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Libano, qualcosa bolle nella pentola a pressione

di Clara Salpietro,

Riprendiamo questo articolo dal sito Fonte: http://www.paginedidifesa.it/2007/salpietro_071114.html
14 novembre 2007


In Libano tutto è pronto per far esplodere un nuovo conflitto senza precedenti. È sempre più una polveriera. Ci sono anche i presupposti affinché con un atto d’imperio gli Hezbollah assumano il potere. Non si sono ancora mossi perchè stanno trattando e per evitare il fuoco attendono l’offerta migliore. “Cristiani e drusi stanno vendendo i loro terreni e stanno andando via, mentre gli sciiti arrivano. Si sta verificando un eccezionale cambio demografico” è il commento del parlamentare cristiano Edmund Rizk.
Le aree a nord del fiume Litani sono infatti un terreno ideale per Hezbollah, che da lì può gestire la propria politica militare. A sostenere il gruppo sarebbe l’uomo d’affari sciita di Tiro Ali Tajeddine, le cui liquidità sembra che arrivino dal commercio dei diamanti della Sierra Leone, mentre per i leader locali drusi e cristiani avrebbe ricevuto finanziamenti dall’Iran. Anche il leader druso Walid Jumblatt ha denunciato il piano del gruppo sciita libanese, il cui intento è di “creare uno Stato nello Stato”.

Sin dall’invio da parte delle Nazioni Unite di una forza di interposizione, gli Hezbollah hanno rimesso in moto la macchina organizzativa per un nuovo attacco-scontro con Israele. Il segretario generale del Partito di Dio, Seyyed Hassan Nasrallah, ha precisato che la parte israeliana, in caso di tentativo di attacco al Libano, si troverà ad affrontare una “colossale sorpresa” che cambierà la sorte della regione. Provocazione, verità, tentativo di destabilizzare il sud del Libano? Può darsi che si tratti di tutto questo insieme, ma l’unica cosa certa è che il Partito di Dio sta acquistando ampi lotti in quel fazzoletto di terra libanese che si distende in prossimità della riva settentrionale del fiume Litani. Al Manar, il network televisivo di Hezbollah, ha anche annunciato l’installazione di una linea telefonica riservata nel sud del Paese.

Tante le manifestazioni di piazza che ogni giorno vengono organizzate da Nasrallah, un modo per mantenersi compatti, per portare avanti la strategia intrapresa da tempo. A questo si aggiungono le numerose riunioni di propaganda, segrete o meno, che vedono la partecipazione massiccia di giovani donne.

I partecipanti inneggiano al loro leader Nasrallah, ricordano i libanesi morti nei 34 giorni di conflitto, il rapimento di due soldati israeliani (tuttora tenuti in ostaggio) e l’uccisione di altri otto in un’imboscata nel sud del Libano. Però l’obiettivo degli ultimi tempi è la conquista del Paese. “Una volta assunto il potere potremmo tranquillamente rivolgerci a difendere il Paese” è la frase più ricorrente con chiaro messaggio di spianare la strada per un altro conflitto contro Israele.

Quello che inquieta nelle ultime settimane è l’assenza di un governo, un episodio di una grave entità che però sta passando in sordina. Il Libano è alla ricerca del prossimo capo dello Stato, che non si sa nemmeno se verrà trovato. Ci troviamo di fronte a uno stallo politico. Il parlamento ha rinviato le elezioni presidenziali per la terza volta in meno di due mesi. La prossima data fissata è il 21 novembre. Manca l’intesa fra maggioranza e opposizione sul nome verso il quale convergere.

All’indomani dell’uccisione di Antoine Ghanem, il deputato cristiano antisiriano in un attentato con autobomba, delle sue due guardie del corpo e di quattro passanti nel quartiere di Sin el-Fil, la polveriera Libano era pronta a esplodere. Un’elezione “consensuale” del nuovo presidente della Repubblica era ormai svanita. Dopo una riunione straordinaria, il governo del premier Fuad Siniora aveva dichiarato che l’assassinio di Ghanem “rientrava nei numerosi tentativi per ostacolare le elezioni presidenziali”. E così è stato, elezioni ostacolate e rinviate più volte dal presidente del Parlamento Nabih Berri.

Una situazione di tale gravità e instabilità che ha visto anche l’intervento del papa Benedetto XVI, che domenica 11 novembre dopo l’Angelus, ha affermato: “L’Assemblea Nazionale libanese sarà prossimamente chiamata a eleggere il nuovo capo dello Stato. Come dimostrano le numerose iniziative intraprese in questi giorni, si tratta di un passaggio cruciale, dal quale dipende la stessa sopravvivenza del Libano e delle sue istituzioni”. “Faccio mie le preoccupazioni – ha aggiunto il Pontefice - espresse recentemente dal patriarca maronita sua beatitudine il cardinale Nasrallah Sfeir, e il suo auspicio affinché nel nuovo presidente possano riconoscersi tutti i libanesi. Supplichiamo insieme Nostra Signora del Libano, perché ispiri a tutte le parti interessate il necessario distacco dagli interessi personali e una vera passione per il bene comune”.

Nei giorni scorsi infatti c’è stata una dura accusa da parte dei vescovi maroniti nei confronti dei vertici politici del Paese. La costituzione libanese prevede che sia la comunità maronita a esprimere il presidente della Repubblica, ma senza un accordo preventivo tra i cristiani il Parlamento resta bloccato. “Maggioranza e opposizione sono ugualmente responsabili di una crisi politica che non solo rischia di mandare in crisi il sistema democratico che caratterizza il Libano, ma può portare a una esplosione senza precedenti”, è il commento dei maroniti.

