Notiziario - Approfondimenti
La guerra silenziosa di Israele

a cura di Massimiliano Caruso

Mentre Ehud Olmert e Mahmoud Abbas si destreggiavano nel fare accordi ad Annapolis, diversi ministeri e servizi di sicurezza del governo israeliano stavano dispiegando le loro comuni risorse in una imponente operazione destinata al deserto del Negev, nel sud di Israele. Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla Cisgiordania e su Gaza, Israele si trova nel mezzo di una campagna volta a completare il trasferimento forzato di arabi palestinesi che sono anche cittadini israeliani.

I beduini del luogo sono l’obiettivo, e le loro terre sono reclamate dallo stato al fine di portare a termine l’implementazione di un progetto pilota per il Negev. Il progetto relega i beduini in alcune enclave-ghetto, mentre assegna ampie fasce di territorio allo sviluppo suburbano ebraico ed alle comunità agricole. Il Negev è l’ultima frontiera all’interno di Israele, l’ultima distesa di terra ampiamente sottosviluppata all’interno dello stato. Israele ha virtualmente completato lo smembramento delle terre palestinesi nel centro e nel nord del paese, ed ora sta completando la “redenzione ebraica” del deserto meridionale.

Queste terre beduine sono ardentemente desiderate dal Jewish National Fund (JNF), il quale ha reso pubblici i piani per il trasferimento di un gran numero di ebrei nel Negev. Per fare posto alle nuove comunità del JNF, i villaggi “non riconosciuti” di A-Tir, Um al-Hiran, e Twail Abu Jarwal furono distrutti nel 2007 con operazioni in stile militare che coinvolsero un gran numero di forze di polizia e di soldati, trasferendo forzatamente centinaia di famiglie. Il ministero dell’interno ha anche inviato irroratori aviotrasportati per avvelenare i campi dei beduini con diserbanti ad ampio spettro. La temuta “Green Patrol”, una unità paramilitare del ministero dell’agricoltura, dirige queste operazioni.

Ci sono più di 150.000 beduini nel deserto del Negev, con consolidati diritti territoriali che risalgono all’era ottomana. Tuttavia, subito dopo la fondazione dello stato nel 1948, il governo cominciò a confiscare la terra trasferendo i beduini in aree sempre più ridotte, e destinando le risorse dello stato allo sviluppo di insediamenti agricoli e di nuove città per soli ebrei. Sebbene ai beduini venne infine concessa la cittadinanza israeliana, essi rimasero soggetti all’autorità militare fino al 1966.

Il prezzo da pagare potrebbe essere alto

Attraverso la legislazione e diversi meccanismi legali, lo stato ha decretato che i beduini sono occupanti abusivi sulla loro stessa terra, e così i tribunali appoggiano la demolizione delle loro case e l’espulsione degli abitanti. Il JNF, attraverso il suo progetto “Blueprint Negev”, intende creare 25 nuove città nel Negev nell’arco dei prossimi anni, attirando 250.000 nuovi residenti ebrei nella regione, secondo quanto afferma il suo sito web. Il JNF sta anche piantando foreste sulle terre beduine, come la “Ambassador Forest” sulle terre della tribù Elokbi, a nord di Be’er Sheva. Misure di questo genere non verrebbero mai prese contro cittadini ebrei di Israele, che hanno il diritto di vivere praticamente ovunque nel paese in maniera sufficientemente confortevole, mentre i beduini sono relegati in un miserevole avanzo della loro passata eredità. Questo razzismo istituzionale è supportato da donazioni (deducibili dalle tasse) provenienti dagli Stati Uniti.

I beduini hanno una lunga ed orgogliosa tradizione come popolo. Durante i primi decenni di vita dello stato, essi fecero atto di obbedienza ad Israele, ed inviarono i loro figli nell’esercito, attendendosi il rispetto che meritavano. Non ne ricevettero alcuno. Invece, lo stato ha proseguito la sua missione di servire esclusivamente gli interessi dei cittadini ebrei, e come risultato solo pochi beduini servono nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF) al giorno d’oggi. Il prezzo da pagare potrebbe essere alto. I leader beduini hanno ammonito che la collera che ribolle sotto la superficie potrebbe esplodere, ed Israele potrebbe trovarsi di fronte ad una rivolta beduina, un’Intifada all’interno dello stato. Forse è tempo che lo stato di Israele diventi una democrazia a beneficio di tutti i suoi cittadini, prima che sia troppo tardi.

http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3490720,00.html



Venerdì, 18 gennaio 2008