Notiziario - Approfondimenti
Sguazzando nei petrodollari

a cura di Massimiliano Caruso

Il romanziere italiano Alberto Moravia una volta espresse la sua apprensione per l’improvvisa ondata di ricchezza che si
stava verificando in Italia negli anni ’80, dopo anni di depressione economica. “Per spendere denaro, devi avere una
cultura”, commentò in un’intervista a ‘Newsweek’, aggiungendo: “E per fare denaro devi essere competente”. Le sue parole
sembrano adattarsi perfettamente alla nuova ondata di ricchezza petrolifera dei paesi del Golfo Persico, ed al modo in cui
questi soldi vengono spesi, soprattutto adesso che il prezzo del barile ha superato la soglia senza precedenti dei 90
dollari.
Per diverse ragioni geostrategiche e di sicurezza potrebbe essere comprensibile per i paesi del Golfo (Arabia Saudita,
Qatar, Oman, Kuwait, Bahrein, ed Emirati Arabi Uniti) tendere una mano agli Stati Uniti in modo da mitigare l’impatto della
sua attuale recessione, sborsando miliardi di dollari per acquistare nuove armi. Spendere circa 50 miliardi di dollari per
l’acquisto di armamenti, creando così migliaia di posti di lavoro nell’industria militare americana nei prossimi anni, è un
gesto da buon samaritano nei confronti di un amico speciale. Certamente, ciò compenserà parzialmente il budget di 190
miliardi di dollari in stanziamenti per la difesa che l’amministrazione Bush sta richiedendo al Congresso per aiutare le
forze USA ad uccidere più iracheni e più afghani.
Gli atti di carità, in ogni caso, dovrebbero avere inizio a casa propria. Sarebbe un gesto egualmente caritatevole per
l’Arabia Saudita – ad esempio – cercare di ristrutturare il proprio mercato del lavoro in modo da assorbire gli stimati
74.000 disoccupati sauditi, circa il 12% della forza lavoro totale. Più del 60% della popolazione dell’Arabia Saudita, pari
a circa 24 milioni di persone, ha un’età inferiore ai 25 anni – la prima età per l’istruzione e per l’impiego nel mondo del
lavoro. Gli studi internazionali indicano che la crescita della popolazione nel Regno Saudita supera di molto l’espansione
della ricchezza petrolifera pro capite. E’ questa la ragione per cui il reddito pro capite in Arabia Saudita è solo il 43%
di quello del Qatar, e poco più di metà di quello degli Emirati Arabi Uniti. L’Arabia Saudita potrebbe investire 200
miliardi di dollari nel corso del prossimo decennio al fine di sviluppare nuovi centri urbani e nuove zone economiche, ma
il problema è troppo radicato nei paesi del Gulf Cooperaton Council (GCC) perchè ciò possa fare la differenza.
La crescita dei prezzi petroliferi e dei profitti derivanti dal gas naturale, che ha fatto guadagnare ai 6 paesi membri del
GCC una cifra stimata pari a 1.500 miliardi di dollari tra il 2002 ed il 2006, non ha creato i tanto sospirati posti di
lavoro per una giovane generazione istruita. Gli indicatori della crescita economica stanno scendendo verso una media del
7% - meno di quanto l’Egitto spera di fare nel 2007, senza voler parlare della Cina o dell’India. Le speculazioni del
mercato azionario stanno creando la falsa impressione di un’economia vibrante ed in espansione, ma ciò in cui essa si
traduce in realtà è l’accumulo di ricchezza personale per alcuni e la rovina finanziaria per altri. Se si eccettuano gli
espatriati occidentali, le opportunità di lavoro stanno diminuendo, invece di crescere. La disoccupazione, nel mezzo di una
simile era di ineguagliata ricchezza, è un fenomeno pericoloso che potrebbe condurre all’instabilità sociale nella regione.
L’impressionante skyline di Dubai non racconta tutta la verità. La maggior parte delle occasioni di impiego create nei
paesi del GCC negli ultimi 5 anni è costituita da posti di lavoro prodotti dal governo, che costano più di quanto
producono. Essi sono visti dai cittadini del GCC come un modo per concorrere alla coincidenza geologica che consolida la
ricchezza derivante dal petrolio. Ma non sembra che il boom continuerà per sempre, ed alcune stime prevedono che la
produzione petrolifera declinerà del 50% entro il 2030. E’ questa la ragione per cui parte degli inaspettati profitti
petroliferi è alla ricerca di nuovi mercati di investimento in Asia ed in Africa, in aggiunta ai 100 miliardi di dollari
che saranno investiti in infrastrutture locali nei prossimi anni.
Alcuni paesi del GCC, come gli Emirati Arabi Uniti, ora comprendono che la carità deve cominciare a casa propria. Gli
Emirati hanno deciso di acquistare un “pacchetto” del Louvre in concessione per una cifra di 1,3 miliardi di dollari,
inclusi 520 milioni di dollari per usare il nome e 747 milioni di dollari per prestiti di opere d’arte e per mostre
speciali per un periodo di 30 anni. Questa sarà solo una parte di una più ampia attrattiva turistica e culturale che dovrà
essere costruita a Saadiyat Island, di fronte ad Abu Dhabi, allo sconcertante costo di 27 miliardi di dollari.
