Notiziario - Approfondimenti
Giustizia, non uguaglianza

a cura di Massimiliano Caruso

Ghazwa Farahat è un carismatico ingegnere di 30 anni. E’ membro della sezione sociale del municipio di al-Ghobeiry, nella zona meridionale di Beirut. Farahat fu eletta nelle liste di Hezbollah due anni fa. Fu la prima candidata donna che il movimento di resistenza islamica inserì nelle sue liste elettorali. In effetti, il partito dovette lottare duramente per convincere la famiglia di Farahat ad acconsentire alla sua candidatura. “La mia famiglia era divisa”, afferma Farahat nel suo ufficio ad al-Ghobeiry. “Hanno chiesto ai responsabili di Hezbollah per quale ragione volessero candidare una donna quando c’erano degli uomini nella famiglia”, ci ha spiegato.
Se non altro, la storia di Farahat riflette il fatto che il movimento islamico, nelle sue posizioni sul ruolo della donna nella società, si è spesso dimostrato più progressista rispetto alla stessa società al cui interno esso opera. Il fatto che Hezbollah abbia difeso la sua candidatura ed abbia avuto la meglio sulle pressioni sociali e culturali lascia pensare che il movimento stia prestando seria attenzione al ruolo che le donne possono giocare nell’espandere la sua base sociale e politica.
Il caso di Farahat ed altri casi analoghi fanno luce su una delle caratteristiche più stupefacenti delle politiche degli islamici di oggi. Farahat ed altre centinaia di attiviste donne rappresentano il cuore delle organizzazioni femminili di Hezbollah, chiamate “al-Hayat al-Nisaaya”, la struttura attraverso la quale le attiviste donne portano avanti la propria agenda politica e sociale all’interno del partito. A mano a mano che donne sempre più istruite sono entrate nei ranghi dei movimenti islamici negli ultimi due decenni, esse hanno trovato in questi movimenti uno spazio in cui poter esercitare pressioni per migliorare la condizione delle donne senza rischiare di essere stigmatizzate come agenti occidentali, o di essere emarginate socialmente.
Questa opportunità disorienta il punto di vista a lungo sostenuto secondo cui l’ascesa dei movimenti islamici in Medio Oriente sarebbe responsabile sia di un clima socialmente restrittivo per le donne, sia di un arretramento delle passate conquiste fatte dalle donne. L’impegno in servizi di carattere sociale, in particolare, ha posto le donne a contatto con le masse, permettendo loro di stabilire delle reti a livello locale. L’impressionante partecipazione delle sostenitrici di Hezbollah durante il sit-in dell’opposizione libanese nel centro di Beirut ha rappresentato un’ulteriore prova del fatto che le donne non sono state emarginate. “Al-Hayat al-Nisaaya” allestì un gazebo durante il sit-in, che presto divenne un punto di incontro per i giornalisti. Il sit-in ha anche rappresentato un terreno di incontro per i quadri femminili dei partiti laici libanesi alleati di Hezbollah.
In Egitto sta accadendo qualcosa di simile. Le donne stanno diventando sempre più visibili nelle diverse attività politiche della Fratellanza Musulmana, che ormai ha raggiunto i suoi 80 anni di vita. Nel 2000, il movimento inserì il suo primo candidato donna nelle proprie liste elettorali ad Alessandria. All’epoca delle elezioni parlamentari del 2005, le donne erano al centro della macchine elettorale del movimento, partecipando a tutte le fasi elettorali, dalle candidature all’organizzazione della campagna elettorale, allo spoglio ed al monitoraggio dei voti.
I commentatori occidentali hanno generalmente dato un punto di vista negativo del rapporto fra il movimento islamico inteso come ideologia politica, l’Islam come religione, e le donne. Sebbene alcuni scritti abbiano preso in considerazione le variazioni e le diverse sfumature esistenti fra i vari gruppi islamici, il punto di vista dominante e più influente tratta il movimento islamico e l’Islam come entità monolitiche. Esso ha dipinto le donne come languenti sotto società patriarcali oppressive, incatenate da una lunga lista di norme di condotta culturali e religiose che le opprimono.
