RIFLESSIONE
Non mi chiamare straniero

di Giulio Vittorangeli

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli@wooow.it) per questo intervento. ]



Gli esseri umani si muovono. Non e’ una grandissima novita’. Lo fanno piu’ o meno da quando sono comparsi sulla Terra. E lo hanno sempre fatto riuscendo a superare ostacoli ben maggiori di un decreto flussi.

Gli esseri umani si muovono per tante ragioni, ma il piu’ delle volte scappano: da una guerra, dalla fame, dall’assenza di un futuro. Pensare di poter regolare o fermare gli spostamenti di grandi masse di persone e’ un po’ come cercare di tappare con un dito una diga. Finche’ in questo mondo le disuguaglianze restano cosi’ profonde, tutto sara’ inutile: azioni di polizia, decreti "sicurezza", repressioni, ecc.

Il pianeta ha urgente bisogno di una diversa distribuzione delle risorse: economiche, ambientali, alimentari. E siamo noi, che viviamo nei paesi piu’ ricchi, che dobbiamo ricominciare. Ricominciare anche dalle parole: "Vu compra’", "Vu torna’", "Vu bada’", "Vu sta la’", "Vu affoga’"...

*

"Non mi chiamare straniero perche’ sono nato lontano o perche’ ha un nome diverso la terra da dove vengo.

Non mi chiamare straniero perche’ un altro seno o linguaggio dei racconti accudi’ la mia infanzia.

Non mi chiamare straniero se nell’amore di una madre abbiamo sperimentato la stessa luce nel canto e nel bacio con cui sognano allo stesso modo le madri contro il loro petto.

Non mi chiamare straniero e non pensare da dove vengo, meglio sapere dove andiamo, dove ci porta il tempo.

Non mi chiamare straniero perche’ il tuo pane e il tuo fuoco calmano la mia fame e il mio freddo e mi ripara il tuo tetto.

Non mi chiamare straniero, il tuo grano e’ come il mio grano, la tua mano come la mia,

il tuo fuoco come il mio fuoco e la fame non avvisa mai, vive cambiando padrone.

E mi chiami straniero perche’ mi ha portato qui un viaggio, perche’ sono nato in un altro Paese,

perche’ conosco altri mari e salpai un giorno da un altro porto, ma sempre sono uguali al momento dell’addio i fazzoletti e le pupille confuse di chi lasciamo lontano, gli amici che ci chiamano per nome

e sono le stesse preghiere e l’amore di colei che sogna il giorno del ritorno.

Non mi chiamare straniero, portiamo lo stesso grido, la stessa vecchia stanchezza che viene trascinando l’uomo dall’inizio dei tempi, quando non esistevano frontiere, prima che venissero loro,

quelli che mentono, che vendono i nostri sogni, quelli che inventarono un giorno questa parola: Straniero.

Non mi chiamare straniero che e’ una parola triste, e’ una parola gelata, ha il puzzo dell’oblio e dell’esilio.

Non mi chiamare straniero, guarda tuo figlio e il mio come corrono mano nella mano fino alla fine del sentiero!

Non mi chiamare straniero, non conosco la lingua, i limiti, le bandiere; guardali, vanno verso il cielo con un sorriso, colomba che li unisce nel volo.

Non mi chiamare straniero, pensa a tuo fratello e al mio, il corpo pieno di pallottole che bacia di morte il suolo.

Non erano stranieri, si conoscevano da sempre, per la liberta’ eterna, ugualmente liberi morirono.

Non mi chiamare straniero, guardami bene negli occhi molto piu’ in la’ dell’odio, dell’egoismo e della paura.

E vedrai che sono un uomo. Non posso essere straniero!"

(Non sono straniero, di Rafael Amor).

*

Purtroppo abbiamo assistito, ed assistiamo, al dilagare della parola "sicurezza". Sostenendo che la "sicurezza" non e’ ne’ di destra, ne’ di sinistra. Dimenticando che sono di destra o di sinistra le definizioni che ne diamo, e le risposte che proponiamo.

Come non ricordare le parole illuminanti di don Lorenzo Milani: "Se voi pero’ avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro’ che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto" (Lettera ai cappellani militari, 1965).

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/

Numero 384 del 4 marzo 2008



Marted́, 04 marzo 2008