Dante, gli antichi e il «mistero dell’omosessualità»

di Daniela Tuscano*

Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell’autrice che vivamente ringraziamo, dal sito
http://www.gionata.org

Testo didattico a cura di Daniela Tuscano*

Alcuni commentatori contemporanei si sono chiesti se nel canto XV dell’Inferno Dante volesse condannare (dopo la corruzione politica e intellettuale) anche l’omosessualità, o meglio, gli omosessuali. Ecco la risposta che fornisce l'opuscolo didattico "Percorsi danteschi" destinato ai ragazzi delle classi terze delle superiori.

Precisazioni terminologiche

Alcuni commentatori contemporanei si sono chiesti se, nel canto XV dell’Inferno, Dante volesse condannare (dopo la corruzione politica e intellettuale) anche l’omosessualità, o meglio, gli omosessuali. La domanda, pur se comprensibile, è mal posta. Vedremo più avanti perché.
Innanzi tutto, l’espressione “omosessualità” era sconosciuta sia al poeta, sia agli autori vissuti prima (e dopo) di lui. Persino gli antichi Greci, considerati (non sempre a ragione) molto tolleranti nei confronti della stessa, ignoravano tale parola, perché non esisteva: essa fu coniata soltanto nel 1869 dal medico K. M. Benkert combinando il vocabolo greco homos (=uguale) con quello latino sexus, di evidente significato.
Il contrario di omosessualità è eterosessualità (dal greco heteros = altro, opposto). Gli eterosessuali sono quindi le persone attratte dal sesso opposto al loro e costituiscono la maggioranza della popolazione mondiale. Ma queste distinzioni, anticamente, non avevano alcun senso o quasi.



L’antichità

Sono naturalmente sempre esistite pratiche omosessuali. Esse sono documentate in Mesopotamia e, malgrado i divieti religiosi, anche in area islamica (nel Poema celeste del persiano Attar il poeta non esita a ricorrere a esempi di amori anche omosessuali – non di semplice sesso, mai menzionato – per spiegare l’amore di Dio verso il suo popolo). Lo stesso accadeva in Grecia e a Roma.
Va però precisato che queste ultime erano società maschiliste e schiaviste. Al contrario di quanto avveniva a Creta, la donna greca e romana non veniva considerata cittadina e la sua istruzione era scarsa e trascurata. Benché, nel corso della storia ellenica, non siano mancate eminenti figure femminili (es. Aspasia, amante di Pericle, e Diotima, la filosofa che iniziò Socrate allo studio e sua amante), il compito che la società affidava alla donna era limitato alla cura domestica e alla procreazione.
Pertanto, le sole pratiche omosessuali tollerate erano quelle maschili, che si basavano su una rigida contrapposizione di ruoli (l’adulto e il ragazzo) e dovevano servire a cementare, nel futuro cittadino, la consapevolezza del proprio valore, la nobiltà del proprio sentire, la sua cultura. Come s’è accennato, alcuni grandissimi autori hanno lodato gli amori omosessuali [1], ma questi ultimi non ricevettero mai un riconoscimento legale. Anzi, una volta terminato il tempo dell’educazione il nuovo adulto doveva sposarsi e procreare.
Gli eventuali rapporti omosessuali che poteva intrattenere erano qualcosa in più, un “lusso” che l’uomo poteva concedersi (abitudine che si sarebbe diffusa soprattutto a Roma, e che avrebbe scandalizzato S. Paolo), fatta però salva la differenza di condizione (uomo-ragazzo, libero-schiavo) e l’integrità della famiglia. L’omosessualità era infatti generalmente ritenuta una fase di passaggio nella conquista della piena maturità. Non si trattava di un rapporto alla pari.
L’uomo poi che dimostrasse di non sapersi creare una famiglia, e di conseguenza di non contribuire alla crescita e alla guida della società, “tradiva” il suo compito, mettendosi alla stregua di una donna.