“C’è angoscia e inquietudine da parte del popolo - evidenzia l’arcivescovo maronita di Jbail, monsignor Bechara Rahi - richiamiamo l’intero Parlamento alla responsabilità che ha davanti a Dio, alla coscienza, alla patria”. I vescovi si sono dichiarati vicini e solidali con i deputati della maggioranza, che per il timore di attentati non possono abbandonare l’albergo vicino al Parlamento, trasformatosi in una prigione - anche se a cinque stelle - e a quelli che per la stessa preoccupazione sono riparati all’estero.

Per questa settimana sono previste in Libano le visite dei ministri degli Esteri di Francia e Italia, Bernard Kouchner e Massimo D’Alema. Non manca il monito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha ribadito la necessità di tenere libere ed eque elezioni presidenziali in Libano, in conformità con la Costituzione del Paese e senza alcuna ingerenza o influenza straniera.

“I membri del Consiglio di Sicurezza – ha dichiarato dopo una riunione a porte chiuse l’ambasciatore Marty Natalegawa dell’Indonesia, che detiene la presidenza a rotazione del Consiglio - hanno riaffermato il loro forte sostegno per l’integrità territoriale, la sovranità, l’unità e l’indipendenza politica del Libano all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti e sotto la sola ed esclusiva autorità del governo del Libano”.

I 15 “hanno ribadito la necessità che tutte le parti risolvano i problemi politici, sulla base della riconciliazione e del dialogo nazionale”, ha detto il presidente del Consiglio, esprimendo il supporto per il segretario generale e l’inviato speciale per l’attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1559-2004, nei loro sforzi volti a facilitare l’attuazione della risoluzione. “Non ci deve essere un vuoto costituzionale a livello di presidenza né due governi rivali” aveva scritto l’inviato speciale Roed-Larsen nel suo ultimo rapporto sulla risoluzione 1559, aggiungendo che “il dialogo politico deve consentire l’elezione di un nuovo presidente prima del termine costituzionale del 24 novembre”. A voce ha paventato il rischio che si generino due presidenti e due governi, con gravi conseguenze di instabilità per il Paese.

Intanto il premier Siniora ha scritto a Ban Ki-moon e al segretario generale della Lega Araba Amr Moussa per chiedere la fine dell’afflusso illegale di armi dal confine siro-libanese verso le milizie di Hezbollah nel sud del Paese. Siniora ha rivolto un appello affinché siano preservate “indipendenza e stabilità” del Libano e ha invocato la protezione “dalle minacce domestiche e straniere”, ha denunciato le “grandi quantità di armi che entrano dalla Siria” e che “sono state distribuite a gruppi vicini” a Damasco. Nella sua missiva, il premier ricorda anche il “clima di tensione” che il Libano vive a causa “della paura per la propria vita di alcuni deputati della maggioranza”.

Sono otto i parlamentari anti-siriani rimasti uccisi negli ultimi due anni in altrettanti attentati in Libano. Evidenziata anche la dura battaglia condotta dall’esercito regolare libanese contro un gruppo di terroristi sunniti di ispirazione qaedista nel nord del Paese. “Fatah al-Islam – scrive il primo ministro – ha tentato di prendere il controllo di una vasta regione del Libano settentrionale, ha attaccato Unifil nel sud. La maggioranza dei suoi membri proveniva dalla Siria e aveva ricevuto aiuto da gruppi palestinesi pro-siriani con base a Damasco”. “La maggioranza della popolazione nel Sud del Libano è con gli Hezbollah”, ci dice il vicesindaco di Majdalzoun, Khalil Harmonch, il quale spiega come il partito di Dio sia riuscito a mettere radici in territorio libanese.

“Aiutano la gente – aggiunge - e il loro sostegno è stato importante soprattutto dopo la guerra. Il conflitto dello scorso anno ha distrutto molte case e tanta gente non riesce a ricostruire. Non abbiamo corrente elettrica e problemi con la sanità, il governo non ci dà nessun aiuto”. “Ci sentiamo rassicurati dalla presenza di Unifil – prosegue – e siamo tranquilli perché con Unifil presente e vigile, Israele non riesce a fare un altro attacco, adesso prima di attaccare ci penserà bene”.

“Abbiamo buoni rapporti soprattutto con il contingente italiano - afferma - che ci fornisce un prezioso aiuto soprattutto nel settore sanitario, ogni settimana effettuano visite mediche nei nostri ambulatori. La popolazione pensa che ci sarà un futuro migliore e che la guerra non ritorni più. I militari italiani si sono resi conto che a noi piace la pace e che ci dedichiamo al lavoro, non siamo terroristi. Vogliamo che arrivi il giorno della pace in Libano, speriamo che i rapporti con gli italiani continuino ancora nel tempo. Tutti pensano che nel Sud del Libano è impossibile avviare il turismo, che qui non si può andare nei ristoranti, invece questa zona è tranquilla e spesso andiamo anche a Tiro”.

“Siamo soddisfatti – conclude il vicesindaco di Majdalzoun, Khalil Harmonch - che il mandato Unifil sia stato rinnovato e che prosegua l’attività sanitaria per la popolazione. Il contingente italiano sta facendo tante cose per gli abitanti di questa cittadina, spesso ci dispiace chiedere loro favori, ma è necessario il loro aiuto. Il nostro grande sogno, e su questo chiediamo agli italiani di venirci incontro, è di poter realizzare una clinica medica in questa zona”.



Venerdì, 16 novembre 2007