Notiziario - Approfondimenti
Guantanamo come simbolo

a cura di Massimiliano Caruso

L’11 gennaio ha segnato il 6° anniversario della creazione del campo di detenzione di Guantanamo. Soltanto pochi mesi dopo l’inizio dell’invasione statunitense dell’Afghanistan nel 2001, un grosso aereo cargo atterrò in una base militare americana nella Baia di Guantanamo a Cuba, sbarcando un gruppo di sospetti “terroristi” rattrappiti, bendati, e rivestiti di una tuta arancione, i quali apparentemente rappresentavano la feccia dell’umanità. Questo gruppo comprendeva bambini, anziani, operatori umanitari, giornalisti, e persone che erano state vendute all’esercito americano in cambio di una generosa ricompensa.
Fin da allora, il dibattito intorno a questa famigerata prigione è stato guastato da un facile “riduzionismo”. Il fatto è che Guantanamo non è né un campo autorizzato per la detenzione di “brutta gente” – come spiegò il sempre schietto presidente Bush – né una semplice macchia nell’altrimenti luminoso primato americano di rispetto dei diritti umani, del diritto di guerra e dei trattati internazionali. Semmai, Guantanamo è soltanto un’appendice di una lunga lista di violazioni non dichiarate praticate dall’amministrazione Bush, che fanno sì che questo campo possa essere considerato come il simbolo di una politica diffusa, basata su un noncurante sovvertimento della legalità internazionale.
La prigione è probabilmente una delle più gravi beffe ai danni della legalità internazionale, che tra l’altro fu in parte redatta da legali americani. Forse neanche le passate amministrazioni USA saranno state devote sostenitrici delle Convenzioni di Ginevra, tuttavia non hanno mai agito in spregio ai trattati internazionali in maniera così esplicita ed arrogante come l’attuale amministrazione. L’ex ministro della giustizia Alberto Gonzales, un amico personale del presidente Bush, era talmente abile da permettere ai suoi collaboratori di adornare le loro azioni gratuite di un’aura di legalità. Guantanamo fu il suo massimo capolavoro.
Centinaia di prigionieri di Guantanamo sono stati successivamente rilasciati, alcuni sono stati dati in custodia ai loro rispettivi governi. Circa 275 detenuti rimangono tuttora nel campo. Su un totale di circa 1.000 internati, solo 10 hanno un’accusa a loro carico.
I prigionieri di Guantanamo erano “fra i più pericolosi, feroci, e meglio addestrati assassini sulla faccia della terra”, secondo l’ex segretario alla difesa Donald Rumsfeld. Se fosse stato davvero così, perché Rumsfeld non è stato pronto a farli processare in un tribunale? Dopotutto, il suo giudizio così netto dovrebbe dimostrare che egli era in possesso di prove schiaccianti, sufficienti a qualsiasi tribunale per condannarli e gettarli in prigione. Ma, naturalmente, la questione della presenza o dell’assenza di prove era irrilevante.
Nessun habeas corpus, giusto processo, o insieme di leggi nazionali od internazionali, importavano molto ad un’amministrazione che si gloriava della sua capacità di trascendere tutto questo. Naturalmente, un simile disprezzo della legalità venne giustificato con la scusa degli interessi nazionali, e con un insieme di altri logori pretesti. Il tempo, tuttavia, ha dimostrato che Guantanamo, e la sprezzante aggressività che simboleggiava, hanno probabilmente arrecato maggior danno agli interessi nazionali americani di qualsiasi altro evento della storia degli Stati Uniti.
Nei primi anni, i prigionieri a Guantanamo vennero tenuti all’interno di gabbie all’aperto, con nient’altro che una stuoia ed un secchio come gabinetto. Anthony D. Romero, direttore esecutivo dell’Unione Americana per le Libertà Civili, ha scritto: “Ora sappiamo che solo una piccola percentuale delle molte centinaia di uomini e di ragazzi che sono stati detenuti a Guantanamo furono catturati su un campo di battaglia mentre combattevano contro gli americani; molti di più vennero venduti dai signori della guerra in cambio di sostanziose ricompense”. Romero cita le osservazioni fatte da un ex comandante di Guantanamo, il brigadier generale Jay Hood. Il comandante rivelò al Wall Street Journal: “A volte, semplicemente non ci consegnavano le persone giuste”.
Per di più, sia l’ex segretario di stato Colin Powell che l’attuale segretario Condoleezza Rice hanno chiesto la chiusura di Guantanamo – oltre a diversi organismi internazionali e numerose associazioni di difesa dei diritti umani negli Stati Uniti ed all’estero. Ma l’amministrazione Bush tuttora insiste a mantenere in funzione Guantanamo. E’ probabile che – se del tutto i prigionieri di Guantanamo furono di qualche utilità nell’operazione Enduring Freedom e nella cosiddetta guerra globale al terrore – ogni informazione eventualmente in possesso di qualcuno di essi gli sia stata già estorta, con la violenza o con altri metodi. Inoltre, se delle prove schiaccianti contro di essi fossero davvero esistite, l’amministrazione Bush li avrebbe processati già da lungo tempo. Nessuno dei due scenari è convincente.
Dalle pagine del Sydney Morning Herald, Leigh Sales fece la dubbia affermazione secondo cui “il problema è cosa fare con i prigionieri se il campo viene chiuso. Se essi vengono trasferiti nelle carceri americane, dovranno essere accusati e processati secondo le leggi americane. Le prove raccolte attraverso interrogatori coercitivi non sarebbero ammissibili nei tribunali ordinari, e così Bush rischierebbe di vedere gente come Mohamed e Hambali tornare in libertà”. Un commento di questo genere, ripreso anche da altri, suggerisce che dietro la volontà di mantenere in attività la prigione di Guantanamo vi sarebbero ragioni dettate dall’interesse nazionale.
Tuttavia, Guantanamo continua ad esistere, esattamente per la stessa ragione per cui ancora infuria la guerra in Iraq, e per la stessa ragione per cui la fallimentare politica globale dell’amministrazione Bush tuttora va avanti. Chiudere Guantanamo vorrebbe dire ammettere la sconfitta, dichiarare il fallimento, qualcosa che i sostenitori dell’impero non possono permettersi – almeno non adesso.
L’11 settembre fu il momento opportuno per tradurre in realtà una nuova dottrina, delineata dal “Progetto per il Nuovo Secolo Americano” (Il PNAC [Project for the New American Century], è un think-thank americano fondato nel 1997, con sede a Washington; esso fa capo al movimento neocon americano; fra i suoi fondatori figurano Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, ed altre figure di spicco dello schieramento neoconservatore (N.d.T.) ), un disperato tentativo di sostenere un impero che deve far fronte a difficili sfide. La tattica, utilizzata subito dopo gli attacchi terroristici, puntava su uno stile di politica estera e di politica militare formulato in modo da non dover rendere conto a nessuno, né al popolo americano, né alle Nazioni Unite, né alla legalità internazionale. Guantanamo è la grottesca rappresentazione di questa tattica – oltre che il suo fallimento.
In effetti, Guantanamo è una macchia nella storia americana, e resterà nella storia mondiale come un simbolo di ingiustizia e di oppressione, mantenendo vivo il ricordo della disumanità, delle torture, e dell’estrema violenza associate alla cosiddetta “guerra al terrore” dell’amministrazione Bush.


Venerdì, 25 gennaio 2008