Notiziario - Approfondimenti
I risultati della globalizzazione

a cura di Massimiliano Caruso

Sono trascorsi ormai svariati decenni dalla comparsa dei primi segnali di quel fenomeno che è stato battezzato “globalizzazione”. Sebbene sia difficile fissarne una data di nascita, possiamo dire che all’inizio degli anni ’80 si assistette alla prima ondata della globalizzazione, accompagnata dalla rivoluzione nel mondo delle telecomunicazioni che ne rappresenta una componente fondamentale. I vecchi modelli che regolavano le relazioni internazionali vennero meno con il crollo del sistema bipolare e l’affermazione dell’unipolarismo americano. I sociologi descrissero questo insieme di trasformazioni in termini del passaggio dal mondo moderno al mondo postmoderno. Sul piano delle relazioni internazionali si parlò della transizione da un sistema di relazioni bilaterali ad un sistema di relazioni multilaterali fra blocchi regionali comprendenti numerosi stati, sul modello dell’Unione Europea. Fin dagli anni ’80 si sviluppò il dibattito intorno alla globalizzazione, alla logica che la supportava, ed ai suoi aspetti positivi e negativi. Tuttavia, con il trascorrere dei decenni le manifestazioni pratiche di questo evento rivoluzionario sono divenute più importanti del dibattito teorico che si era sviluppato intorno ad esso. Eppure, un’analisi critica delle manifestazioni della globalizzazione a livello politico, economico e culturale è utile a svelarne i meccanismi, al fine di poter dare un giudizio sulle contrastanti valutazioni teoriche che di essa sono state fatte, e che spesso hanno dato luogo a generalizzazioni inappropriate, sia da parte dei sostenitori del neoliberismo che hanno visto nella globalizzazione la parola magica che avrebbe portato allo sviluppo sostenibile, sia da parte degli esponenti della sinistra che hanno visto in essa il culmine del capitalismo moderno, e l’inizio di un’era neocoloniale.
La globalizzazione attualmente necessita di una revisione e di una “rivisitazione”, sia dal punto di vista concettuale che da quello delle sue manifestazioni pratiche. Di questo fenomeno sono state date numerose interpretazioni, la maggior parte delle quali ha sottolineato il fatto che il mondo, grazie ad esso, sarebbe diventato più omogeneo, attraverso il commercio e l’esportazione di tecnologia e di cultura provenienti dall’Occidente. Secondo queste interpretazioni la globalizzazione si riassumerebbe di fatto in una forma di “occidentalizzazione”. Esistono, tuttavia, altri punti di vista secondo i quali essa si tradurrebbe in un’operazione di “ibridazione”, che dovrebbe portare alla comparsa di una miscela globale di valori e di stili di vita. Dare una definizione precisa della globalizzazione sembra essere un’impresa estremamente difficile, a causa delle molteplici manifestazioni a cui essa dà luogo a seconda dei contesti in cui agisce. La globalizzazione economica si traduce nella mondializzazione dei rapporti economici attraverso l’espansione dei mercati. Sul piano della politica e delle relazioni internazionali determina un’intensificazione ed uno sviluppo di tali relazioni, che porta alla comparsa delle cosiddette “politiche globali”. Sul piano sociale e culturale si parla di fenomeni analoghi. Dunque è necessario studiare la globalizzazione in base ad un approccio complessivo, che affronti questo fenomeno sia come “processo” che come “discorso”.
