Notiziario - Approfondimenti
Uno stop definitivo, non solo una sospensione della costruzione di nuovi insediamenti

a cura di Massimiliano Caruso

Quando Ehud Olmert avverte che la comunità internazionale potrebbe imporre a Israele una “soluzione sudafricana” qualora non venissero creati due Stati, l’uno a fianco all’altro, sta ammettendo tacitamente che l’espansione degli insediamenti fa sì che Israele assomigli sempre di più a un regime di apartheid.
L’accordo a ritirarsi, o a fare “dolorose concessioni” – come viene ipocritamente detto – è quindi meno doloroso di qualsiasi altra alternativa. L’unico interrogativo è se si possa trovare un altro Yitzhak Rabin, capace di fermare veramente, e non solo di sospendere, la costruzione degli insediamenti, per lasciare ai palestinesi un territorio su cui fondare la Palestina.
Il Ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Aboul Gheit, ha dichiarato che gli Stati arabi reagiranno favorevolmente se Israele sospenderà la costruzione degli insediamenti. Ciò sta ad indicare fino a qual punto il protrarsi della costruzione di tali insediamenti danneggi i rapporti di Israele con i suoi vicini più o meno prossimi. Gli israeliani si sono abituati ad accettare menzogne sulla “crescita naturale” degli insediamenti. Non mettono mai in discussione la ragione per cui i coloni non possano erigere dei condomini, ma si debbano sparpagliare per tutto il territorio. E, naturalmente, i figli dei coloni non potrebbero mai andare a vivere a Netanya o Mitzpeh Ramon (città all’interno di Israele (N.d.T.) ), e così ad ogni aumento della popolazione hanno bisogno di accaparrarsi ulteriori territori.
Ciò fa ricordare la frase di Ariel Sharon rivolta a Bush durante il vertice del 2003 ad Aqaba: “Cosa si aspetta che faccia? Che chieda alle mogli dei coloni di abortire?”. Come se non esistessero delle opzioni abitative per quei bambini al di fuori della Cisgiordania.
Fintantoché i blocchi di insediamenti che Israele intende annettere non saranno ancorati ad un accordo, fintantoché il percorso del muro di separazione non sarà diventato una frontiera concordata, e fintantoché esiste la volontà di portare avanti negoziati autentici, in contrasto con il ritiro unilaterale, il governo di Ehud Olmert deve agire come il governo di Rabin all’epoca degli Accordi di Oslo.
Lo Stato deve risarcire i contraenti privati che hanno comprato terre per edificare nuovi quartieri, come fece nel 1992-1995, al fine di facilitare la revoca dei contratti persino con riferimento ai cantieri in costruzione. L’espressione “blocchi di insediamenti” è un’espressione vuota di senso finché la loro dimensione non viene determinata d’accordo con i palestinesi. Qualsiasi espansione, qualsiasi nuovo quartiere, qualsiasi avamposto rimasto in piedi genera ulteriori vie di accesso, ulteriori infrastrutture pubbliche, ulteriori giardini d’infanzia. Contribuisce a rubare sempre più terra da quel poco che è rimasto per costruire uno Stato palestinese. Sono gli insediamenti ad impedire ad Israele di definire una frontiera con i palestinesi, e questo è il nodo centrale dal quale Israele svicola deliberatamente. Lo stesso dicasi di Gerusalemme, poiché le costruzioni continuano ad espandersi verso est.
Circa 10.000 bambini nascono ogni anno negli insediamenti. Israele non ha alcun obbligo morale, o di altra natura, di garantire che essi dispongano di alloggi all’interno della Cisgiordania. Nell’aprile del 2004 il governo israeliano ha promesso agli americani che non si sarebbe più costruito “al di là della linea esterna” di ciascun insediamento. Quella linea esterna non è stata mai fissata. Annapolis non porterà Israele ad alcuna soluzione con i palestinesi, a meno che Israele decida di smettere di ingannare ed impari a contenere la propria espansione verso est.


http://www.haaretz.com/hasen/spages/929727.html


Venerdì, 07 dicembre 2007