Per l’omosessualità femminile si fa riferimento alla grande poetessa Saffo, vissuta nel VII secolo a. C. nell’isola di Lesbo. Era sposata; aveva una figlia e pare fosse fisicamente attraente.
La sua appartenenza alla classe nobiliare le aveva permesso di proseguire gli studi e di insegnare in un tìaso, una sorta di collegio femminile: la posizione geografica di relativo isolamento concedeva infatti alle donne una maggiore libertà, anche nel campo dell’istruzione.
I versi di Saffo esaltano la dolcezza, la grazia, la sensibilità e la particolare intelligenza delle donne.
La cultura dominante (maschile) amò i suoi versi, ma temette la sua figura, che non corrispondeva allo stereòtipo (=modello) della donna dipendente, fragile, incapace di ragionare. Contrariamente all’omosessualità maschile, il lesbismo era quindi visto come un tentativo di affrancarsi dal predominio dell’uomo e perciò considerato un elemento di sovversione, da reprimere.
Col tempo nacque perciò la leggenda di una Saffo eterosessuale e “brutta”, diventata poetessa (cosa “innaturale” per una donna!) per sfogare sulla carta il suo dolore di persona non desiderata. Secondo questa leggenda, essa si sarebbe suicidata per amore di un giovane, Faone, che non la ricambiava (vedi G. Leopardi, Ultimo canto di Saffo). In realtà, Saffo morì serenamente in età molto avanzata.

Ebraismo e cristianesimo

Al contrario di ciò che comunemente si pensa, nella Bibbia gli accenni all’omosessualità sono piuttosto rari, anche se, quando avviene, il giudizio è negativo, soprattutto perché la si legava ai culti pagani e alla sacra prostituzione maschile e femminile, abituali nel Vicino Oriente antico. Le parole più dure sono giunte da san Paolo, che vedeva in questi atti il frutto di una società schiavista.
Peraltro Gesù non vi fece mai cenno, ed è lecito pensare che la sua predicazione di accoglienza verso tutti, unita al rispetto dimostrato dal Signore per l’istituzione familiare, non escludesse queste persone dal suo messaggio di salvezza.

La sodomia

L’episodio biblico a cui si fa risalire la condanna dell’omosessualità si trova in Genesi 19, 23-24, che narra la distruzione di Sodoma.
I Sodomiti, però, hanno ben poche somiglianze con gli omosessuali odierni. Si tratta, innanzi tutto, di un popolo crudele e violento, che rifiuta l’ospitalità a due stranieri cercando addirittura di abusarne sessualmente, e viene perciò punito da Dio con una pioggia di fuoco.
Le regole dell’ospitalità avevano un grandissimo valore nell’antico Oriente. Un racconto simile si trova nel libro dei Giudici (19, 25-28) [dove la vittima è, in questo caso, una donna]. [In seguito] la Tradizione ha pensato invece che il racconto volesse colpire soprattutto l’omosessualità” (Ravasi), o meglio, i comportamenti omosessuali. Pertanto, fino alla soglia dell’età contemporanea si indicarono con “sodomiti” tutti coloro che si abbandonavano a tali pratiche.
Abbiamo insistito sul termine “comportamenti”, “atti” e “pratiche” perché fino a un tempo nemmeno molto lontano non si pensava si trattasse di una condizione dell’individuo, ma di una scelta deliberata e consapevole di persone altrimenti eterosessuali, che abbandonavano la “retta via” per vizio o corruzione intellettuale.
Ai tempi di Dante certi costumi erano una moda talmente diffusa presso gli uomini di cultura, che in Germania l’appellativo “fiorentino” era diventato sinonimo di “sodomita”. Questo era anche il caso di Brunetto Latini nella Commedia dantesca.

Dante e i “sodomiti”

Una riprova di tale convinzione sta nel fatto che l’Alighieri pone i sodomiti “pentiti” tra i lussuriosi (Purg. XXVI, 31-39 e 76-80, dove il poeta mostra di conoscere bene le abitudini di Cesare, che pure situa nel Limbo).
Forse, è proprio perché Dante collega questo “peccato” a un traviamento intellettuale che, nel suo viaggio oltremondano, non incontra donne “omosessuali”. Per Dante il peccato del vecchio maestro, pur avendo attinenza con la sfera sessuale, è di violenza perché considerato attentatore della vita e della sua conservazione. E nemmeno la cultura è servita a Brunetto, perché quest’ultimo non ha saputo mettere in pratica le conoscenze, pur valide, di cui disponeva.



