Notiziario - Approfondimenti
A proposito dell’ "uomo" palestinese nel campo di Nahr al-Bared

A cura di Massimiliano Caruso

Uno degli enigmi del panorama politico e mediatico arabo dei nostri giorni è il disprezzo della dimensione umanitaria, che si offusca e scompare dietro le competizioni e le vicende politiche, le quali godono invece dell’attenzione delle elite e delle masse in egual misura. E’ come se le questioni umanitarie non abbiano valore né importanza nel contesto degli sviluppi che hanno luogo in molti Paesi arabi, sebbene i costi umani degli eventi politici siano tragici ad un livello insopportabile.
L’enigma di cui abbiamo appena parlato può essere facilmente osservato negli incendi che divampano nella regione, da Gaza all’Iraq, al Libano. Le inchieste dei mass media, le discussioni ed i dibattiti delle elite politiche ed intellettuali arabe, tutto ciò ruota nell’orbita dell’analisi politica di natura ideologica, ed è spesso impregnato ed imbevuto di posizioni preconcette, in modo tale che la dimensione della tragedia umanitaria quasi scompare in questo magma. Come se i conflitti politici avessero luogo senza le sanguinose ricadute di ogni giorno, senza l’esaurimento e lo spaventoso sbandamento delle società coinvolte, della loro cultura, dei loro valori, e senza perdite umane o spirituali incalcolabili. Come se l’uomo arabo non avesse peso né valore nel calcolo politico e mediatico all’interno del mondo arabo.
Un esempio manifesto del disprezzo dell’aspetto umanitario all’interno del panorama politico e mediatico arabo si è manifestato in questi giorni nella sua forma più chiara attraverso gli accadimenti del campo profughi di Nahr al-Bared in Libano. Tutti hanno condannato con fermezza, fin dal primo giorno di scontri, le azioni barbare compiute dal gruppo “Fateh al-Islam” contro l’esercito libanese. Tutte le forze politiche libanesi, senza distinzione, così come tutte le forze palestinesi, hanno privato il gruppo del loro appoggio politico spogliandolo di ogni legittimità. Si è trattato di una posizione di principio naturale ed incontestabile. Tuttavia ciò non significa, per contro, dover coprire le operazioni militari compiute dall’esercito libanese contro il campo profughi, operazioni che hanno causato ingenti danni e perdite fra i civili: persone innocenti del tutto estranee alla partita politica che si gioca a livello regionale e perfino a livello locale.
Il bombardamento del campo è stato una sorta di punizione collettiva contro i rifugiati palestinesi, senza che essi avessero alcuna colpa, se non quella di essere le vittime di una partita chiamata “Fateh al-Islam”. Non è in alcun modo ammissibile che la condanna nei confronti di Fateh al-Islam ci porti ad essere complici ed a chiudere gli occhi di fronte al crimine che consiste nel prendere di mira dei civili, qualsiasi siano le motivazioni alla base di questa decisione, ed a prescindere da tutto ciò che è stato detto sulla necessità di “proteggere la sovranità nazionale” o di riabilitare l’esercito “ferito nella propria onorabilità”. Le immagini trasmesse ieri delle persone colpite all’interno del campo sono la prova evidente che quanto è accaduto è stato un crimine perpetrato contro dei civili.
Leyla Mawed, una rifugiata palestinese all’interno del campo, parlando telefonicamente al canale satellitare “al-Jazeera”, ha raccontato qualcosa delle grandi sofferenze delle persone che erano all’interno del campo, a causa di questo scontro: i neonati senza cibo né acqua, gli uomini colpiti sulla porta di casa, senza che nessuno potesse trarli in salvo, le moschee, le scuole e le baracche distrutte dal bombardamento. La voce di questa donna ha rotto il muro di silenzio rivelando in quale scarsa considerazione sia tenuta la vita di gente innocente, dispersa senza alcun ritegno e senza alcun rispetto.
Perché continuiamo a nasconderci dietro eleganti espressioni politiche ed esecrabili filosofie giustificazioniste? Diciamo le cose chiaramente: se il gruppo “Fateh al-Islam” si fosse asserragliato in un quartiere o in una città libanese, l’esercito libanese non avrebbe osato compiere ciò che ha compiuto nel campo di Nahr al-Bared! La vita dell’ “uomo” palestinese ormai non ha più alcun valore, non solo per gli israeliani, ma anche per gli arabi, e per gli stessi palestinesi. La portata della tragedia palestinese oggi è ben più grande dei territori occupati e del nemico usurpatore e malvagio. Il crimine dell’uomo palestinese di oggi è quello di essere “palestinese”. Altrimenti come spieghiamo ciò che accade ai rifugiati palestinesi in Iraq? Le uccisioni, le migrazioni forzate, nel momento in cui tutti i Paesi arabi adottano misure restrittive riguardo alla loro accoglienza, in base a pretesti politici che non danno peso alla catastrofe umanitaria che questi palestinesi stanno vivendo, costretti a dormire all’aperto, con la minaccia della bande armate che possono rapirli in ogni momento, davanti agli occhi di un governo complice!
Dopo quanto è accaduto oggi, non so chi potrà biasimare ancora Israele per ciò che fa ai palestinesi, per il fatto che distrugge le case sulla testa della gente, che uccide persone innocenti, che infligge delle pene collettive a questo popolo sventurato. Poiché noi facciamo altrettanto, e forse ancora di più! Anzi, ciò che hanno fatto sia Hamas che Fatah al popolo palestinese nei mesi scorsi è ben peggiore di quanto ha fatto l’occupazione sionista: centinaia di morti e di feriti, perfino il sangue dei bambini di ritorno da scuola è stato fatto scorrere. L’immagine che queste fazioni hanno offerto al mondo, dopo la partenza da Gaza delle forze di occupazione, ha quasi cancellato agli occhi del mondo il cammino della lotta palestinese nei decenni passati, dando alla comunità internazionale l’impressione che i palestinesi non sarebbero in grado di amministrare un loro Stato qualora venisse creato, e rafforzando le tesi dei mass media israeliani, secondo le quali Israele difende se stesso da gruppi che non conoscono altro che “l’arte della violenza”!
Tornando al campo di Nahr al-Bared, esso è un esempio dei campi della sofferenza palestinese in Libano ed in Siria. Il campo è quasi un ghetto o una prigione collettiva, che manca delle infrastrutture e dei servizi essenziali, ed in cui vi è un’elevatissima densità abitativa. Il caos e lo scontro fra le fazioni dominano la situazione, la legge è assente. Sopravvive il più forte. Non esiste alcuna parvenza di vita dignitosa in questo campo. Alla luce di questi fatti, ci è così difficile immaginare come questo ed altri campi palestinesi si trasformino in un collettore sociale che alimenta gruppi estremisti? Ci è difficile comprendere come questa sia la naturale conseguenza dell’assenza di qualsiasi orizzonte politico e del soffocamento di qualsiasi scopo di vita?
E poi ci chiediamo da dove viene al-Qaeda!
 
http://alghad.dot.jo/index.php?article=6383


Venerdì, 08 giugno 2007