Documenti
VERSO LA PACE IN IRAQ E CON L’IRAQ

(parte seconda)


di Transnational Foundation

[Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi@tin.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione (curata per il Centro studi "Sereno Regis" di Torino) il seguente documento della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: Tff) dal titolo "Verso la pace in Iraq e con l’Iraq. Una proposta costruttiva della Transnational Foundation" approvata il 16 agosto 2007 dal Comitato direttivo della prestigiosa fondazione di peace research diretta da Jan Oberg. Pur non condividendone alcuni assunti ci sembra una utile proposta di riflessione.

Jan Oberg (per contatti: oberg@transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e’ uno dei piu’ importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino; e’ direttore della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: Tff), uno dei punti di riferimento piu’ rilevanti del movimento per la pace a livello internazionale, che ha sede a Lund in Svezia. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power.

Renato Solmi e’ stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e’ uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita’ umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e’ impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d’Aosta]


5. Compensare l’Iraq per le sanzioni, la guerra e l’occupazione militare

Mentre ci sono innumerevoli articoli e analisi dettagliate dei costi per gli Stati Uniti della guerra irachena, non ce n’e’ neanche uno (o una) che valuti i costi che essa ha comportato per la societa’ irachena, e cioe’ la portata complessiva della distruzione umana, fisica, mentale e culturale che ha prodotto.

L’impatto distruttivo e brutale di 30 anni di dittatura, di 12 anni di sanzioni economiche (le piu’ crudeli che siano state inferte a un paese in tutto il corso della storia) e dell’occupazione durata gia’ oltre 4 anni merita senz’altro la domanda: come potrebbero i maggiori responsabili di tutto cio’ mitigare - almeno in una misura simbolica - la giustificata rabbia, la legittima indignazione causata da questa distruzione? Qui non si tratta di aiuti umanitari o di aiuti per lo sviluppo o di assistenza da dare agli iracheni per aiutarli a ritornare nel loro paese natio. Si tratta di riparazioni per gli effetti della guerra e delle sanzioni inflitte a quel popolo disgraziato [Mi sono permesso di aggiungere le ultime parole, che mi sembravano implicite, in qualche modo, nel significato complessivo del testo (ndt)].

L’Iraq ha accettato la risoluzione 687 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dichiarava l’Iraq passibile di ammenda finanziaria per i danni causati nell’invasione del Kuwait. Successivamente fu costituita la Commissione per la compensazione delle Nazioni Unite (Uncc), e 350 miliardi di dollari Usa furono richiesti a titolo di risarcimento da governi, societa’ ("corporations") e singoli individui. I fondi per questi pagamenti furono tratti da una partecipazione del 30% ai redditi petroliferi iracheni, resi disponibili dal programma Oil for Food (petrolio in cambio di cibo). Una sistemazione analoga dovrebbe aver luogo ora a spese di quelli che hanno fatto cadere, con le loro azioni, sull’Iraq e sul suo popolo, una catena ininterrotta di morti e di distruzioni per un cosi’ lungo numero di anni.

Gli Stati Uniti e il Regno Unito, in particolare, dovrebbero ammettere la loro precisa e specifica responsabilita’ per la distruzione dell’Iraq. Cio’ potrebbe - ma non deve - essere calcolato nei particolari attraverso una serie di ricorsi o di rivendicazioni da parte irachena: ma la cosa richiederebbe l’istituzione di un’enorme burocrazia e parecchi anni di lavoro. Invece, si favorirebbe grandemente un processo di riconciliazione e di perdono se i paesi occupanti si offrissero volontariamente di versare riparazioni di guerra all’Iraq nella forma di una somma complessiva una tantum dell’ordine di 250/500 miliardi di dollari Usa.

*

6. Assicurare e fare in modo che l’Iraq riacquisti la piena sovranita’ sulle sue risorse petrolifere e riceva il 100% dei redditi provenienti da esse

Il petrolio e’ la condizione essenziale dello sviluppo economico dell’Iraq. E’ la risorsa di gran lunga piu’ importante, che, se correttamente gestita, puo’ assicurare la sopravvivenza a lungo termine e il benessere del paese e del suo popolo. Cio’ richiede che l’Iraq riacquisti la completa sovranita’ sulle proprie risorse petrolifere, e che i redditi provenienti dalle esportazioni petrolifere ritornino, senza alcuna deduzione, all’Iraq stesso. Va da se’, naturalmente, che nessuno avrebbe qualcosa da ridire se un futuro governo iracheno, eletto in modo veramente democratico, scegliesse di entrare in un altro ordine di accordi nell’ambito di questa sfera. Riacquistare questa sovranita’ sulle risorse che rivestono, per il paese, un’importanza esistenziale primaria, richiede, come e’ ovvio, la dichiarazione di invalidita’ ("irrito e nullo") di qualunque "accordo" possa essere stato imposto dall’amministrazione americana installata dopo il marzo 2003 come pure della nuova legge irachena sul petrolio (12).

