EHIZENIES Simon Pedro è uno dei tanti ospiti del Centro di Prima Accoglienza di Gradisca dIsonzo (Go); la sua storia è un racconto che potrebbe far capire a molte persone il motivo per cui un essere umano abbandoni la propria terra dorigine per cercare la possibilità di avere una vita migliore. - Simon, dimmi come mai frequenti la chiesa metodista a Gorizia e raccontami qualcosa di te e della tua famiglia «Frequento la vostra chiesa dal giorno di Pasqua quando un pullmann ci ha aspettato fuori dal Centro di Prima Accoglienza per portarci al culto. Vi era stato un passa parola tra gli ospiti dellEtiopia e del Ghana del centro e inoltre avevo letto lavviso esposto dalla direzione nella bacheca. Sono cattolico ma mi sono sentito bene accolto da te, dalla chiesa e quindi mi sento di chiedere a voi laccoglienza che ho cercato qua in Italia. Sono nato il 25 ottobre 1982 in Nigeria e vivevo nella città di Abraka nel Delta State con la mia famiglia: papà, mamma e un fratello e due sorelle minori. Io ero il maggiore» - Come mai hai lasciato la Nigeria? «Mio padre era ingegnere e lavorava nel Delta State e ha ricevuto pressioni da alcune persone perché entrasse a far parte di un partito e hanno minacciato di morte sia lui sia la mia famiglia. Non so di che partito queste persone facessero parte» - Che cosa è successo allora? «A casa mia si cenava verso le sette di solito, così una sera dopo le otto delle persone sono entrate dentro armate di coltelli e armi da fuoco. Io ero nella camera di sopra a giocare con mia sorella minore. Queste persone erano in soggiorno e ho sentito delle voci, poi degli spari e mio padre che mi urla “Scappa!”. Sono scappato con mia sorella. Sono andato alla sera a Benin, con un camion, mentre mia sorella era stanca e lho lasciata sulla strada perché aveva degli amici a cui chiedere aiuto» - Perché non sei rimasto con lei? «Avevo paura e adesso non so più niente di lei» A questo punto Simon ha gli occhi lucidi, non posso credere che finga o si sia inventato questa storia per vivere in Italia, il suo sguardo non lo potrò mai dimenticare. Lo rincuoro, lui capisce e mi fa vedere fotocopie di articoli dei giornali nigeriani in cui si parla di questo fatto. - Che cosa hai fatto dopo? «Sono rimasto a Benin un mese, vivendo in una casa abbandonata e facendo qualche lavoretto per vivere. Poi ho telefonato a un amico di mio padre, che è una persona influente nel partito… e lui è un portavoce. Ma una notte ho ricevuto una telefonata in cui una voce sconosciuta mi diceva che non potevo pensare di scappare. Poi ho disabilitato il telefonino. Un prete mi ha aiutato dandomi un indirizzo a cui andare nello Ka-nu State. Ma sono stato assalito dai banditi che mi hanno rubato tutto e anche lindirizzo dove andare. Ho mendicato per due settimane finché un altro parroco non mi ha aiutato ad andare ad Agadez» - Non avete avuto a casa delle avvisaglie di quello che poteva capitare? «Circa due mesi prima mio padre sapeva che dovevano rapire alcuni stranieri e ne parlava con mia madre. Mio padre lavorava indirettamente per la compagnia... dato che costruiva case come ingegnere edile» - Come sei arrivato in Italia? «Sono arrivato il 24 febbraio su una barca insieme ad altre 35 persone a Lampedusa. Ho dovuto anche attraversare il deserto a piedi per molto tempo prima di imbarcarmi. Il 26 febbraio sono arrivato a Gradisca dIsonzo» - Come è la vita allinterno di un centro di prima accoglienza? «Non è buona, io ho avuto problemi alle ginocchia perché ero nel deserto e mi hanno detto che non era necessario curarmi. Dentro il cibo è sempre lo stesso e un addetto mi ha anche detto di tornarmene a casa mia se non gradivo il cibo» - Non hanno delle attività per voi, dato che potete uscire dalle otto del mattino alle otto di sera? «Ho fatto un po di italiano in un corso interno al centro, ma non so parlare italiano» - Adesso non ti hanno riconosciuto la richiesta di asilo, cosa farai e dove vivi? «Ho chiesto a quattro avvocati un ricorso, ma tutti mi hanno chiesto soldi che non ho perché non ho un lavoro e non posso lavorare con le carte che ho adesso in mano. Il 6 giugno ho il ricorso a Trieste. Dormo alla Caritas ma devo uscire alle otto del mattino e tornare alle otto di sera. Mangio il pranzo nella chiesa dei frati cappuccini e non ceno. Ho bisogno di lavorare, sono disposto a fare dei lavoretti per guadagnare qualcosa ma è molto difficile» Simon sa che la sua storia potrebbe essere la storia di qualsiasi altro immigrato che proviene da un paese che non garantisce un futuro ai suoi abitanti. Simon è convinto che raccontare la propria storia personale possa servire a far capire la situazione difficile di vita di molte persone come lui. Per questo ha accettato di parlare di sé, di rivivere quei tristi momenti che lo hanno portato in Italia alla ricerca di una vita migliore, di un diritto che tutti hanno e che spesso viene negato.
Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 144 - numero 24 - 13 giugno 2008. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo
Mercoledì, 11 giugno 2008
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