Piero Montana lascia la Chiesa cattolica apostolica romana
Lettera aperta a Don Luciano Catalano,

parroco della parrocchia di San Pietro, Bagheria ( PA)


di Piero Montana

Con la presente Le comunico che pur essendo stato battezzato in tenera età nella sua parrocchia, da diversi anni, ormai, non sono più cattolico praticante, e che da qualche tempo ho maturato la decisione di non essere più considerato aderente alla confessione denominata “ Chiesa cattolica apostolica romana”, ed ancora che desidero rendere pubblica tale mia volontà e scelta personale.
I motivi che mi hanno spinto alla decisione suddetta, nulla hanno a che fare con la mia fede in Gesù Cristo, che non rinnego in alcun modo, bensì con l’impossibilità da parte mia di seguire da cristiano su “temi eticamente sensibili”, quali l’omosessualità, l’amore omosessuale ed il riconoscimento del suo valore sociale, ciò che dicono i vescovi e specialmente quando proviene dalla Chiesa di Roma, in cui risiederebbe la “ vera tradizione apostolica”.
La mia è dunque una decisione travagliata, dolorosa, sofferta che si appella anzitutto al riconoscimento del primato della coscienza e della non minorità di una fede adulta in contrasto, riguardo ai temi in questione, con il magistero, ma che rifiuta il generico appellativo di “ relativismo etico”, e che ancora in nome di Gesù Cristo e dell’amore per il prossimo non vuole più essere causa di esclusione, emarginazione sociale, di condanna, di dileggio e disprezzo, rifiutando pertanto di essere subordinata ad atavici pregiudizi, specialmente quando quest’ultimi sono lesivi della dignità della persona.
C’è oggi nel mondo e sempre più nel nostro paese una categoria di poveri verso i quali è molto più difficile essere caritatevoli, verso i quali le alte gerarchie della Chiesa cattolica non cessano di mostrare quotidianamente ostilità ed avversione.
Sono i poveri di diritti. Per costoro non c’è cuore, attenzione, comprensione, amore come per quel prossimo che bisogna amare, per quegli ultimi che saranno i primi e che oggi sono costituiti da tutti gli emarginati di questa nostra società, da tutti coloro che a differenza della maggioranza, manco fossero dei fuorilegge, rimangono ancora senza tutela, senza diritti, senza famiglia, dalla quale molto spesso vengono cacciati, rinnegati o al cui status naturale e giuridico non possono ambire.
Mi riferisco qui, in particolare, alle lesbiche ed agli omosessuali ed alle coppie da loro formate, sia femminili che maschili , definite, stigmatizzate dal Papa, al convegno della Chiesa italiana a Verona nell’autunno scorso, come “forme deboli e deviate d’amore.”
Mi riferisco alle coppie di fatto anche gay, per le quali ancora il Papa recentemente ha fatto divieto ai politici cattolici di votare in Parlamento “ leggi contro natura”, riferendosi ad un loro possibile riconoscimento giuridico ed istituzionale.
Mi riferisco a persone che hanno sentimenti ed affetti comuni agli eterosessuali, che vengono implicitamente scoraggiate dall’instaurare tra loro rapporti stabili e duraturi, da veti, proclami, diktat pronunciati quotidianamente dalle autorità ecclesiastiche contro la legalizzazione delle coppie di fatto.
Partendo da questa ferma opposizione della Chiesa cattolica a tale legalizzazione, quale modello di relazionalità viene offerto in cambio ai gay?
Si può continuare a predicare solo la castità?
Ma qui non si tratta neppure di sessualità, giacché sarebbe assai riduttivo, pregiudizievole, fuorviante parlare del comportamento omosessuale solo in termini di sessualità, dal momento che esso naturalmente si esplicita, nella sua interezza, in maniera affettiva, sentimentale e in questo caso, in una palese, reale espressione d’amore, alla quale non si può non riconoscere valore morale e sociale in considerazione anche del suo vincolo solidaristico.
La Chiesa cattolica ha fatto al contrario una radicale distinzione valevole solo per gli omosessuali tra condizione, tendenza, orientamento da una parte e comportamenti o atti dall’altra, stigmatizzando questi ultimi come “ intrinsecamente ed obiettivamente disordinati”.
(Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali. )
Da questo stigma indiscriminato e generalizzato dei comportamenti omosessuali ne deriva, come qualcuno ha fatto notare([1]), “un rosario di no”, recitato da vent’anni a questa parte in maniera sempre più ossessiva, martellante dal Vaticano.
