E’ possibile essere gay e essere felici?

di Andrea Panerini

Active Image Testimonianza di Andrea Panerini, già pubblicata su www.gionata.org


"Se un’altra persona mi domanda se sono felice di essere gay gli rispondo di sì ma che non ne sono orgoglioso. ... Sono felice di poter camminare nel progetto che il Signore ha previsto per me e che considero un suo dono, non sono orgoglioso perché questo implicherebbe un atteggiamento di disprezzo o superiorità nei confronti degli altri. ... Cosa vedo nel mio futuro? Un futuro, se Dio lo vorrà, accanto a una persona con cui condividere passioni, gioie e dolori, errori e amore. Non credo sia una visione molto diversa da molti miei coetanei eterosessuali, ma forse per il nostro paese e la nostra cultura questa è una normalità straordinaria".

Salve, mi chiamo Andrea, ho quasi 25 anni e sono qui a raccontarvi la mia piccola storia. Sono un ragazzo normale, non bellissimo ma nemmeno brutto, non simpatico ma neanche antipatico, faccio l’impiegato presso un sindacato. Nato da famiglia cattolica, ho trovato nella chiesa valdese una dimensione per vivere l’amore che Dio nutre per me come per tutti gli altri uomini. E’ possibile essere gay e tentare di essere felici? Secondo me sì, ma a due condizioni molto precise.

La prima è di accettare, prima della propria omosessualità, la condizione di essere umano, fallibile, di per sé “sbagliato” in quando imperfetto e quindi peccatore. Ma un omosessuale non è più peccatore degli altri, è fallibile e soggetto a commettere errori esattamente come un eterosessuale.

La seconda condizione è l’evitare di concentrare tutta la propria attenzione sul sesso, che è sicuramente una componente importante della vita umana, mai il giudizio su una persona, tuttavia, non può essere legato solo ai comportamenti sessuali né come cristiano posso guardare al sesso come ad una cosa completamente slegata dall’affettività (il fatto poi che possa averlo praticato in questo modo in altri periodi della mia vita non fa altro che confermare il primo punto, cioè che siamo fallibili), senza tuttavia permettermi di giudicare nessuno.
Al tempo stesso non è possibile, secondo la mia opinione, macerarsi in proposizioni auto-accusatorie né è positivo, e lo dico con il massimo affetto verso alcuni fratelli e sorelle, che la propria vita spirituale si riduca solo alla ricerca di un prete che assolva per scaricarsi la coscienza.

Ho avuto la percezione di essere gay alle scuole medie quando, invece di fantasticare sulle mie compagne, avevo fantasie sui maschietti della classe. Ma il vero salto di qualità è avvenuto a 15 anni quando per la prima volta mi sono innamorato.
Non sono omosessuale perché vado a letto con altri uomini ma perché provo, ho provato e proverò sentimenti verso persone del mio stesso sesso. A poco più di 16 anni mi sono dichiarato (o meglio sono stato dichiarato e non ho avuto l’ipocrisia di negare) e in una città come quella in cui sono nato e cresciuto (Piombino, poco più di 30mila abitanti) potete ben immaginare la solitudine e il silenzio a cui sono stato condannato.

Tranne i miei genitori (che sono stati fantastici) e pochissimi amici, ero solo a meditare su me stesso e più di una volta mi sono ripetuto nel profondo: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? rimproverando al Signore il modo in cui mi aveva creato (il pensiero che l’omosessualità fosse una malattia da cui guarire non ha mai sfiorato né me né i miei genitori). Ho pensato che la mia vita fosse sterile, inutile.

Con il passare del tempo, anche attraverso forme di impegno civile e politico (che tuttavia mi hanno dato anche molte amarezze), sono riuscito a sentirmi grato di questa diversità che Dio mi ha donato e, nonostante ancora non mi abbia fatto ancora incontrare un ragazzo che possa starmi accanto per il resto della vita, ringrazio ogni giorno il Signore per la mia esistenza, che ritengo non esente da sofferenza ma piena di significati.

Se un’altra persona mi domanda se sono felice di essere gay gli rispondo di sì ma che non ne sono orgoglioso. Sono felice di poter camminare nel progetto che il Signore ha previsto per me e che considero un suo dono, non sono orgoglioso perché questo implicherebbe un atteggiamento di disprezzo o superiorità nei confronti degli altri.
L’autodeterminazione può essere valida per i comportamenti sessuali (ognuno di noi può decidere di andare a letto con chi vuole, chi lo nega subisce solo dei condizionamenti culturali) ma non è applicabile all’affettività che è un dono di Dio, e dell’altro che si dona a me come io mi dono a lui.
Il tema dei sacrosanti diritti civili è altra cosa, che mi coinvolge come cittadino e come “animale politico”, ma come cristiano ho il diritto/dovere di andare oltre all’attualità politica e di scavare nel profondo della coscienza.

Cosa vedo nel mio futuro? Un futuro, se Dio lo vorrà, accanto a una persona con cui condividere passioni, gioie e dolori, errori e amore. Non credo sia una visione molto diversa da molti miei coetanei eterosessuali, forse per il nostro paese e la nostra cultura questa è una normalità straordinaria.



Venerdì, 21 marzo 2008