In realtà la condizione delle donne all’interno dei movimenti islamici non è né uniforme né inalterata nel tempo. Ciò che emerge dalla conversazione con donne appartenenti ai movimenti islamici è spesso un miscuglio di discorsi moderni e pre-moderni. Da un lato, esse non sono insensibili al discorso dei diritti delle donne che permea il dibattito sulla condizione della donna nel mondo arabo di oggi. Tuttavia, molte di loro fanno le proprie scelte a proposito del modello di politica e di società che preferiscono in qualità di attiviste. Non percepiscono loro stesse come in ritardo rispetto alle donne occidentali, perché il metro con cui giudicano i propri progressi è differente.
“Non abbiamo l’eterno complesso di dover essere uguali agli uomini”, afferma Um Mahdi, che dirige la sezione femminile di “Hayeet Daam al-Muqawama”, il braccio finanziario di Hezbollah. “Cerchiamo giustizia, non uguaglianza”, aggiunge. Un punto di vista simile è frequentemente espresso dalle attiviste della Fratellanza Musulmana. L’enfasi viene posta sulla “complementarietà dei ruoli” fra i sessi. Ma esse sono anche consapevoli del fatto che la condizione delle donne varia all’interno dei movimenti islamici. La struttura sociale, politica, e culturale, è anch’essa un fattore importante nel definire tale condizione.
Le attiviste non fanno mistero delle pressioni che esse esercitano sulle leadership dei loro rispettivi movimenti al fine di espandere il proprio ruolo e la propria partecipazione. Jihan al-Halafawy, la prima candidata donna nelle liste elettorali dei Fratelli Musulmani nel 2000, ha rivelato di aver parlato in diverse occasioni con la Guida Suprema della Fratellanza Musulmana a proposito della necessità di avere delle donne all’interno della segreteria politica del movimento. Le attiviste dei movimenti islamici ritengono che difendere i diritti delle donne faccia parte della difesa dell’Islam dalla corruzione. Esse pensano che i precetti islamici non abbiano mai mirato a sottomettere le donne, ma che questi principi siano stati a volte distorti da norme sociali e culturali antecedenti all’Islam, che hanno resistito nonostante la diffusione di quest’ultimo. La lotta per i diritti delle donne è dunque anche una lotta per ristabilire l’Islam nella sua forma originaria.
Se le attiviste islamiche credono che l’Islam fornisca la base per il riconoscimento dei diritti delle donne, inserire le richieste femministe all’interno del più ampio contesto di una discussione religiosa ha un ulteriore vantaggio per loro: aiuta a contrastare le accuse secondo le quali esse stanno perseguendo una agenda femminista di vedute ristrette a danno della comunità. In effetti, l’importante ruolo che le donne giocano all’interno delle organizzazioni islamiche è ancora più comprensibile alla luce dell’attenzione che i movimenti islamici riservano alla costruzione di organizzazioni forti, radicate fra la popolazione, e che forniscano dei servizi. La struttura femminile gioca un ruolo importante nella presa che i movimenti islamici hanno sulla società.
Data la naturale base sociale che i movimenti islamici rivendicano, la sempre maggiore mobilitazione delle attiviste islamiche potrebbe preannunciare lo sviluppo di un paradigma islamico per affrontare le questioni delle donne e della rigenerazione sociale. Se un paradigma del genere dovesse diventare un paradigma largamente accettato, potrebbe avere un’enorme influenza nel mondo arabo-islamico, un’influenza in effetti molto maggiore di quella che possono avere gli sforzi di promuovere i diritti delle donne attraverso organizzazioni femministe occidentali o appoggiate dall’Occidente.
http://weekly.ahram.org.eg/2007/866/sc1.htm



Domenica, 25 novembre 2007