Storie. Un difficile «coming out» nell’Europa dell’est
«Io, prete e gay in fuga dalla Romania»

di Cinzia Gubbini (il manifesto, 18.06.2006)

Dimitri Bica è arrivato a maggio in Italia per chiedere asilo politico. Era padre superiore di un monastero rumeno e ha pubblicamente dichiarato di essere omosessuale. «Nel mio paese mi perseguitano»


Il suo passato è racchiuso in un borsone di tela nero. E per quanto riguarda il suo futuro, beh, per ora non va molto più in là dei prossimi tre mesi estivi: animatore in un villaggio turistico a Pescara. Tutto è sospeso, finché la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato di Crotone non valuterà la sua storia. Dimitri Bica aspetta, ma intanto progetta. Ha un’idea fissa in testa: continuare qui in Italia la battaglia che ha dovuto abbandonare in Romania.
A vederlo in faccia, Dimitri, non si direbbe proprio che è un ex prete ortodosso. Alto, atletico, capello curatissimo e sguardo profondo. A testimoniare la sua fede ancora salda, l’inseparabile croce al collo. Eppure di lui è stato detto che è il satana e l’anticristo. Dimitri, è il primo prete rumeno ad aver dichiarato pubblicamente di essere gay. Lo ha fatto nel 2002 dai microfoni di una tv nazionale, quando aveva già abbandonato le vesti da un anno, terremotando il sistema dei media che per un po’ di tempo se lo sono conteso. Primo caso pubblico e «piccante» di «coming out» in una società, quella rumena, che ancora oggi vive l’omosessualità come un tabù insuperabile, come un pericoloso veleno che può infettare lo status della famiglia tradizionale. La Chiesa ortodossa nella guerra contro gli omosessuali è in prima fila. Per questo ci tiene a precisare che non è tanto corretto dire che Dimitri è il primo prete ortodosso dei paesi del sud-est europeo ad aver dichiarato le sue preferenze sessuali. In fondo, prete non era più. Ma c’è poco da fare: è proprio il suo passato ad aver reso la sua storia così famosa in Romania, e ad aver spaccato l’opinione pubblica. E d’altronde, la sua decisione di uscire dal seno della Chiesa nasce proprio da un casus belli politico legato ai diritti degli omosessuali.
Dimitri lascia il convento
«E’ successo nel 2001», racconta Dimitri, che fino a pochi giorni fa era a Roma per cercare un lavoro. «Da diverso tempo attraversavo una crisi personale. Ma a convincermi che non potevo continuare a fare il prete è stata una busta. Era grande, gialla e arrivava dal Patriarcato». Quella busta conteneva un serie di fogli accompagnati da una lettera in cui il Patriarcato chiedeva ai sacerdoti di raccogliere firme tra i fedeli contro la «legge 200» che era in discussione in parlamento. La legge, poi approvata tra infuocate polemiche, doveva abolire l’articolo 200 del codice penale che prevedeva ancora il carcere per il reato di sodomia. Riformarlo era tra le condizioni necessarie perché la Romania avesse le carte in regola per candidarsi all’ingresso nell’Unione europea. «Ecco, raccogliere le firme tra i miei parrocchiani mi sembrava proprio troppo. Non ce la facevo. E poi mi sembrava assurdo e ingiusto che la Chiesa facesse politica in modo così sfacciato. Per che cosa? Per mandare in galera chi ha una relazione omosessuale? I gay non sono forse figli di Dio?».
All’epoca Dimitri, seppur giovane, è un prete in carriera: padre superiore del monastero Poiana Marului, nella provincia di Caras. E’ un giovane sacerdote dinamico, in quegli anni fa anche costruire una chiesa la cui foto appare in alcuni giornali rumeni che hanno parlato della sua storia. «Diciamo che l’ho costruita con le mie mani», dice ancora orgoglioso. Comunque, decide di abbandonare la sua esperienza spirituale, e va dal vescovo a rassegnare le sue dimissioni. «Ma non ho spiegato le vere ragioni per cui me ne volevo andare. La situazione era difficile». Il vescovo gli dice che probabilmente è stanco, gli consiglia di prendersi qualche settimana di riposo, di andare dalla madre a schiarirsi le idee. Lui lo fa, e si schiarisce le idee tanto bene da decidere che in monastero non ha più intenzione di tornare e che, anzi, deve fare qualcosa di più per denunciare l’atteggiamento della Chiesa.
Scoppia lo scandalo
Così, decide di montare un caso mediatico. Trova un contatto con la giornalista della tv nazionale Madalin Ionescu, che conduce la trasmissione «Miezul Problemei» («Il Punto sul problema») e lancia la bomba. Non soltanto dichiara di essere gay, ma annuncia di avere un’audiocassetta in cui un giovane seminarista racconta di essere stato violentato da un vicario episcopale. «La Chiesa ortodossa è ipocrita - denuncia in quella trasmissione Dimitri - perché devo tacere? Sono molti i preti omosessuali, mentre le alte sfere conducono un’ingiusta battaglia contro i gay». L’audiocassetta non viene mandata in onda, ma la conduttrice si fa garante del fatto che esiste, e che è in suo possesso. Apriti cielo. Dalle pagine del quotidiano rumeno Jurnalul il portavoce del Patriarcato, Costantin Stoica dice a chiare lettere che Dimitri Bica «è passibile di un’accusa per calunnia». E sul problema dell’omosessualità non va per il sottile: «Dal punto di vista della Chiesa ortodossa, l’omosessualità è un peccato».