L’attualità

Col tempo, grazie soprattutto ai progressi nel campo psicologico e psicoanalitico, cominciò a prendere corpo la teoria secondo cui l’omosessualità non era un semplice comportamento o un’abitudine di pochi “privilegiati”, come si era anticamente creduto, ma una condizione dell’individuo, profondamente acquisita quando non addirittura innata.
Ciò nonostante, a causa delle sue origini sconosciute e degli oggettivi aspetti problematici che presenta (soprattutto l’impossibilità di procreare e la mancanza di una totale complementarietà con l’altro sesso), nonché per il semplice fatto di essere condizione minoritaria, essa ha sempre suscitato reazioni passionali e contrastanti.
I più duri nel reprimere gli omosessuali furono (e sono) i regimi dittatoriali e maschilisti. La Germania nazista ha mandato a morire nei campi di sterminio migliaia di gay. Lo stesso è avvenuto nella Russia sovietica e a Cuba.
Anche nei paesi islamici, fino ai giorni nostri, gli omosessuali sono uccisi o imprigionati. E fino al 1997, in Romania, si poteva esser denunciati e incarcerati anche per comportamenti omosessuali privati.

Nel 1973, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), individuando diverse forme di omosessualità, eliminò definitivamente la definizione di omosessualità come malattia, deviazione o disturbo psico-sessuale. Oggi il Parlamento europeo (ma non l’Italia) ha emanato norme che puniscono la discriminazione, fisica o verbale, verso gli omosessuali.

Per la sua visione antropologica la Chiesa cattolica continua a considerare l’omosessualità un problema. La posizione ufficiale distingue la condizione omosessuale, ritenuta incolpevole, dagli atti, sempre errati.
Si caldeggia tuttavia un’amicizia sincera nei confronti degli omosessuali e li si esorta a condurre una vita casta anche se, di fatto, non si manifesta loro una grande solidarietà. Altre confessioni cristiane (protestanti, anglicani) mostrano invece rispetto e sollecitudine per gli omosessuali. Esistono poi organizzazioni che, in vari modi, aiutano gli omosessuali e i loro genitori e/o amici (anche quelli che vogliono continuare un percorso di fede).
Taluni (p. es. lo scrittore cattolico Testori, 1923-1993) trovano proprio nella loro condizione un mezzo per avvicinarsi a Dio.

La maggior parte delle persone omosessuali conduce un’esistenza normale, è capace di sincera amicizia, affetto e altruismo, sia verso le persone del proprio sesso, sia per quelle di sesso opposto, manifesta una gioia di vivere uguale alla maggioranza della popolazione. In qualche caso, e per mille ragioni, si sposano e hanno figli.
Se sono credenti, l’omosessualità di per sé non intacca questo sentimento né impedisce una vita retta e santa.
Tuttavia l’atteggiamento comune verso di loro resta di disprezzo, disgusto e anche di aperta condanna. Non sono pochi quelli che pensano che rispettarli significhi per forza approvare tutte le loro azioni e/o richieste. Ciò causa in molti interessati angoscia, dolore, senso d’isolamento che possono procurare, da un lato, una profonda depressione, dall’altro, per reazione, aggressività, rabbia (p. es. le manifestazioni dell’orgoglio gay).

Le parole della scrittrice inglese Radclyffe Hall (1880 – 1943) denunciano l’intolleranza dei “normali” per una minoranza “perseguitata”:

…fuori di qui, ci sono persone che dormono il sonno dei cosiddetti giusti e retti. Svegliandosi, si metteranno a perseguitare coloro che, per un peccato di cui non hanno alcuna colpa personale, sono stati isolati dal giorno della loro nascita, privati di ogni comprensione, di ogni considerazione” .

