Una persona transessuale e la sua chiesa.

Tra esclusione e rifiuto


Ringraziamo gli amici volontari del progetto gionata per averci messo a disposizione questa riflessione di Darianna già pubblicata su www.gionata.org


Qualsiasi persona omosessuale può decidere se fare coming-out o meno, può decidere se vivere responsabilmente o meno il proprio orientamento sessuale, ma una persona transgender o transessuale non lo può fare, poiché o si uccide o è la persona che è! Qui sta il "discrimine" ed a questo tipo di persone ... quale annuncio? Quale evangelo? Quale amore? Quando nei fatti si trova di fronte ad un muro d’incomprensione e rifiuto.

Cosa implica per una persona transessuale (o transgender) essere credente? Sostanzialmente implica l’esclusione di fatto dalla maggioranza delle dimensioni ecclesiali, e questo senza la possibilità di poter ricorrere ad un vissuto privato della propria realtà, poiché una persona transessuale o transgender non può nascondere chi è in alcun modo, non ha alcuna possibilità - se non quella di negare integralmente se stessa - di potersi nascondere e viversi in privato.

L’altro aspetto importante è che una persona transessuale si trova posta di fronte ad una impossibilità più importante, ovvero si trova di fronte alla impossibilità di poter accedere ad una qualsiasi ipotesi di dio, a meno che non sia in grado di poter sviluppare e conoscere una propria personale e soggettiva relazione con dio.
La dimensione teologica ortodossa si pone di fronte ad una persona transessuale o transgender come qualcosa di assolutamente inaccettabile poiché negante, nel suo senso più profondo, del proprio essere in quanto persona umana, in quanto essere umano.

La transessualità contraddice nei fatti ogni dimensione duale o molteplice dell’essere umano, ma la raccoglie in una unità inscindibile di un corpo che non ha altro futuro se non quello datogli dal tempo.
Una persona transessuale vive ha, per la sua percezione, solo la dimensione di una fantasia o di un necessario sogno, ma appunto nulla di reale e concreto, nulla che abbia a che vedere con sé nel senso stretto della parola.
Per noi non c’è futuro se non il domani che può presentarsi cronologicamente ed è irto di nuove insidie e di rare speranze. Ogni ultra terreno rappresenta un qualcosa di profondamente irreale ed inaccettabile, poiché per una persona transessuale, l’oggi è la dimensione centrale, è il superamento del proprio stato di disagio che si pone come una dimensione prioritaria sopra ogni altro tipo di disquisizione.

Così ogni argomentazione di "amore" frana, non sta in piedi poiché non vi è il senso compiuto di tale argomentazione in chi respira solo esclusione ed emarginazione, in chi solo con la forza di sé riesce a conquistarsi uno spazio vitale, sempre ammesso che ci riesca, sempre ammesso che questo non sia l’accettazione di una marginalità totale!

Ma quale amore può esserci se il luogo nel quale la persona transessuale può trovare spazio è solo nell’ultimo gradino della scala sociale? Quando nei fatti si trova di fronte ad un muro di incomprensione? Quando si trova di fronte alla non volontà di comprendere una dimensione in sé semplicissima? No, l’amore non è argomento, tanto meno l’amore di un dio!
Poiché per una persona transessuale è già così difficile poter trovare semplicemente un affetto da parte di un essere umano che parlargli di dio diventa semplicemente un discorso senza fondamento! Quale dio?
Quale dio avrebbe fatto un torto così tremendo ad una persona di farla nascere con un fisico diverso dal proprio genere? Quale amore c’è in una cattiveria di questo tipo? E poi? come può una persona transessuale riconoscersi in un Dio che si fa "uomo"?

Diventa questione di fondo soprattutto per il fatto che allora nessuno è realmente immagine di Dio, ma tutt’al più immagine dell’immagine di questo dio! Discorso complesso, troppo complesso che fa a botte con questa quotidianità di sopravvivenza e di resistenza.

Personalmente ho una mia stretta e particolare relazione con quello che chiamo "il mio Dio". Personalmente ho chiara quale sia la mia vocazione e, quindi, comprendo il senso della mia chiamata ed elezione.
Certamente io ho degli strumenti, ma quante persona transessuali o transgender hanno questi strumenti, capaci di sviluppare una critica e di riconoscere la propria vocazione in relazione ad un dio che si rivela a loro e non un dio mediato dalla dimensione ecclesiale?

La problematica è, a mio modesto avviso, proprio nella comprensione di quale sia la profonda critica alla predicazione, alla impostazione teologica e dogmatica di un cristianesimo che non è in grado di parlare a chi si trova di fronte ad una realtà di disagio d’identità di genere. Perché? Perché chi ha una realtà contestuale e storica di disagio d’identità di genere, non può nascondersi, non può mediarsi, non può fare coming-out per sua decisione! L’evidenza e la pubblicità di sé - che per una persona transessuale o transgender - non è una scelta, ma è una condizione assoluta, pena la negazione totale di sé e la morte!

Un prete o un pastore omosessuale, può decidere se fare coming-out o meno, può decidere se vivere responsabilmente o meno il proprio orientamento sessuale, ma una persona transgender o transessuale non lo può fare, poiché o si uccide o esce per la persona che è!
Qui sta il "discrimine" ed a questo tipo di persone ... quale annuncio? Quale evangelo?



Domenica, 10 febbraio 2008