Notiziario - Approfondimenti
Il prossimo presidente dell’America: Hillary o Obama?

a cura di Massimiliano Caruso

Chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti? Io credo che sarà Hillary Clinton o Barack Obama. Molti iraniani sono d’accordo con me, ritenendo che Hillary o Obama sono sicuramente preferibili agli altri candidati. Innanzitutto voglio chiarire le ragioni per cui ritengo che Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. In secondo luogo, se egli sarà il prossimo presidente, cosa accadrà nello storico confronto che vede contrapporsi gli Stati Uniti all’Iran?

Obama si concentra sul “cambiamento” della strategia dell’America, e lo pone come slogan al centro della sua campagna. Concordo sul fatto che tutti i candidati alla Casa Bianca, compresi i repubblicani, insistono sul cambiamento. Ed ognuno sostiene che il vero cambiamento potrà avvenire soltanto grazie alla sua vittoria. Ad esempio, Hillary Clinton utilizza un nuovo slogan che recita: “Pronta al cambiamento”.

Sono anche ben consapevole del fatto che nessuno di loro espone il vero significato del proprio punto di vista. Ad esempio, vogliono realmente cambiare la tradizionale politica degli Stati Uniti nei confronti di Israele, e porre fine al sostegno incondizionato a favore dello Stato ebraico?

Sembra che a volte non dedichiamo sufficiente attenzione alle radici profonde della strategia americana, e la giudichiamo soltanto dalle sue manifestazioni più esteriori. Quando Obama o gli altri candidati parlano del cambiamento, ciò, a mio modo di vedere, porta con sé un messaggio molto forte. Significa, infatti, che sono gli americani che si attendono il cambiamento. Il candidato ideale pesca i propri slogan dalla società, e non dai libri. Guarda agli occhi ed alla bocca della gente.

A questo punto si pongono due importanti interrogativi: perché gli americani si attendono il cambiamento, e perché vogliono cambiare?

Ritengo che il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà adottare una condotta più umana. In 8 anni, George Bush è riuscito a rafforzare tutto il fanatismo e tutti gli stereotipi negativi esistenti nel mondo nei confronti dell’America. Ha suscitato l’avversione del mondo più di qualsiasi altro presidente che lo aveva preceduto, danneggiando l’America attraverso l’uso eccessivo della forza.

Bush riteneva di potere risolvere con la forza tutti i problemi. Dopo la tragedia dell’11 settembre, aveva annunciato di volere bin Laden, vivo o morto. Dopo 7 anni, l’amministrazione Bush ha innalzato la taglia sulla testa di bin Laden da 20 a 50 milioni di dollari.

Ma la settimana scorsa, il presidente pakistano Pervez Musharraf ha dichiarato: “Noi non conosciamo il nascondiglio di bin Laden, ed egli non è il nostro obiettivo”.

Possiamo osservare chiaramente che le forze americane sono in difficoltà in Medio Oriente, in Asia Centrale, nel Caucaso, in Africa, ed altrove. Dunque, dov’è il successo americano?

Una volta si diceva che le testate nucleari dell’Unione Sovietica costituivano una minaccia per gli Stati Uniti. Ora, tre navi da guerra della marina militare americana sono giunte nelle acque internazionali dello Stretto di Hormuz, e quando alcuni motoscafi hanno compiuto delle manovre lanciando delle minacce all’indirizzo di queste navi, il portavoce del dipartimento della difesa americano ha dichiarato che gli iraniani si sono comportati in maniera pericolosa e sconsiderata.

E’ quantomeno evidente che gli Stati Uniti non sono più la superpotenza di 10 – e nemmeno di 5 – anni fa, e questo è un chiaro segnale che il suo “soft power” si sia deteriorato.

Chissà, forse si può parlare anche di un declino dell’impero americano?