« No dunque alle “interpretazioni eccessivamente benevoli della condizione omosessuale.” No a una “nuova esegesi della Sacra scrittura” che attribuisse alla Bibbia una qualche approvazione o non condanna dell’omosessualità. No a “ un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso”. No alle “ dottrine erronee riguardanti l’omosessualità.” No al radunare “ sotto l’egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale.” No al tentativo di “ cambiare le norme della legislazione civile” ai fini di un riconoscimento istituzionale delle coppie gay. No alla concezione “ secondo cui l’omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. ” No all’opinione “ secondo la quale l’attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l’espressione sessuale dell’amore coniugale.” No all’affermazione “ che la condizione omosessuale non sia disordinata.” No a “quei programmi che tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi a riguardo la sua dottrina.” No a programmi pastorali che includono “ organizzazioni nelle quali omosessuali si associano tra loro.” No alle “ opinioni teologiche che sono contrarie all’insegnamento della Chiesa.”»
La lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, firmata nel 1986 dall’allora prefetto della Congregazione dottrinaria, il cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, può essere considerata, a mio avviso, nel voler essere sincero e spero non offensivo, un manifesto esemplare dell’omofobia, un documento decisamente categorico, assolutista, senza dubbi né sfumature, con il quale il pregiudizio antigay viene riproposto all’attenzione della modernità in maniera acritica, senza alcun valido ed oggettivo supporto scientifico e a causa di ciò trasformato in una sorta di dogma valevole per l’eternità.
Un tale documento, a prescindere dalla mia particolare condizione di omosessuale, risulta inaccettabile alla mia coscienza, in quanto in esso non è difficile riscontrare idee pregiudizievoli e discutibili modelli stereotipati riferiti alla persona omosessuale ed ai suoi relativi comportamenti, visti da una prospettiva sessuofobica incapace di fare alcun discernimento oggettivo.
In tale documento infatti non si trova neppure alcuna indulgenza per relazioni omosessuali stabili basate sull’amore, sugli affetti, su vincoli solidaristici, nessuna apertura ai gruppi di fedeli gay che non si votino alla castità e all’espiazione.
A distanza di vent’anni dalla pubblicazione di questo fatidico documento, nulla è cambiato se non in peggio nelle posizioni ufficiali della Chiesa in tema di omosessualità.
Il risultato devastante è sotto gli occhi di tutti. L’omosessualità sembra essere diventata oggi una sorta di male assoluto e, a causa di ciò, c’è anche chi, dall’alto della sua posizione all’interno della Chiesa cattolica, spiegando il suo no ai Dico cita, con toni da linciaggio morale e civile, incesto e pedofilia, salvo rettifiche e smentite fatte dopo.
Il bombardamento mediatico, a tappeto, continuo, pressante del Vaticano contro la legalizzazione delle unioni gay sconfina inoltre in un campo, quello politico, in cui la gerarchia ecclesiastica non può esercitare il suo magistero se non indebitamente, alienando la sovranità del legislatore e contravvenendo al detto evangelico “ del dare a Dio quel che è di Dio ... a Cesare quel che è di Cesare.”
Per tutte queste ragioni ed altre ancora, che qui sarebbe lungo elencare, ribadisco che, per la coerenza e la trasparenza che da sempre fa parte del mio stile di vita, a motivo della mia non condivisione delle posizioni del magistero ecclesiale su temi quali l’omosessualità e le convivenze gay, è mia ferma decisione di non volere fare più parte della “Chiesa cattolica apostolica romana”, considerando altresì che il battesimo impartitomi in tenera età, sia da considerarsi un puro atto formale, da non considerarsi valido, alla luce dei miei recenti convincimenti, per confermarmi come aderente alla Chiesa suddetta.
Desidererei concludere, affermando tuttavia che, per quanto da me esposto, non rinnego affatto la mia fede cristiana e che, confortato dalla Parola di Dio espressa nei Vangeli, ho intenzione di aderire alla Chiesa Valdese.
Rispettosi saluti

Piero Montana



Note


[1]1) La fobia antigay di Joseph Ratzinger, Discepoli di Verità, Kaos Edizioni, 2005






Martedì, 03 aprile 2007