Riceviamo da Enrico Peyretti, che ringraziamo, questo Articolo di Raniero La Valle della rubrica “Resistenza e pace” in uscita su Rocca (rocca@cittadella.org )
Si fa presto a dire «non si tratta con Hamas», il movimento islamico palestinese che ha vinto le elezioni, si e impadronito
del controllo esclusivo su Gaza ed e stato cacciato dal governo.
Che non si debba trattare con Hamas lo dice Israele, ma in realtà Israele non vuole trattare con nessuno. Se ora si trova
dinnanzi Hamas, è perché prima ha imprigionato e fatto finire Arafat, e poi uno a uno ha tolto di mezzo tutti i capi
palestinesi con cui avrebbe potuto stabilire un rapporto politico, tranne Abu Mazen. Che non si debba trattare con Hamas lo
dice poi Condoleeza Rice, ma gli Stati Uniti come e noto non sono un esempio di diplomazia. Lo dice Toni Blair, nuovo
incaricato dellUnione Europea per la crisi nellarea, ma Blair e quello che, dietro a Bush, non aveva voluto trattare con
Saddam Hussein per le sue presunte armi di distruzione di massa, e ora si trova in mano la catastrofe dellIraq e di tutto
il Medio Oriente. E lo dicono gli altri leaders europei, tranne Putin e DAlema, che però da soli non possono fare nulla.
Invece di trattare, Israele ha liberato 255 militanti palestinesi seguaci di Abu Mazen; un prigioniero, incluso per sbaglio
tra quelli da rilasciare, è stato poi trattenuto perché era passato ad Hamas; in carcere ne restano altri 11.000. La
piccola amnistia israeliana ha un minimo significato umanitario, raggiungendo un ristretto numero di famiglie palestinesi,
un ben maggiore significato propagandistico, da spendere in tutto il mondo, e nessun significato politico. Ben diverso
sarebbe stato tale significato se, come ha suggerito un documento italiano promosso da Giovanni Franzoni e da numerosi
esponenti della politica e della cultura e come propongono molti in Israele, fosse stato liberato dal carcere Marwan
Barghouti, l’unico leader che potrebbe oggi essere riconosciuto da tutti i palestinesi, e che potrebbe esercitare in un
negoziato con Israele la stessa funzione carismatica cui adempì a suo tempo Nelson Mandela in Sudafrica; lo stesso
Barghouti, imprigionato nel 2002 e condannato a cinque ergastoli, si era fatto promotore dal carcere di una piattaforma
politica unitaria sottoscritta da tutte le componenti palestinesi, nella quale il diritto all’esistenza di Israele era
fuori discussione e l’obiettivo era la pacifica convivenza dei due popoli in due Stati.
Se avesse liberato Barghouti Israele avrebbe dimostrato di voler trattare seriamente, suscitando dinanzi a sé un
interlocutore palestinese credibile, e non un nemico da schiacciare o un Quisling da manovrare. Ma proprio questo Israele
non poteva volere, perché non poteva rischiare, dopo aver penato tanto per fare tabula rasa della leadership palestinese,
di trovarsi di fronte un nuovo, e più persuasivo, Arafat.
Ma Hamas è precisamente la conseguenza della politica della tabula rasa di ogni possibilità politica e di ogni speranza
palestinese; così come l’avvento sulla scena di un integralismo islamico, e di una lotta armata che giunge fino ai limiti
estremi della guerra civile e del terrorismo, è la conseguenza della sistematica distruzione di tutte le vie politiche e
laiche che nei decenni scorsi in tutto il mondo islamico sono state tentate. Dalla lotta di Mossadeq contro le compagnie
petrolifere al tentativo nasseriano della Repubblica Araba Unita; dalla impostazione statuale e politica del movimento
palestinese, con le sue strutture autonome nei Territori occupati e nei campi del Libano, allo Stato laico e modernizzante
di Saddam in Iraq; dall’esperimento di democrazia islamica sulla base di regolari elezioni impedito con un colpo di Stato
in Algeria, fino alla ritrattazione e al rovesciamento degli accordi di Oslo, tutte le prospettive politiche di una
liberazione e di un’ascesa musulmana ed araba sono state stroncate; le uniche strade seguite con convinzione da Israele e
dall’Occidente sono state quelle della repressione, della violenza e della guerra, con l’unica alternativa e l’unico
obiettivo di avere di fronte in tutto il Medio Oriente non antagonisti ma sudditi e clienti.
Ora si può dire che non si tratta con Hamas. Così ieri non si doveva trattare con l’OLP, la quale aveva le stesse
posizioni, sebbene in contesto laico, la stessa popolarità e lo stesso rifiuto di riconoscere lo Stato ebraico che ha oggi
il movimento islamico. Ma queste politiche che cancellano l’interlocutore, oggi come ieri, non possono avere altro effetto
che di radicalizzare il movimento palestinese.
Ci si può illudere di tenere in mano Abu Mazen, e di distruggere Hamas, che del resto con la sua violenza a Gaza si è
alienata molte simpatie del suo popolo e forse oggi non è più maggioranza; ma l’umiliazione araba (cui adesso si aggiunge
la proibizione ai cittadini arabi di Israele di comprare terre del demanio statale detenute dal Fondo nazionale ebraico),
non potrà che risolversi in nuove insorgenze e lotte cruente, e avverrà che quella terra, che il patriarca di Gerusalemme
Sabbah definisce “terra di resurrezione e di morte”, sarà sempre più terra di morte senza resurrezione.
Raniero La Valle
Lunedì, 23 luglio 2007
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