Testimonianze

Spesso si viene additati come persone non degne di stare a questo mondo. Si pensa, e molti ne sono convinti, che l’omosessualità sia una malattia, a volte anche contagiosa. Quindi meglio stare alla larga da certi individui.
Io ricordo che sin da bambino ero attratto più dai miei compagni di classe che dalle femminucce. Alle medie le cose peggiorarono. In quel periodo (parlo di circa venticinque anni fa) ero molto effeminato e quindi venivo completamente emarginato dai miei compagni maschi. L’insulto più comune era “buco” (modo di dire diffuso in Toscana, molto offensivo). Ogni volta che tentavo di avvicinarmi a un compagno per qualsiasi cosa questi scappava urlando “vai via buco”.
Quando c’era da studiare a casa di qualcuno, o si organizzavano feste, io non ero mai invitato. Intorno ai sedici anni mi vergognavo di avere queste tendenze e cercavo in ogni modo di reprimerle. Ebbi anche una relazione con una ragazza, ma finì male. Poi partii per la “naia” , e lì, strano ma vero, trovai rispetto, pur se in segreto.
Oggi vedo che la situazione è un po’ migliorata per noi, ma non di molto e non sempre. Io non pretendo che tutti mi approvino né voglio che tutti diventino come me, ma nemmeno accetto di essere additato come un pericolo pubblico, perché non lo sono.
Aiutiamo i ragazzi a comprendere chi è diverso, che non siamo matti o pervertiti. Che non ci avviciniamo al compagno di classe solo perché è carino e c’interessa, ma perché è simpatico e intelligente e l’amicizia è un valore davvero importante.

Daniele (42 anni, impiegato)

  

Credo che alla base di tutto debba esserci un buon insegnamento, che parta dalla famiglia, da una madre e da un padre. Si può essere gay o lesbiche in modo felice e dignitoso. Io mi sento felice.
Un bambino può crescere altrettanto bene quando ha l'amore che lo circonda e quando riceve una solida educazione e dei principi morali, di cui farà tesoro per tutta la vita, e questo lo aiuterà a saper scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Tutto sta agli adulti, soprattutto agli eterosessuali, educare i propri figli al rispetto delle diversità, ma purtroppo esiste ancora il razzismo, la rovina dell'umanità. Esistono migliaia di modi per manifestare la propria oblatività  (pensiamo a tanti artisti, a chi fa volontariato…), e del resto nessun tipo di esperienza umana è un assoluto.
Tutti, omosessuali ed eterosessuali, dovremmo metterci in ascolto dei nostri limiti (nel caso degli omosex, la mancanza di figli) senza per questo sentirci “mutilati” di qualcosa, ma tutti quanti in cammino, ognuno con le proprie bellezze e le proprie imperfezioni.
Qui potrei fare anche un discorso sulla religione: sono cattolica praticante. Ma l'amore non ha faccia, non ha sesso e questo è ciò di cui sono convinta.

Laura (23  anni, studentessa)




Sono un giovane prete che crede ancora nel Bene, nel futuro, nei cieli puliti e nella terra. E sono omosessuale. Non l'ho chiesto e non l'ho voluto. Non ho operato scelte, ma accettazione. Quando avevo 16 anni ho sentito chiara la voce di Dio che mi chiamava a essere uno dei suoi apostoli. E ho avuto paura di non poter rispondere con il mio sì. Le mie preferenze non mi hanno impedito di vivere la chiamata secondo il volere della Chiesa. Solo quando chiudo la porta della mia stanza il mio cuore si apre, non alla speranza di chissà quale incontro, ma ai progetti di vita che la mia sensibilità mi fa sognare. E così ho cominciato a collaborare col SerT [SERvizio Tossicodipendenze delle Asl], dove decine di giovani cercano risposte alla loro esistenza negata attraverso la droga e la morte.
E ho cominciato a lavorare in un Istituto in cui vivono 7 adolescenti difficili abbandonate quasi completamente dai loro genitori. E così questo prete con sensibilità femminile realizza la sua paternità con chi padre non avrà forse mai”.

Diego (32 anni, sacerdote)


