CITTADINI DI SERIE B PER UN POPOLO DI INVISIBILI

di Il team di Ricucire la Pace 2008

Kashem Zana, villaggio non riconosciuto, 14 agosto 2008

Rahat è la città con uno dei più alti tassi di natalità al mondo - oltre il 5% - , ma Rahat “è una città morta” ci dice l’amico che ci accompagna a visitarla: “per essere a pieno titolo una città dovrebbe esserci lavoro per i suoi abitanti”. Invece a Rahat, città oggi di 35mila abitanti, costruita nel 1972 per concentrarvi la popolazione beduina araba - unica città israeliana interamente araba - costituita dai beduini che sono stati cacciati dalle proprie terre nel 1948, in seguito alla costituzione dello Stato di Israele, e da sudanesi giunti in Palestina ai tempi della tratta degli schiavi, la disoccupazione colpisce il 20% degli uomini e il 60% delle donne. Conseguenza della disoccupazione femminile è l’aumento della natalità, che porta con sé un acuirsi della povertà e quindi in molti casi della piccola criminalità. Lo Stato non manda aiuti a sufficienza e così oltre il 60% dei giovani vive sotto la soglia di povertà, per sfuggire alla quale i più poveri si arruolano anche come volontari nell’esercito e vengono mandati a combattere contro altri palestinesi nella striscia di Gaza.

Dal ’48 i beduini del Negev, abituati a muoversi in base alle esigenze della pastorizia per poi ritornare periodicamente nelle loro proprietà, sono stati costretti alla stanzialità perché sono stati privati delle condizioni indispensabili ad una vita nomade autosufficiente: è stato consentito il pascolo solo per 3-4 mesi l’anno, mentre negli altri sono stati obbligati alla coltivazione di una terra arida, in villaggi a cui non è stato fornito alcun servizio, né l’acqua, né l’elettricità, né scuole, né ospedali e se ne è stato fornito qualcuno è stato per favorire la concentrazione dei beduini in città, così che lascino libere le proprie terre. I beduini del Negev erano circa 100mila nel 1948, quando vennero cacciati verso il Sinai, la Cisgiordania, Gaza, la Giordania, 11 mila sono rimasti, allontanati dalle loro terre per impedire che potessero dar vita a un cordone di villaggi beduini e fino al 1967 sottoposti al regime militare, così come gli altri Palestinesi che vivono in Israele e che perciò ne hanno la cittadinanza. I beduini costituiscono il 20% della popolazione del Negev ma hanno il possesso solo del 2% della terra. Vivono per la maggior parte in una cinquantina di villaggi di cui solo 7 hanno ottenuto il riconoscimento da parte dello Stato: quelli più popolosi e quindi quasi sicuramente impossibili da sfollare. 45 rimangono non riconosciuti, non sono nemmeno citati nella segnaletica stradale, citazione di cui gode abbondantemente invece il cimitero ebraico vicino al villaggio che abbiamo visitato, e come tali non hanno diritto ai servizi e alle infrastrutture; gli abitanti non hanno residenza, e le abitazioni sono passibili di ordine di demolizione che può venir eseguito senza preavviso, dopo aver vietato l’accesso all’area ad occhi indiscreti, di solito al mattino appena gli uomini sono andati al lavoro, dopo che una squadra di operai tailandesi alle dipendenze dello Stato ha provveduto alla rimozione di tutti i beni all’interno delle dimore, che vengono trattenuti e restituiti solo dietro pagamento di una cauzione. Chi chiede di costruire viene indirizzato alla città quasi interamente ebraica di Be’er Sheva. Noi siamo stati a Kashem Zana, un villaggio di beduini arabi palestinesi originari del luogo, esistente prima del ’48, ma mai riconosciuto da Israele. Una parte delle terre del villaggio sono state confiscate dallo Stato per costruirvi uno stabilimento agricolo e un villaggio ebreo che pur avendo il 10% della popolazione di Kashem Zana, gode di tutti i servizi. A Kashem Zana invece l’acqua è accessibile solo dal 1985, tramite un rubinetto che passa sulla strada principale, a qualche chilometro dal paese, e a costo doppio che altrove. Dei 2300 abitanti 650 sono studenti che per raggiungere la scuola più vicina, che comunque li relega nelle sezioni più disagiate, fanno 8-10 km su 15 autobus; le spese complessive di questi trasporti sono superiori a quelle per la costruzione di una scuola, ma lo stato non la consente per non riconoscere alla gente la possibilità di stabilirsi lì. Un paio di stanze per i bambini dell’asilo, rifiutate dal Ministero dell’ Istruzione sono state attrezzate da un’ong locale, Ajeec (“andare incontro”). Chi ha bisogno di cure mediche deve andare fino a Be’er Sheeva, a chilometri di distanza e scontrarsi con la difficoltà di comprendere l’ebraico che i beduini di una certa età, non avendo avuto la possibilità di andare a scuola, non conoscono; anche le ambulanza del pronto soccorso si fermano sulla strada principale costringendo gli abitanti dei villaggi più lontani a trasportare i malati per molti km con mezzi di fortuna, su strade sterrate.

Lo stesso accade ai beduini del nord, quelli della Galilea, nei dintorni di Nazareth, che hanno scelto di continuare la loro vita, mentre il governo voleva che si stabilissero in alcuni villaggi. Anche qui i bambini devono affrontare un viaggio di 1 ora, a piedi, per andare a scuola, perché il loro villaggio non è riconosciuto e perciò non è consentita la costruzione della scuola. D’inverno il terreno diventa completamente fangoso e l’acqua entra nelle dimore. E anche qui ogni tentativo di dare solidità a queste povere baracche finisce nella demolizione. Lo Stato tenta di non riconoscere l’esistenza dei beduini non riconoscendone i diritti, tenta di separarli tra di loro per poterli trasferire o far demolire le loro case più agevolmente, tenta di ghettizzarli, di estenuarli e spingerli a lasciare quel poco che è rimasto della loro terra. Tutto questo accade ai beduini pur essendo cittadini dello Stato di Israele: uno Stato che li considera e li tratta a tutti gli effetti come appartenenti a un rango inferiore a quello dei cittadini ebrei, tranne quando si tratta di pagare le tasse. E la condizione di cittadini di serie b tocca anche agli abitanti Palestinesi dei campi profughi, ai Palestinesi che vivono in Israele, agli abitanti dei territori occupati, ai pastori di piccoli villaggi: pur pagando le stesse tasse dei cittadini ebrei, lo Stato stanzia per loro un decimo dei finanziamenti che stanzia per i cittadini israeliani ebrei, che godono di scuole diverse, ospedali diversi, di servizi migliori.

Nel nostro cammino abbiamo conosciuto molti di questi “cittadini di serie b”: il loro calore, l’amicizia, la generosità, la forza, la dignità, che sentono e temono che gli venga negata e che desiderano più di ogni altra cosa, più anche della pace della quale alcuni di loro ormai disperano, è ciò che porteremo con noi per sempre e che non vogliamo smettere di far conoscere, insieme con il loro grande bagaglio di sofferenza che vorremmo in qualche modo contribuire ad alleggerire con la nostra vicinanza e il nostro aiuto e con le parole che per loro possiamo spendere.


Il team di Ricucire la Pace 2008



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Lunedì, 18 agosto 2008