere un clima di odio e di razzismo che dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore la nostra democrazia. Si parla di persone, di minori e di famiglie utilizzando un linguaggio e delle parole che tendono a disumanizzarle. Viene operata continuamente un inversione di ruoli tra le vittime e i loro sfruttatori. Comportamenti riprovevoli , ma non per questo penalmente perseguibili, diventano d’un tratto la principale fonte di preoccupazione per la sicurezza dei cittadini e delle cittadine.
Essere romeni equivale oramai a essere pericolosi e si parla delle persone che vengono da quel Paese come se si trattasse di un gruppo indistinto il cui comportamento deriva solo dall’origine nazionale.
Come già successo in passato con albanesi, slavi, mussulmani e altri ancora, i romeni oggi sono assunti come capro espiatorio dei problemi della società e in particolare dei problemi di sicurezza, veri o presunti, delle nostre città. Si parla di loro usando gli stessi schemi che il razzismo antisemita ha usato per costruire un consenso sociale e culturale intorno a quella discriminazione che ne ha consentito lo sterminio.
I dati sulla loro presenza vengono manipolati senza contestualizzarli e evitando accuratamente di fornire chiavi di lettura coerenti e corrette.
Si soprappone spesso, creando confusione nell’opinione pubblica, la figura del rom con quella del romeno, come se fossero parole interscambiabili.
Che in Italia ci sia una maggioranza di rom e sinti di nazionalità italiana sembra irrilevante ai fini del discorso razzista,che si conclude sempre con l’ipotesi di espulsioni, ovviamente impossibili nei confronti degli italiani.
Che su 550mila romeni residenti in Italia meno del 10% appartenga alla minoranza rom sembra una informazione che pochi conoscono. Si può così sostenere, in un articolo di fondo di un importantissimo giornale o in un bel dibattito televisivo, che il governo romeno non può mandare tutti i rom di cui vuole liberarsi in Italia e che le nostre città non possono accogliere centinaia di migliaia di rom.
È vero però che molti lavoratori e lavoratrici straniere, non trovando sistemazioni alloggiative nel mercato della casa italiano, perché non se lo possono permettere o perché non li vogliono, si inseriscono sempre più spesso in situazioni di “abitare inferiore”: stabili occupati, case abbandonate, baracche e ripari di fortuna.
L’assenza di politiche d’accoglienza per i lavoratori e le lavoratrici migranti e le loro famiglie, unitamente al forte incremento delle presenze negli ultimi cinque anni, ha determinato la moltiplicazione di situazioni di disagio abitativo nelle aree metropolitane e non solo. Sono tante oramai le baraccopoli sorte negli ultimi anni in molte città italiane che si mescolano con i campi rom, aggravando la già pesante situazione di disagio abitativo che vivono quelle popolazioni: in assenza di altre soluzioni i campi e le baraccopoli diventano veri e propri poli d’accoglienza.
Gli abitanti di queste baraccopoli sono vittime dell’assenza di interventi dello Stato che comunque chiede loro di pagare le tasse in qualità di lavoratori. Del degrado in cui vivono questi uomini e donne la società attribuisce loro la colpa, invertendo appunto i ruoli. Si giustifica in tal modo l’intervento delle ruspe, che costa meno e riscuote più successo, allontanando l’attenzione dalle responsabilità vere di chi non ha saputo o voluto, per mancanza di risorse o paura di perdere consenso, trovare soluzioni civili e inclusive. Così dobbiamo assistere alla distruzione di baracche che erano l’unico riparo per intere famiglie - e, in queste immagini, vedere libri e quaderni scolastici di bambini e bambine che vorrebbero andare a scuola - e i cui diritti vengono calpestati da chi dovrebbe tutelarli.
Il disagio sociale che cresce attorno a quello abitativo, anche per l’assenza di qualsiasi intervento, viene criminalizzato e si parla di microcriminalità e di comportamenti che mettono a rischio la sicurezza delle città, utilizzando demagogicamente le figure del vecchietto e della donna come prototipi di categorie socialmente deboli ma buoni, ai quali contrapporre i cattivi migranti. Lavavetri, senza fissa dimora, persone con problemi di comportamento o d dipendenze, minori non accompagnati, si trasformano in criminali (micro), introducendo, nel discorso pubblico prima ancora che per legge, nuovi reati. Ogni comportamento non conforme al “buon costume” e alla “civile” convivenza viene amplificato e stigmatizzato come socialmente pericoloso. Si può in tal modo intervenire attraverso l’espulsione o l’allontanamento dei migranti poveri ed evitare di dare risposte concrete ad anziani e donne che continueranno a essere abbandonati e a sentirsi insicuri.
La povertà diventa concretamente motivo di fastidio e, con un salto indietro di più di un secolo, i poveri e in particolare i poveri stranieri, ma non solo loro, diventano oggetto di politiche repressive in maniera esplicita.
“La sinistra si è liberata di un tabù”, ripetono opinion leader sempre pronti a compiacere e a trovare giustificazioni per il “palazzo”. Sdoganato il razzismo di sinistra, non si riflette sul fatto che quello di destra sarà obbligato a fare un passo avanti. E se un leader democratico dice che i romeni sono troppi e che bisogna rimandarne alcune migliaia a casa loro, un ministro dice che per arginare il razzismo bisogna ridurre le garanzie per alcuni gruppi di cattivi. Allora un leader della destra sarà obbligato a dire che si tratta di “perette” e che bisogna fare di più, ad esempio le ronde. Così chi sta alla destra del leader di destra (ad esempio quei campioni di democrazia di Forza Nuova) si sentirà finalmente libero di agire. E lo ha già fatto. Ancora, un ex ministro della Repubblica dirà che questi hanno fatto bene. E così fino alla barbarie.
Dicono che siamo “benaltristi” (volgiamo lo sguardo altrove) e che dobbiamo saper rispondere al popolo, anche di sinistra, che vuole più sicurezza. Intanto creano paure e restringono lo spazio dei diritti, mettendo in atto solo azioni contro le vittime del disagio sociale e aprendo la strada a una conflittualità diffusa che non può che aumentare il senso di insicurezza.
Non c’è da essere ottiministi.


* Filippo Muraglia, responsabile immigrazione ARCI



Venerdì, 23 novembre 2007