Ho capito di essere lesbica nelle scuole medie e mi sono subito resa conto che era meglio se tenevo questo segreto per me. Ho taciuto tutto ai miei genitori e ai miei fratelli. Quando ho sentito per la prima volta la parola “lesbica” pensavo fosse un’offesa come “stronza”, poi mi hanno spiegato che le lesbiche erano degli esseri sessualmente anormali, pervertiti e frustrati. Quando sono andata al liceo mi sentivo a disagio con gli altri, sentivo di non far parte del gruppo. Non volevo rischiare, così mi sono sempre nascosta con tutti.
Era abbastanza facile perché non ero coerente col classico stereotipo della lesbica: ero aggraziata, avevo i capelli lunghi e mi piacevano tutte quelle cose che generalmente piacciono ad una ragazza di diciassette anni tranne che ogni tanto prendevo delle “sbandate” per le mie compagne di banco. A
un certo punto ho smesso di studiare, avevo perso tutto l’entusiasmo e mi accontentavo di voti appena sufficienti. Fortunatamente avevo un’insegnante di latino che adoravo e che ci ha portato in gita. Lei e suo marito erano persone molto gentili.
Durante la gita lei mi ha chiesto il motivo del mio cambiamento nei voti a scuola. Sentivo di potermi fidare di lei. Lei mi ha parlato di suo fratello: che era gay, che adesso frequenta l’Università ma che aveva passato dei brutti momenti durante il liceo.
Abbiamo discusso a lungo e lei mi ha spiegato che da quando suo fratello le aveva detto che era gay si erano uniti molto di più. Da allora, la mia insegnante mi ha aiutato anche quando mi sono rivelata in famiglia.
Mi ha restituito la voglia di studiare e di andare a scuola. Adesso frequento l’Università e le sarò sempre grata: penso che mi abbia veramente salvato la vita.

Ermanna (20 anni, studentessa)



Accettare e amare sé stessi è il punto fermo dell’amore per noi e per altre persone.
Io sono un uomo tranquillo, consapevole della propria sessualità anche se scoperta molto tardi (a trent’anni), e dopo essere stato con una ragazza sei anni.
Ma sono sicuro che ogni persona ha i suoi tempi, l’importante è fare chiarezza e dare un nome, anche se fa male, alle proprie inclinazioni. Per non parlare della mia educazione religiosa, che per un po’ mi ha fatto sentire “un figlio diverso di Dio”.
Ora, però, è una cosa superata. Ho incontrato sacerdoti meravigliosi e mi rendo conto che la Chiesa ha il dovere di dire certe cose, ma se usasse minor durezza tante inutili sofferenze sarebbero evitate.
Per quanto mi riguarda, credo che la paternità sarà la cosa che più mi mancherà nella vita. Ho una sorella più grande di me, una ragazza molto bella, che mi ha regalato due bei nipotini di otto e due anni.
Io stravedo per loro ma, per quanto possa volergli bene, non sono figli miei. E più vado avanti e più mi mancano… ma forse non riuscirò mai a capire quello che prova una donna che ha a che fare con la maternità, sentire un bambino dentro di sé è una cosa incredibilmente bella che rende la donna un “essere superiore”, perché porta in sé la vita. Ad ogni modo bisogna affrontare tutto, anche se porta dolore ed inquietudine.
L’essenziale è non dare mai nulla per scontato, e cercare di scoprire in ogni mattina qualcosa di meraviglioso.

Giuliano (39 anni, disegnatore di moda)




Invito alla comprensione

-    La televisione e i giornali ci forniscono un’immagine degli omosessuali che non sempre corrisponde alla realtà: fa’ un raffronto con quello che hai letto o con eventuali esperienze personali (pensa anche  quante volte, a scuola, si viene additati come gay/lesbiche semplicemente perché si dimostra amicizia o simpatia nei confronti di queste persone).
-    Molti artisti famosi hanno parlato, nelle loro opere, di omosessualità o sono essi stessi tali, più o meno dichiarati. Ne ricordi qualcuno/a?Le loro composizioni (libri, film, canzoni, dipinti ecc.) trasmettono emozioni in cui tutti ci possiamo riconoscere oppure no?


Per saperne di più

D. Vaccarello, L’amore secondo noi, Mondadori (storie vere di giovani gay e lesbiche e dei loro genitori ed educatori. Utile per tutta la famiglia)

G. Bassani, Gli occhiali d’oro, Garzanti, reperibile in biblioteca (romanzo breve dell’autore de Il giardino dei Finzi-Contini, ambientato ai tempi del nazifascismo. Il narratore, un ragazzo ebreo, ricorda la vicenda vissuta della propria emarginazione “razziale” unita a quella del suo medico, respinto perché omosessuale. Molto coinvolgente e di facile lettura).

________________

1 Uno dei più celebri fu quello tra l’imperatore romano Adriano e il suo schiavo Antinoo (I sec. d. C.); ad esso si ispirò Marguerite Yourcenar, anch’essa omosessuale, per il suo capolavoro Memorie di Adriano (1948).


* Si ringrazia l’autrice per averne autorizzata la pubblicazione.



Giovedì, 27 dicembre 2007