Notiziario - Approfondimenti
Un’ANP unitaria, con Hamas

a cura di Massimiliano Caruso

Se la conferenza di Annapolis doveva essere “a favore” del processo di pace, in realtà essa ha misurato il proprio successo nella sua capacità di essere “contro” – contro l’Iran, contro Hezbollah, contro la Siria e contro Hamas. E’ certamente un metodo di valutazione apparentemente semplice e convincente. Maggiore è il numero dei leader arabi alla cena di gala della conferenza, più grande è la vittoria delle forze “contro”: l’Iran è ora più isolato, Hamas è stato spinto in un angolo, e Hezbollah è rimasto solo. Questo è un modo di valutare la conferenza, ma si rivelerà privo di significato quando sarà il momento di pagare i debiti di Annapolis.
Prendiamo ad esempio la questione dell’isolamento di Hamas. Questo capitolo dovrebbe interessare Israele in modo particolare, perché Hamas è la chiave per valutare la capacità del presidente dell’ANP Mahmoud Abbas di dimostrarsi un partner credibile nel processo di pace. Secondo il cosiddetto “Bush test”, che richiede la “distruzione delle infrastrutture del terrore”, non c’è nessuna zona grigia: Hamas deve essere smantellato. Non solo Abbas deve disarmare l’esercito di Hamas, schiacciare le cellule che lanciano i razzi Qassam, e mettere in prigione i ricercati. Egli deve anche smantellare la struttura organizzativa di Hamas, le sue infrastrutture civili, le scuole e gli ospedali. Egli verrà giudicato da questi passi , che Israele richiederà come prova iniziale di applicazione della Road Map.
Ma qual è il nostro punto di vista rispetto a tutte quelle persone che appoggiano Hamas, non perché sono più religiose, ma perché il movimento era stato percepito un anno fa come una degna alternativa alla corruzione dell’OLP? Ancora oggi, malgrado il declino della popolarità di Hamas, soprattutto dopo la sua presa del potere a Gaza e dopo le battaglie di strada contro i normali cittadini, questo movimento è considerato come qualcosa di più di una semplice organizzazione del terrore. E’ visto come un movimento politico che non riconosce Israele e che rifiuta di negoziare con esso – principi che hanno molti sostenitori all’interno del popolo palestinese.
Perciò, la sopravvivenza di Abbas come “partner” (assumendo che Olmert dimostri di essere un partner israeliano) non sarà connessa al raggiungimento di una formula appropriata per il problema dei profughi, o ad una definizione accettabile dei confini di Gerusalemme Est, e neanche ad un accordo sulle falde acquifere. Essa dipenderà invece dalla capacità dei palestinesi di fare ordine in casa propria. Abbas parla di 6.000 Km quadrati, o giù di lì, che egli cerca di ottenere da Israele, mentre Gaza, una parte inseparabile del futuro stato palestinese, è attualmente governata da un governo rivale – di fatto un governo nemico.
Intraprendere una guerra vera contro Hamas assomiglierebbe ad un tentativo libanese di intraprendere una guerra contro Hezbollah. Sarebbe, in altre parole, impossibile senza distruggere completamente la società palestinese. Sarebbe una guerra civile che spaccherebbe in due quartieri e famiglie. L’altra alternativa è quella di ritornare al dialogo interpalestinese ed a quell’insieme di intese fissate nel cosiddetto “documento dei prigionieri” palestinesi, che avevano infine portato alla costituzione di un governo di unità nazionale, il quale fu a sua volta boicottato da Israele e dalla maggior parte del mondo.
E’ vero, anche se questo percorso dovesse avere successo, non permetterebbe di giungere ad un accordo di pace immediato. Finché Hamas non riconosce Israele e rifiuta i negoziati, la sua partecipazione ad un governo di unità nazionale non cambierà la sua politica. Al massimo, questo permetterà ad Abbas di continuare a condurre i negoziati con Israele in qualità di presidente dell’OLP, senza che ciò obblighi Hamas a riconoscerne i risultati. Di fatto, si creerebbe una situazione identica a quella esistente prima e durante Annapolis: negoziati con Israele che non vincolano l’intero popolo palestinese.
Ma una differenza significativa ci sarebbe. L’Autorità Palestinese manterrebbe un unico esercito ed un unico sistema di diritto in un territorio unificato, e rappresenterebbe l’intero popolo palestinese. Sarebbe più difficile condurre negoziati con un’ANP di questo genere, ed ancora più difficile raggiungere un accordo con essa in uno o in cinque anni. Ma sarebbe almeno possibile mettersi d’accordo sulla gestione della vita quotidiana in una maniera ragionevole. E questo sarebbe un risultato non da poco – non solo per i palestinesi, ma soprattutto per eventuali accordi futuri. Senza un’intesa di questo genere, sarà forse possibile firmare documenti solenni, che però resteranno soltanto documenti.


http://www.haaretz.com/hasen/spages/930033.html

Venerdì, 07 dicembre 2007