*

7. Fare del Medio Oriente una zona libera dalle armi di distruzione di massa

Ci si dimentica troppo spesso del fatto che il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale dell’Onu avevano insistito molto tempo fa sul punto che il Medio Oriente avrebbe dovuto essere una zona libera dalla presenza di armi di distruzione di massa; i media, i politici e gli esperti amano, a loro volta, scordarsi completamente del fatto che Israele e’ una potenza nucleare di primo piano gia’ da parecchi decenni (13).

E’ sempre stato e rimane tuttora insostenibile e ingiusto avere, come fa l’Occidente, una politica basata su una duplicita’ di principi: una per Israele e l’altra per gli altri paesi della regione.

Questa politica e’ semplicemente - ed e’ sempre stata - non credibile, ed e’ ben lungi dal rafforzare la sicurezza dello stesso Israele, dal momento che le armi nucleari di Israele costituiscono l’argomento piu’ importante per cui gli altri si sentono in diritto di acquistare la stessa posizione di prestigio. Cosi’ non c’e’ dubbio che ciascuno dei protagonisti di questa vicenda - la regione stessa e il mondo intero - sarebbero un posto molto piu’ sicuro se le risoluzioni dell’Onu fossero rispettate. Si puo’ concludere, pertanto, che uno smantellamento degli impianti nucleari, come di quelli addetti alla costruzione di altre armi di distruzione di massa, dovrebbe essere operato e messo in atto in tutta la regione di cui stiamo parlando (vedi piu’ oltre al punto 10).

*

8. Avviare e portare avanti un processo di verita’ e di riconciliazione, di pubbliche scuse accompagnate dall’inizio di un dialogo e dalla disposizione al perdono

La violenza sociopsicologica sofferta da milioni di Iracheni rischia di andare perduta nei media e nel dibattito politico perche’ e’ invisibile rispetto alla grandiosita’ della distruzione fisica. Il bisogno di guarire da queste ferite nei rapporti fra gli iracheni e fra gli iracheni e i paesi che hanno inflitto un male e un dolore cosi’ grande alle loro vite e alla loro societa’ non puo’ essere oggetto di nessuna sopravvalutazione. In aggiunta, i milioni di persone che soffrono psicologicamente, per esempio in seguito ai postumi di una traumatizzazione clinica, hanno un diritto umano incontestabile a ricevere aiuto. I loro problemi possono alimentare una violenza avvenire e un odio illimitato se non vengono fatti oggetto, su scala di massa, della migliore competenza umana disponibile in materia. L’Iraq, come molti altri conflitti armati prolungati dello stesso genere, avra’ bisogno di un processo rielaborativo - e possibilmente di una Commissione o di qualche altro arrangiamento istituzionale appropriato - per assicurare e per fare si’ che le verita’ piu’ ampie intorno alla sua storia contemporanea possano essere rivelate, registrate e conservate e che, in tal modo, le vittime possano ricevere un certo ammontare di riconoscimento e di simpatia.

Se ci fosse un leader occidentale che avesse il coraggio civile di esprimere pubblicamente il suo rincrescimento - e magari perfino di chiedere perdono - per le terribili distruzioni inflitte al popolo iracheno, e si rivolgesse direttamente ad esso, e ai suoi innumerevoli membri, questo sarebbe indubbiamente un passo importante nella direzione della riconciliazione e del perdono. Un gesto di questo genere toglierebbe di mezzo almeno una parte degli argomenti di cui il terrorismo di domani potrebbe avvalersi contro l’Occidente.

Non possiamo aspettarci che gli Iracheni e altri abitanti del Medio Oriente perdonino nessuno per le sanzioni e per gli anni dell’occupazione militare senza essere invitati e incoraggiati a farlo almeno da uno dei malfattori. Ci sono molti casi, nel corso della storia umana, in cui i rincrescimenti e le scuse degli statisti hanno invitato le vittime a perdonare e aperto in tal modo la strada a un futuro migliore e alla cooperazione fra le parti. Questi casi debbono essere studiati e se ne debbono trarre le lezioni necessarie per affrontare in modo adeguato anche quello dell’Iraq. Finalmente c’e’ la riconciliazione culturale. Essa non potra’ avere luogo finche’ i tesori unici dei musei e dei siti storici iracheni non siano stati restituiti. Essi sono essenziali per la storia e per l’identita’ degli iracheni, ma anche per tutta la cultura occidentale. Saccheggiarli e bombardare le moschee e i monumenti e’ un modo di privare la gente, o per dir meglio i popoli, della loro identita’ e della loro dignita’.

*

Note

12. A proposito della legge sul petrolio vedi www.iraqoillaw.com/. Vedi anche David Moberg, Iraqi Unions fight the new oil law www.inthesetimes.com/article/3261/iraqi_unions_fight_the_new_oil_law . 13. I documenti relativi sono la Risoluzione 3263 del 9 dicembre 1974 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e la Risoluzione 687/1991 del Consiglio di Sicurezza delle medesime. (Parte seconda - segue)

Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino


proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/

Numero 232 del 4 ottobre 2007



Giovedì, 04 ottobre 2007