Notiziario - Approfondimenti
Il laicismo credente, un modo di gestire il rapporto fra religione e stato

a cura di Massimiliano Caruso

Il laicismo credente distingue fra la “religione” e i “dotti religiosi”. Questo è l’aspetto più importante che lo differenzia dalle altre due correnti di pensiero antagoniste. Infatti, la corrente laica (non credente) non fa distinzione fra la religione e gli “uomini di religione”, e chiede di allontanare entrambi dalla politica e dalla gestione dello stato, chiamando questa richiesta “separazione tra religione e stato”. Sul fronte opposto, la corrente della “Hakimiya” anch’essa evita di scindere la religione da coloro che pretendono di rappresentarla, chiedendo che lo stato e la politica si assoggettino ai “religiosi” (il termine “hakimiya” letteralmente vuol dire “sovranità”, con riferimento all’assoluta sovranità di Dio; in questa accezione, esso può essere fatto coincidere con la Legge Divina; questo termine, utilizzato fra gli altri da pensatori come Mawdudi e Sayyid Qutb, occupa una posizione molto controversa all’interno del pensiero islamico moderno; a seconda dell’interpretazione che se ne dà, esso può tradursi in uno strumento di emancipazione dell’umanità, che impedisce a coloro che gestiscono l’autorità di monopolizzare il potere e l’interpretazione della legge [essendo la legge divina attingibile soltanto attraverso uno sforzo di interpretazione (ijtihad), che come tale sarà sempre soggetto ad una evoluzione e ad un miglioramento, e che pertanto contiene in sé il concetto di tolleranza e di pluralismo], oppure nel suo esatto contrario, nel momento in cui una classe ristretta si erge a depositaria ed interprete esclusiva della legge divina; è a quest’ultima tendenza, diffusa in molte correnti fondamentaliste, che si riferisce l’autore dell’articolo (N.d.T.) ). Secondo tale corrente, è solo in questo modo che si può garantire che la legge islamica governi i diversi aspetti della vita, ovvero è solo così che si può ristabilire la vera religione. Ma questa è una concezione “sacerdotale” che contrasta con la filosofia dell’Islam, la quale vieta l’esistenza di un clero che pretenda di gestire un potere spirituale sulle persone, e che si erga a rappresentante esclusivo della religione e ad unica autorità che abbia il potere di interpretarla. L’Islam proibisce l’esistenza di un “clero” di questo genere, anche laddove i suoi rappresentati tentino di nascondersi dietro la definizione di “ulema” (gli “ulema”, o più correttamente ‘ulamā’, sono i dotti musulmani in scienze religiose, una definizione che può contenere numerose sfumature; la caratteristica fondamentale di queste figure religiose è però rappresentata dal fatto che essi non possono essere assimilati ad un corpo sacerdotale o ad un clero organizzato, essendo privi di qualsiasi investitura sacramentale (N.d.T.) ).
Il laicismo credente nasce dal cuore della cultura e della civiltà arabo-islamica. Questo è il motivo per cui esso distingue fra la religione e coloro che si ergono a suoi rappresentanti. Era naturale che il laicismo europeo portasse alla separazione della religione dallo stato, dalla politica, e dai vari aspetti della vita sociale, poiché in Europa la religione ed i religiosi sono obiettivamente una cosa sola. Il potere spirituale sacerdotale dei religiosi venne riconosciuto nel Medio Evo. Ma all’interno della nostra cultura arabo-islamica, e nell’ambito degli attuali bisogni della nostra civiltà, non è richiesto – e non è nel nostro interesse – allontanare l’Islam dalla nostra vita sociale e politica, visto che esso rappresenta una fonte di civiltà e di progresso valida in ogni tempo. Tuttavia, è nostro interesse ristabilire la vera filosofia progressista del messaggio dell’Islam, purificandolo dalle menzogne che gli sono state attribuite. Per questa ragione, il laicismo credente invita a promuovere l’Islam nella politica e nella società, escludendo però i religiosi dagli affari politici, ed impedendo che assumano un ruolo di controllo sulla vita quotidiana della gente. L’Islam reale, infatti, non ha un corpo sacerdotale.
Questa è una risposta ai bisogni della nostra civiltà. Quando infatti un leader politico proviene dalla classe di coloro che pretendono di esercitare un potere spirituale sulle persone, egli agisce di testa propria e non permette di essere contraddetto. Ciò sancisce la tirannia, che rappresenta oggi all’interno del mondo arabo una delle principali cause della nostra arretratezza. Separare i religiosi – e non la religione – dallo stato impedisce che esso si trasformi in uno stato totalitario che consacra un leader ed obbliga le persone a seguirne le opinioni ed i pensieri, in base alla pretesa secondo cui tali pensieri proverrebbero dalla religione. La salvaguardia della religione è invece una questione che non ha niente a che fare con la coercizione, e che dipende dalle scelte della gente. Se le persone scelgono un programma di ispirazione islamica per governare lo stato, la gestione del governo avverrà su basi di umanità, e secondo uno sforzo interpretativo (ijtihad) che non pretende di parlare a nome di Dio, che non proibisce il dissenso e l’opposizione, e che non aspira ad omologare le persone al proprio volere. Un programma politico di questo genere è anche in grado di lasciare spazio ad un programma differente qualora la maggioranza lo volesse.
Dunque, l’efficacia dell’Islam nello stato e nella società è basata sulla comprensione degli interessi delle persone e della nazione, e su un approccio analitico ed oggettivo alle diverse questioni, che sappia legare le cause agli effetti. Non è basato invece sull’inerzia fondata su concetti religiosi errati, sostenuti da coloro che pretendono di possedere un’autorità spirituale in quanto rappresentanti della religione di Dio.
La corrente della Hakimiya, che appoggia l’autorità dei religiosi, si prefigge di imporre la legge di Dio allo scopo di ottenerne i favori. L’efficacia di una simile strategia non fa, dunque, affidamento sul fattore umano e sul principio di causa-effetto, ma su eventi soprannaturali che dovrebbero condurci alla vittoria. Ciò significa che la rinascita scientifica e culturale non sono un obiettivo dal punto di vista di questa corrente, poiché possiamo vincere anche con tutta la nostra arretratezza, se riusciamo ad attirare su di noi l’appoggio di Dio! Naturalmente, questa idea errata è in contraddizione con la filosofia dell’Islam, così come l’idea che identifica la religione con i “dotti” religiosi.
Il laicismo credente, invece, punta a creare le condizioni oggettive necessarie alla rinascita, perseguendo due priorità: smascherare i concetti errati che dominano la realtà, e spingere le persone ad impegnarsi nel processo di sviluppo e di rinascita, dando ascolto alle loro scelte, e rispondendo in maniera oggettiva alle loro necessità ed ai loro bisogni.
Ovviamente, i “religiosi” considereranno questo approccio una deviazione dall’Islam – naturalmente secondo la comprensione che essi ne hanno. Ma si tratta di un comportamento ben strano, visto che essi, se da un lato impediscono alla gente di “discutere di religione” – arrogando questo diritto esclusivamente a se stessi, sulla base della loro supposta specializzazione in questo campo – dall’altro non esitano ad intervenire in tutte le questioni, compresa la politica, anche se essi non hanno alcuna specializzazione in questo campo.
Il laicismo credente vieta la politica ai “religiosi”, anch’esso sulla base di un principio di specializzazione. Non è infatti ammissibile riunire il potere politico ed il potere spirituale nelle mani delle stesse persone.
http://www.alghad.jo/?news=223221


Venerdì, 25 gennaio 2008