Notiziario - Approfondimenti
Pesanti alternative

di Yossi Alpher*

a cura di Massimiliano Caruso


Per settimane ho messo in guardia sul fatto che l’incontro di Annapolis era mal concepito in quanto è stato costruito sulle fondamenta di una debole leadership, sia a livello israeliano che palestinese ed americano, oltre che su una fragile infrastruttura istituzionale palestinese. Ora dobbiamo chiederci cosa dovrà accadere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane affinché gli americani, gli israeliani, ed i palestinesi traggano vantaggio da un inizio sensazionale ma essenzialmente privo di sostanza, in modo da tradurlo in un processo di pace effettivo.
La prima cosa che bisogna rilevare è che, per come sono costituiti attualmente, né il governo Olmert né il governo Abbas sono strutturati per portare avanti un efficace e prolungato processo di pace. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert non sarà in grado di negoziare molto a lungo con una coalizione che era stata messa insieme per conseguire l’obiettivo di una sopravvivenza politica piuttosto che per realizzare un processo di pace. Ad un certo punto nei prossimi mesi, se effettivamente i negoziati dovessero registrare dei progressi, egli dovrà separarsi dalla destra di Israel Beytenu e dello Shas. Tenendo conto di probabili defezioni anche all’interno della corrente più conservatrice del partito Kadima, Olmert avrà bisogno di un appoggio attivo da parte del partito Meretz-Yachad e di un supporto passivo proveniente da gran parte dei 10 membri della Knesset appartenenti ai partiti arabi, se vorrà sopravvivere politicamente. Dalle passate esperienze, sappiamo che ciò non sarà facile.
Un’alternativa potrebbe essere quella di nuove elezioni. Ma ciò ritarderebbe il processo di pace per mesi, portandoci alla fine della presidenza Bush (ed alla fine del mandato di Mahmoud Abbas in Palestina), e rinviando il coinvolgimento americano al mandato del successore di Bush, nel 2009. Un’altra alternativa, se si potesse contare sull’appoggio americano, sarebbe quella di concentrarsi sulla Siria. In questa direzione, Olmert sarebbe in grado di avere l’appoggio di una più ampia coalizione, che potrebbe includere anche il Likud.
Alla debolezza del governo Olmert corrisponde un’analoga debolezza sul fronte palestinese, dove il governo Fayyad non ha una base politica, e Abbas e Fayyad governano a mala pena sulla Cisgiordania mentre non hanno alcun potere a Gaza, dove invece regna Hamas. Al fine di poter negoziare in nome della maggior parte dei palestinesi e di poter tener fede alle responsabilità della prima fase della Road Map, Abbas potrebbe essere costretto a cercare una qualche forma di compromesso con Hamas che risulti accettabile per Israele e per gli Stati Uniti. L’apparente successo di Annapolis potrebbe aiutare, così come potrebbe aiutare l’avvio di negoziati israelo-siriani che indebolirebbero Hamas a livello della leadership residente a Damasco.
Ma un compromesso tra Abbas e Hamas potrebbe rivelarsi molto problematico poiché limiterebbe radicalmente la libertà di Abbas di negoziare sulle questioni fondamentali di una soluzione a due stati. Un’alternativa, che Israele ha rinviato al periodo successivo alla conclusione di Annapolis in considerazione della debole posizione di Abbas, è un’operazione militare israeliana a Gaza volta a ristabilire il controllo di Fatah sulla Striscia. Ma questa opzione avrebbe conseguenze problematiche per la legittimità di Abbas agli occhi dei palestinesi. Inoltre, il governo israeliano potrebbe difficilmente giustificare il fatto che venga versato il sangue dei soldati israeliani in un tentativo del genere.
Ipotizzando che dei negoziati produttivi abbiano inizio, passiamo ad esaminarne la sostanza. Israeliani e palestinesi sono giunti ad Annapolis senza quella sostanziosa dichiarazione congiunta che era stata inizialmente ipotizzata. Ciò riflette due fatti molto semplici. Il primo è che le due controparti si trovano oggi su posizioni molto più lontane rispetto alle posizioni da cui partirono a Camp David 7 anni fa. Il secondo è che i due governi sono troppo deboli per fare le concessioni necessarie per colmare questa distanza.
A questo proposito i paesi arabi moderati potrebbero essere d’aiuto: dopo aver dimostrato il loro appoggio ad Annapolis, essi devono essere coinvolti in un ruolo di assistenza al processo di pace. Ricompensando le parti in causa per le concessioni fatte, gli arabi possono offrire all’opinione pubblica israeliana ed a quella palestinese degli incentivi per giungere ad ulteriori compromessi. A questo riguardo, una delle dichiarazioni più significative emerse dal processo di Annapolis è stata l’affermazione del ministro degli esteri egiziano Ahmad Abul Gheit, rilasciata il 23 novembre al quotidiano Haaretz, secondo la quale gli arabi potrebbero compiere un passo in direzione della normalizzazione dei rapporti fra arabi ed Israele in risposta ad ogni concessione fatta da Israele. Se ciò dovesse accadere, sarebbe l’iniziativa di pace araba al suo livello migliore.
Non dimentichiamoci che l’obiettivo originario di Annapolis – in accordo con le parole di Bush del 16 luglio 2007 – era molto modesto: si trattava di “riesaminare i progressi compiuti finora nella costruzione delle istituzioni palestinesi”. Uno dei frutti meno attesi della dinamica che ne è seguita è stato quello di stimolare il processo israelo-siriano. Attualmente, fra tutte le contorte possibilità di trasformare Annapolis in un processo di pace fruttuoso, l’opzione siriana è la più promettente. Essa offre ad Israele ed ai vicini arabi il maggior dividendo di pace possibile (indebolire l’Iran ed i movimenti islamici militanti, e stabilizzare il Libano), ed un negoziato relativamente semplice con un partner in grado di impegnarsi e di tener fede agli impegni, e con una maggiore possibilità di sopravvivenza del governo israeliano durante il processo di pace. Se ciò accadrà, l’incontro di Annapolis sarà ricordato in maniera positiva, anche se per le ragioni “sbagliate”.


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*Yossi Alpher: è stato direttore del Jaffee Center for Strategic Studies presso l’Università di Tel Aviv, oltre che consigliere speciale dell’ex primo ministro israeliano Ehud Barak

Venerdì, 07 dicembre 2007