Giornata mondiale del migrante e del rifugiato
Lettera aperta a dei poveri in fuga

di Salvatore Scaglia

Cari Ergan, Fatima, Mohammed e Maria,

Domenica 8 Giugno avevo appuntamento con Voi: Vi serviva qualche spicciolo per fare il biglietto per la Francia. Biglietto per il pullman, al fine di evitare i controlli degli aeroporti, poiché eravate sprovvisti di permesso di soggiorno.
Vi conosco. Vi siete sostentati chiedendo l’elemosina davanti alla chiesa dell’Ecce Homo, dei padri Redentoristi, nel quartiere Uditore di Palermo, tra i più difficili della città.
Quasi una metafora, questa. Vi siete riparati all’ombra dei religiosi di sant’Alfonso, che - tra 1600 e 1700 - riscoprì in senso misericordioso la morale, pagando con accuse di lassismo il suo sentire Cristo nei poveri e il ministero ecclesiale tra gli ultimi.
Mi spiace non averVi potuto trattenere. Mi spiace che sostenerVi abbia significato farVi partire. Mi spiace che quest’Italia abbia smarrito, negli anni, la capacità di accoglienza. Di misericordia, se preferite.
È triste constatare che sia ormai ampiamente eroso il senso della comunità; che non si possa più parlare nemmeno di “homo homini lupus”, ma si debba piuttosto dire che “homo homini unus”. Pare trionfare l’individualismo dell’indifferenza. Ognuno pensa a sé stesso e gli è irrilevante la sorte dell’altro, specie del più negletto.
I provvedimenti governativi che si preparano in questi giorni non sono solamente la causa di questo clima. Ne sono anche l’effetto. Qualcuno ha sostenuto che gli italiani non sono mai stati razzisti, nemmeno nel disgraziato 1938. Nulla di più falso: scrivevamo all’ingresso dei negozi che erano vietati a “cani ed ebrei”; pregavamo “anche per i perfidi giudei”. E oggi, forse meno ideologicamente, ma non meno perniciosamente, il contesto non è dissimile.
Mi spiace, amici del Kosovo. Perché non siete criminali. Non siete pericolosi. Siete solo una famiglia, di poveri, resi ancor più poveri da una terra - l’ex Jugoslavia - dilaniata dalle guerre. La cui frantumazione in tanti stati, chissà, forse, è ancora una metafora del trionfo dell’individualismo. Nazionale. Ma pur sempre individualismo.
È il paradosso della globalizzazione. Pare che ci sia un unico pensiero: quello del consumo. Quello del mercato che governa la politica. Quello che vede le regole come vincoli. Quello che non sopporta l’idea della solidarietà, perché tutto è concorrenzialmente vissuto.
Ma l’unico pensiero non unisce. Semmai uniforma. Non costruisce. Semmai disgrega.
In questo milieu non è affatto concepibile il povero: chi non ha perché non ce la fa.
Dev’essere una corsa. Al benessere. Al denaro. Al dio uno e quattrino. Non c’è spazio per il Dio trinitario. Che è Comunione. Che è in Sé dialogante e si apre al mondo. Che per il mondo si è donato, incarnandosi e soffrendo per amare gli uomini ancora di più. Come se il Dio trinitario avesse bisogno di capire. Di più.
Proprio questo manca all’Italia di oggi. La disponibilità, che è anzitutto desiderio, a comprendere. Che c’è un altro, sofferente. E per cui avere misericordia. La misericordia che Voi avete cercato all’ombra dell’Ecce Homo: denudato, dileggiato, flagellato, trafitto.
Non so se in Francia ci sarà sorte migliore per Voi. So solo che la fuga continua: dal Kosovo al campo nomadi di Palermo … E questo è ingiusto !
Spero che troviate pace. Esclusiva conseguenza del dare continuamente a ciascuno il suo. Della giustizia. Primo passo, verso la misericordia.
Misericordia che purtroppo l’Italia, per Voi, non ha nutrito.
E per questo Vi chiedo scusa!
Palermo, 20-6-2008 (Giornata mondiale del migrante e del rifugiato)

Salvatore Scaglia


Articolo tratto da:

FORUM (101) Koinonia

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Sabato, 28 giugno 2008