Cos’è l’intifada ?

di Rosario Amico Roxas

Il mondo intero condanna come eccessive le reazioni israeliane contro i palestinesi.
Il fatto non è nuovo, iniziò con la “lotta delle pietre” dei ragazzini di Gaza, alla quale fu data una risposta inumana.
All’interno di un mio lavoro più completo, c’è questa pagina che vi trasmetto.



Propongo una pagina di storia così come è conosciuta da chi l’ha vissuta; sono testimonianze da me raccolte sul posto dove ho vissuto per oltre un decennio; ritengo doveroso far conoscere anche l’altra faccia della verità, quella delle vittime.
La fine della guerra Iran-Iraq, coincise, cronologicamente, con l’inizio dell’intifada palestinese; un nuovo e diverso modo di protesta dei ragazzi Palestinesi contro i soprusi quotidiani del governo israeliano.
Nella Palestina occupata, violentata tutti i giorni, svilita nelle sue legittime richieste, peraltro suffragate da risoluzioni dell’ONU, vanificate, però, dal solito veto degli USA, iniziò un nuovo tipo di protesta. Furono i bambini e i ragazzi di Gaza a iniziarla; disponevano solo di sassi per manifestare la loro rabbia di occupati, e i sassi utilizzarono; fu l’inizio dell’Intifada, che si innesta come un puzzle nello scacchiere mediorientale per definirne meglio i contorni. L’intifada rappresentò la volontà palestinese di contare solo sulle proprie forze, fosse anche in quelle dei ragazzi delle pietre. Molto meglio di qualunque concetto io possa riuscire a mettere insieme, pur nel grande amore che riconosco di nutrire per quel popolo martoriato, nei versi di un poemetto, diventato il manifesto dell’Intifada, ci sono le parole che descrivono con tragico e poetico trasporto il contenuto globale dell’Intifada. Lo scrisse un grande poeta libanese Nazir Qabbani, testimone del massacro di Sabra e Shatila, dove i profughi palestinesi furono massacrati dalle truppe libanesi del generale Haddhad con l’appoggio dell’esercito israeliano.

I bambini delle pietre
hanno disperso le nostre carte
versato inchiostro sui nostri vestiti
deriso la banalità dei vecchi testi……
Bambini di Gaza
non badate alle nostre discussioni,
non ascoltateci,
siamo gente di calcoli a freddo,
fate le vostre battaglie e lasciateci soli,
noi siamo morti senza tomba.
La cosa più importante
è che hanno abbandonato
la casa dei loro padri,
hanno abbandonato l’obbedienza.
Bambini di Gaza
non consultate i nostri scritti,
noi siamo i vostri genitori
non siate come noi.
Noi siamo i vostri idoli
non adorateci.
Bambini di Gaza
che salutate la follia del tempo,
il tempo della ragione
se n’è andato da molto,
insegnateci la vostra follia.

(Nazir Qabbani Publications, Beirut, 1988)

La reazione di Israele alle sassate dei bambini di Gaza, dei ragazzi delle pietre, fu mostruosa. Il Dipartimento di Stato americano, controllato dalle lobbies israeliane, convinse il governo della Casa Bianca che se i palestinesi non fossero stati sterminati, un leader arabo, come Saddam, con ambizioni personali avrebbe potuto cavalcare la “follia delle pietre”. Washington si convinse che era necessario tenere a bada il rais di Baghdad, non più affidabile ai loro occhi; nello stesso tempo chiuse entrambi gli occhi sui massacri che gli israeliani iniziarono contro il popolo palestinese, come ritorsione alla “follia delle pietre”.
Arafat, leader carismatico dei palestinesi, si ritrovò a subire l’orbita di Saddam. Saddam era il rais dell’Iraq, capo supremo e indiscusso, Arafat era il leader carismatico, zaim, e come tale necessitava del consenso del suo popolo, consenso che, come vedremo, rappresenta una delle fonti del diritto islamico. Nel 1988 mentre Arafat preparava ad Algeri la riunione del CNP (il Parlamento dell’OLP) che doveva sancire la fine delle belligeranze con Israele e il riconoscimento di quello Stato, in vista della creazione di uno Stato Palestinese, si ebbe la netta sensazione del fallimento cui andava incontro il leader palestinese, a causa della diffidenza che l’Occidente proclamava nei suoi confronti, con quotidiani attacchi da parte della stampa addomesticabile e addomesticata. Quando tale sensazione stava per diventare una realtà, da parte dei Palestinesi più intransigenti giunse la disponibilità a trattare un accordo che prevedesse la rinunzia alla resistenza in cambio di una politica internazionale indirizzata verso un negoziato e una rapida concertazione fra le parti e la creazione di uno Stato palestinese autonomo e riconosciuto.
Il messaggio, riportato da tutti i giornali arabi, recitava così:

“Non vogliamo fare la fine dei pellerossa d’America; la via del negoziato è l’unica praticabile”.

Arafat credette di aver vinto la sua battaglia all’interno dell’OLP, con la rinuncia al terrorismo e il riconoscimento dei confini di Israele. Proprio mentre Arafat parlava della pacificazione israelo-palestinese ad Algeri, i panzer israeliani invadevano la striscia di Gaza.
La speranza di risolvere la questione palestinese presso un tavolo di trattative fallì miseramente. Quando Saddam occupò il Kuwait, profittò della situazione per dare un senso arabo a tale invasione, legando lo sgombero di quel paese all’abbandono, da parte degli Israeliani, dei territori palestinesi occupati. La popolazione Palestinese credette di aver trovato in Saddam il leader che avrebbe potuto ottenere il rispetto dei diritti palestinesi. Arafat, come già detto, era solo un leader carismatico, uno zaim, bisognoso del consenso del suo popolo; non avrebbe mai potuto contrastare la nuova speranza che era sbocciata nel cuore dei palestinesi. Arafat, spinto dal suo braccio destro e amico di tante battaglie Abu Iyad, riuscì ad impedire a Saddam la pretesa di rappresentare e far propri gli interessi del popolo palestinese, così Saddam fece uccidere Abu Iyad, per dare un segnale forte allo stesso Arafat; ma fallì in pieno nel suo disegno, perché, indistintamente, tutti i palestinesi, che compresero i disegni del rais, non accettarono più di mettere insieme le loro rivendicazioni con la crudele follia del rais di Baghdad.

Rosario Amico Roxas



Lunedì, 03 marzo 2008