L’indulgenza culturale degli Emirati sarebbe ancor più caritatevole se prendesse maggiormente in considerazione l’eredità
culturale araba ed il suo contributo – riconosciuto da seri studiosi e storici occidentali – al Rinascimento ed alla
civiltà occidentale. Le raccolte culturali degli Emirati tratte dal Louvre, dal centro Georges Pompidou, dal Musée Rodin, e
da Versailles porteranno agli arabi la cultura occidentale. Ma chi riporterà in vita gli storici tesori culturali e
scientifici della Bayt al-Hikma (la Casa della Saggezza) di al-Maamoun (califfo abbaside che regnò fra l’813 e l’833
(N.d.T.) ) e della grande biblioteca di Baghdad, a beneficio dei curiosi occidentali? Chi rivelerà il grande contributo che
la Bayt al-Hikma diede alla conoscenza occidentale, o il modo in cui Hunain Ibn Ishaq, un cristiano, supervisionò la
traduzione dal greco in arabo delle opere di Aristotele e di Platone, o come i 7 volumi dell’ “Anatomia” di Galeno e tutti
gli altri grandi lavori di filosofia, medicina, astronomia, e matematica raggiunsero l’Europa Occidentale in arabo
attraverso la Sicilia e l’Andalusia? Quale mostra presenterà l’invenzione araba dell’algebra, di per sé una parola araba, o
della trigonometria e dei logaritmi (una corruzione del nome di colui che li inventò, al-Khwarizmi) ? E che impatto
potrebbe avere questa conoscenza sull’europeo e sull’americano medio, i quali credono che l’Islam sia una religione di
crudeltà e terrorismo?
Gli egittologi ritengono che l’Egitto ospiti un terzo dell’eredità culturale mondiale, di cui la maggior parte è tuttora
sepolta o ammucchiata in depositi archeologici in attesa che vengano costruiti dei musei per ospitarli. Qualcuno di questi
tesori della civiltà umana non potrebbe forse trovare un posto nel previsto museo? Non andrebbe a onore sia del Louvre che
degli Emirati la costruzione di un museo della civiltà umana in tutte le sue forme e di tutte le epoche della storia? Il
Louvre di Abu Dhabi vorrà finanziare scavi archeologici nel resto del mondo arabo, in Egitto, Siria, Iraq, e Giordania?
Vorrà scavare a fondo nella tradizione culturale araba per portare alla luce straordinari contributi che sono stati
denigrati da decenni di dominazione coloniale, radicando un senso di scarsa autostima?
L’attuale boom del petrolio e del gas naturale, concentrato nella regione del Golfo Persico, è il secondo in 30 anni. La
prima fortuna petrolifera della metà degli anni ’70 rappresenta un’opportunità perduta che oggi è difficile spiegare.
All’epoca si diceva che il surplus arabo accumulato (allora stimato in 400 miliardi di dollari) avrebbe potuto acquistare
la metà delle azioni della borsa di New York. Ma ci furono anche delle storie folli a proposito degli stravaganti modi di
spendere di sceicchi ed emiri irresponsabili che dilapidarono intere fortune ai casinò, acquistarono castelli in Europa e
case signorili negli Stati Uniti, e sperperarono soldi in donne e cavalli purosangue. Fortune sbalorditive furono
accumulate da pochi fortunati grazie alle provvigioni sugli acquisti di armamenti, sui contratti con le compagnie
straniere, e sui progetti immobiliari. I doni offerti a leader stranieri per ottenere il loro appoggio politico andarono
ben al di là delle gemme che l’ultimo scià di Persia, Mohamed Reza Pahlavi, usava donare ai suoi ospiti.
Paesi come gli Emirati Arabi, il Qatar, il Bahrein, e l’Oman hanno raggiunto tardi l’indipendenza. Intorno alla metà degli
anni ’70 erano degli stati sovrani solo da pochi anni, con poca esperienza nella gestione del bilancio e poca competenza
nell’amministrare i loro fiumi di denaro.
Alcuni ambiziosi finanzieri di New York ed alcuni responsabili di istituzioni finanziarie internazionali fecero delle
brillanti carriere favorendo enormi prestiti, finanziati dai profitti petroliferi, a vantaggio di poveri paesi dell’Africa
e del Sud America che non avevano la più pallida idea di come utilizzarli per dei progetti di sviluppo […].
Il boom del petrolio e del gas non è sostenibile, neanche a medio termine. Il prezzo del barile supererà presto i 100
dollari, una cifra che i paesi in via di sviluppo non possono permettersi. La Cina ed il Giappone hanno una vorace brama di
idrocarburi, ed un’ulteriore salita dei prezzi dovuta alla crescente domanda potrebbe determinare un’inflazione globale
seguita da una pesante recessione. Inoltre, i paesi industrializzati stanno seriamente cercando delle alternative,come i
combustibili non fossili, almeno per ridurre la loro bolletta petrolifera. Ragione in più per pensare seriamente di
investire queste ricchezze in altri paesi del Medio Oriente arabo al fine di ottenere una prosperità araba reciprocamente
benefica, collettiva, e sostenibile.


http://weekly.ahram.org.eg/2007/869/op2.htm

Venerdì, 09 novembre 2007