La globalizzazione politica sbandiera gli slogan della democrazia, del pluralismo, e del rispetto dei diritti dell’uomo. D’altra parte, questi slogan non possono che sollevare numerosi interrogativi, il più importante dei quali riguarda il modo di concepire la democrazia, ed il modo in cui i sostenitori della globalizzazione intendono applicarla ai paesi del Terzo Mondo. Sul piano dei diritti umani, perché si fa eccezione per Israele, che pratica il terrorismo di stato ai danni del popolo palestinese? Sul piano economico, è vero che la globalizzazione apre la strada allo sviluppo sostenibile per tutte le società, oppure essa favorisce i paesi progrediti ed industrializzati a spese dei paesi del Terzo Mondo? Sul piano culturale, siamo davvero di fronte alla comparsa di una cultura mondiale a cui tutte le culture danno il loro contributo, oppure ci troviamo di fronte all’affermazione di una cultura di tipo prettamente occidentale, incentrato sulla civiltà dell’Occidente? A più di 30 anni dall’inizio della globalizzazione, quali sono gli obiettivi ed i risultati che essa ha raggiunto?
Mentre si attribuisce all’epoca attuale il nome di “era della globalizzazione”, la maggior parte degli abitanti “globalizzati” della Terra è del tutto estranea alle linee guida che la governano, le quali vengono formulate essenzialmente dalle grandi potenze industrializzate. A questi abitanti si impedisce di prendere parte attiva alla determinazione del proprio destino. I movimenti che si oppongono alla globalizzazione esprimono diffidenza e paura, definendo menzogne le promesse dei paesi industrializzati. I paesi poveri soffrono di gravi problemi a causa delle brame di profitto delle multinazionali, che portano a questi paesi ulteriore povertà e dipendenza. Dal canto loro, coloro che si oppongono alla globalizzazione chiedono che non venga intaccato il diritto dei popoli ad amministrare i propri affari interni, e rivendicano un livello minimo di garanzie sociali, e la possibilità di modificare gli accordi sul commercio mondiale. La richiesta fondamentale dei movimenti “no global” consiste nel rafforzare la partecipazione popolare alle decisioni politiche. Ma si tratta di una richiesta irrealizzabile, fino a quando il monopolio di tali decisioni sarà nelle mani delle multinazionali che hanno licenza di calpestare la legalità. Sono due le vittime fondamentali di questo processo basato esclusivamente sulle regole del profitto: la democrazia e l’ambiente.
Ma le critiche alla globalizzazione non possono essere circoscritte soltanto all’Occidente. Infatti, i problemi del libero mercato e del capitalismo coinvolgono direttamente il mondo arabo, che soffre di numerosi problemi economici e sociali: in primo luogo l’aumento della disoccupazione, e l’assenza di integrazione economica. Molti esperti occidentali ammettono che esistono squilibri enormi fra i paesi del mondo. Mentre nei paesi in via di sviluppo migliaia di persone muoiono di fame, nel mondo ricco milioni di persone vivono nell’abbondanza e negli sprechi. Se da un lato la globalizzazione ha aiutato lo sviluppo economico di alcuni paesi, dall’altro ha contribuito all’aumento del tasso di disoccupazione sia nei paesi progrediti che in quelli in via di sviluppo.
Le grandi società multinazionali sostengono di condannare la violenza e di contribuire alla civilizzazione della società mondiale. Ma allora come commentare la lista nera delle grandi multinazionali che si sono rese complici di poteri politici locali dediti alla distruzione dei loro avversari e della stessa società civile, come accadde in Sudafrica prima della rivoluzione contro l’apartheid, e come accade ancora oggi attraverso la produzione e la vendita mondiale di armi? E come commentare i commerci mondiali come quello dei diamanti, che vengono effettuati attraverso reti criminali e milizie armate?
La vecchia era coloniale si è ormai conclusa, ma il pensiero coloniale non è ancora scomparso. Al contrario, esso si rinnova, e la globalizzazione non rappresenta altro che la sua perpetuazione sotto un altro nome. Le istituzioni politiche, finanziarie, e scientifiche che teorizzarono il vecchio colonialismo e condussero le sue guerre sono tuttora esistenti, e dominano la scena mondiale.
http://www.assafir.com/Article.aspx?EditionId=820&ChannelId=18446&ArticleId=2015&Author=%D8%B3%D9%85%D9%8A%D8%B1%20%D8%A7%D9%84%D8%AA%D9%86%D9%8A%D8%B1



Venerdì, 25 gennaio 2008