Per l’ex prete inizia un calvario. Lui denuncia la Chiesa di averlo perseguitato, anche se non può fare accuse precise: nessuno gli mandato lettere di minacce firmate. Ma di telefonate anonime, quelle tante: «Mi dicevano di stare attento dove mettevo i piedi, e di guardarmi alle spalle. I miei amici mi riferivano che alcuni sacerdoti, durante le prediche, dicevano che io ero pagato dall’Unione europea per mettere in crisi i valori della società rumena».
«Rinchiuso in un monastero»
Per questo decide di venire in Italia. In quei mesi c’è la sanatoria della Bossi-Fini, lui riesce a ottenere un permesso di soggiorno e per un po’ lavora in un supermercato vicino a Brescia. Ma non ha perso tutti i contati con la sua Chiesa, e nel 2004 il vescovo gli manda a dire che se vuole può tornare, provare a rimettersi sulla retta via. Lui decide di provare. «Non lo avessi mai fatto. Per tre mesi mi hanno spedito in un convento in montagna. Dovevo solo pregare, pregare, per lavare le mie colpe. Potevo mangiare solo una volta al giorno, e niente carne e niente uova. Stavo malissimo. Dicevano che dovevo guarire, e che con la preghiera sarei guarito. Io lo facevo, ma non succedeva niente».
D’altronde l’esperienza ecclesiastica di Dimitri è cominciata proprio così: è diventato prete perché gli avevano spiegato che la sua attrazione per lo stesso sesso era una malattia dell’anima, che poteva essere curata solo grazie alla preghiera. «Avevo quindici anni - ricorda oggi - e mi ero iscritto al liceo artistico di Timisoara. Volevo diventare un pittore. Ma mi accorgevo che non ero come tutti gli altri: le donne non mi interessavano. Invece, mi piacevano i ragazzi. Così, andai a confessarmi da un prete - continua - e lui mi consigliò di entrare in seminario. Così sono diventato un sacerdote».
Dopo l’esperienza della «clausura», per Dimitri è chiaro che la sua casa non è la Chiesa ortodossa, e che nella vita vuole lottare per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali. «Io faccio parte della giovane generazione rumena che vuole cambiare il proprio paese. Che vuole vivere in democrazia e nel rispetto di tutti», spiega oggi.
Continua a frequentare le trasmissioni tv, dalla rivista Switch lancia al governo e al parlamento la proposta di approvare i Pacs anche in Romania. Ma continua anche a battere sull’«ipocrisia della Chiesa». Questa volta entra in rotta di collisione niente meno che con i monaci ortodossi greci che vivono nel «sacro» monte Athos, quello dove le donne non possono mettere piede dall’XI secolo. «Durante il mio periodo di riavvicinamento alla Chiesa - racconta Bica - andammo in pellegrinaggio al monte Athos. Lì ho visto delle cose molto strane. Per esempio: dei giovani che, chiaramente, non erano pellegrini. Erano vestiti molto alla moda, giravano in auto, secondo me erano omosessuali. Per la verità molta gente, durante il pellegrinaggio, me lo ha confermato. Ma sono solo mie supposizioni. Dunque, quando sono tornato, durante una trasmissione televisiva ho soltanto chiesto: che ci facevano quei giovani al monte Athos?». Apriti cielo due. Sono di nuovo polemiche e polemiche sui giornali. Su alcuni Forum internet, ad esempio lo Schitul Darvari si leggono interventi inquietanti, tipo: «Sono convinto che questo Dimitri è pagato per fare del male alla Chies ortodossa» e un altro «Forse dovremmo passare a qualcosa di pratico». La Romania comincia ad essere davvero troppo piccola per uno come lui: «Hanno iniziato a chiudermi tutte le porte in faccia. Impossibile trovare un lavoro, persino come cameriere in una pizzeria. Avevo lo stigma di essere sodomita». Non è difficile crederlo se si pensa, che proprio a inizio giugno, il Gay Pride ha sfilato per le strade di Bucarest. Risultato: 50 arresti e 50 feriti, con gruppi di preti ortodossi che lanciavano uova marce.
«Corto circuito» con Pizzo Calabro
Per Dimitri, insomma, si mette male. Fino a che, girando su internet non entra in contatto con un italiano, che decide di dargli una mano. L’ex prete è convinto che si sia trattato di «un segno del cielo». L’italiano è Francesco De Maria Feroleto, assessore alle Pari Opportunità di Pizzo Calabro. Nel suo comune Feroleto ha fatto approvare le unioni civili, valide anche per persone dello stesso sesso «prima di Zapatero», come ama ricordare. «Ho incontrato Dimitri su internet - racconta l’assessore - parlava della sua storia, dice va di temere per la sua vita. Che aveva paura di uscire, anche in compagnia. Così gli ho detto che, se riusciva ad arrivare in Italia, gli avrei dato una mano. E’ arrivato il 5 maggio e io l’ho aiutato a mettersi in contato con la questura e con la Commissione per lo status di rifugiato di Crotone». Ora Dimitri spera di poter ricevere almeno un permesso di soggiorno per protezione umanitaria: «Vorrei poter vivere qui, libero. Libero soprattutto di poter continuare la mia battaglia. Ho tante idee in testa: per esempio organizzare un Gay Pride di tutti gli omosessuali dei paesi dell’est in Italia. Magari a Roma». Chissà che ne pensa papa Ratzinger.



Mercoledì, 21 giugno 2006