Emmanuel Todd ha scritto un libro meritevole di grande attenzione, intitolato “After the Empire. Breakdown of the American Order”. In questo libro, Todd afferma che la situazione attuale degli Stati Uniti è simile a quella dell’Unione Sovietica poco prima del suo crollo, e che il mondo assisterà al declino dell’America, ovvero alla fine del sogno americano. Nell’introduzione del libro si legge: “Quanto a George Bush ed ai suoi collaboratori neocon, la storia li ricorderà come coloro che hanno scavato la fossa all’impero americano”.

Non è certo un giudizio ordinario, ma d’altra parte neanche Emmanuel Todd è un intellettuale ordinario. Nel 1975 egli pubblicò il suo famoso libro “The Final Fall”, nato da un articolo che riguardava il dissolvimento del blocco sovietico. Egli previde il crollo dell’Unione Sovietica sulla base di uno studio economico, antropologico, e culturale. Hillary Clinton e Barack Obama hanno intenzione di cambiare l’America?

Ha dichiarato Obama: “La speranza è il fondamento di questo paese, come anche la convinzione che nessuno scriverà per noi il nostro destino, ma saremo noi stessi a scriverlo”.

Ma a prescindere da ciò che verrà detto durante la campagna elettorale, sia da parte di Obama che da parte di Hillary Clinton, è naturale che i candidati utilizzino slogan differenti nel corso della competizione presidenziale. Tuttavia, Obama non cambierà la strategia dell’America, ed in particolare il suo approccio ad Israele ed al Medio Oriente. Ciò significa che la situazione di noi musulmani non muterà se Obama dovesse essere eletto presidente degli Stati Uniti, per la semplice ragione che egli non cambierà le politiche americane nella regione mediorientale.

Nel corso della sua visita in Israele nel gennaio del 2006, Obama dichiarò al quotidiano israeliano Haaretz che era rimasto profondamente colpito visitando un’abitazione di un villaggio israeliano che era stata centrata da un missile di Hezbollah. Egli disse anche: “Non dimenticate che il pericolo della violenza è un pericolo reale”. Ciò significa che ogni passo compiuto contro Israele è considerato violenza, mentre è permesso ad Israele fare qualsiasi cosa. Obama avrebbe potuto mettere a confronto la distruzione del Libano con la distruzione del villaggio israeliano appena ricordato. Ma la distruzione di un intero paese non sembra, invece, averlo colpito molto.

Per quanto riguarda il confronto decisivo fra gli Stati Uniti e l’Iran, Obama aveva dichiarato che l’uso della forza militare non può essere escluso dalle possibili opzioni nei confronti dell’Iran (dichiarazione del 3 marzo 2007). Obama confermò questa sua posizione nel corso della sua intervista al quotidiano Haaretz. Alcuni giornalisti iraniani provano delle simpatie per Obama perché il suo secondo nome è Hussein. Suo padre era musulmano, ed egli studiò in una scuola islamica a Jakarta.

Ma ciò fa parte delle manifestazioni più esteriori dell’America di cui parlavamo prima. Obama non cambierà le politiche degli Stati Uniti. Israele – che è soltanto un piccolo stato – è più importante di tutto il mondo islamico agli occhi dell’America.

Per questa ragione Bush ha iniziato la sua visita in Medio Oriente cominciando da Israele. In altre parole, Bush discuterà di alcune questioni con i leader arabi, tenendo a mente il bene di Israele.

Gli Stati Uniti hanno bisogno di un nemico per giustificare il loro ruolo e la loro presenza nella nostra regione, ed il nemico di questi giorni è l’Iran.

Vorrei però utilizzare a questo punto ciò che ha detto Obama, soltanto con un piccolo cambiamento: “La speranza è il fondamento dei nostri paesi, come anche la convinzione che non saranno gli americani a scrivere il nostro destino, ma saremo noi stessi a scriverlo”.

http://www.asharqalawsat.com/leader.asp?section=3&article=453717&issue=10637



Venerdì, 18 gennaio 2008