Commiato da Nevé Shalom / Wahat al-Salam

di Bruno Segre

Riceviamo dall’amico Bruno Segre questa sua lettera di commiato dall’associazione italiana amici di Nevé Shalom / Wahat al-Salam, il villaggio dove palestinesi ed ebrei vivono da alcuni decenni una esperienza di vita comune in una realtà di guerra quale quella del medio oriente. Questa posizione di Bruno Segre crediamo sia il segnale preoccuopante di un aggravamento della situazione in Israele. Ci ripromettiamo nei prossimi giorni di dare voce anche all’altra parte dell’associazione italiana amici di Nevé Shalom / Wahat al-Salam che ha deciso, diversamente da Bruno Segre, di continuare questa sua esperienza sicuramente meritoria per la pace in medio oriente.


Con oggi ho deciso di cessare il sostegno che, per sedici anni, ho dato a Nevé Shalom / Wahat al-Salam.
Nell’atto di dimettermi dalla presidenza dell’Associazione italiana “Amici di Nevé Shalom / Wahat al-Salam”
e di abbandonare l’associazione stessa, desidero chiarire i motivi di tale decisione ai molti amici che mi hanno
affiancato con generosità nel mio lavoro, nonché a tutti coloro che in questi anni sono stati testimoni, in
Italia, del mio impegno per favorire le iniziative educative del Villaggio e, più in generale, per
alimentare speranze in una possibile pace tra israeliani, palestinesi e il mondo arabo.
A tal fine allego la versione italiana di una lettera di commiato che, proprio oggi, invio a Hermann Sieben,
presidente dell’associazione degli amici tedeschi di NSh/WAS, e, unitamente, ai responsabili di tutte
le altre associazioni di sostegno di NSh/WAS nel mondo, nonché agli abitanti del Villaggio.


Bruno Segre


Testo della lettera


Herrn Hermann Sieben

Presidente
’Freunde von Neve Shalom / Wahat al-Salam’

Sonnenrain 30
53757 St.Augustin

Germania



15 giugno 2007


Caro Hermann,

con l’approssimarsi dell’assemblea annuale dell’Associazione degli amici italiani di NSh/WAS che avrà luogo domenica 17 giugno, sento il bisogno di rivolgermi a te e, unitamente, ai responsabili di tutte le altre associazioni nel mondo e ai numerosi buoni amici che ancora annovero a Nevé Shalom / Wahat al-Salam, per cercare di esporre il più chiaramente possibile i motivi che mi inducono ora a dimettermi dal ruolo - da me esercitato per troppo tempo - di presidente dell’associazione italiana, e, inoltre, ad abbandonare l’associazione stessa assieme a una parte dei soci (un altro gruppo di soci, a quanto pare, intende continuare: rispetto una simile decisione, anche se non la condivido e non la avallo).

Per quanto concerne la mia persona le dimissioni - un’iniziativa ardua che, almeno per ora, considero irrevocabile - sono state una scelta alla quale mi sono risolto a conclusione di un tentativo durato un biennio, estenuante e molto frustrante, di ricevere dai dirigenti del Villaggio qualche attendibile risposta a una serie di dubbi che gli amici italiani di NSh/WAS desideravano vedere dissipati, e che dopo un approfondito e lacerante dibattito interno avevano espresso in modo unanime.

Quando sedici anni fa iniziai a dedicarmi a NSh/WAS, era ancora in vita padre Bruno [Hussar]. Fu lui il primo membro della Comunità che incontrai nel corso di una sua visita in Italia, e fu lui a rappresentare per me la prima fonte diretta e assolutamente autorevole di informazioni sul Villaggio e sulle sue mirabili iniziative educative.

Se mi sforzo di ricordare che cosa rendeva il discorso di presentazione di Bruno (“il sogno” di Bruno) tanto pieno di fascino, ritengo che si trattasse di quella straordinaria commistione di utopia e realismo ch’egli era capace di comunicare. Chiunque fosse avverso all’idea che la pace si possa conseguire mediante la violenza, l’uso delle armi, la guerra, subiva l’incanto del sogno di Bruno, e soprattutto della particolare considerazione in cui egli teneva il peso ineludibile delle differenze fra le identità in qualsiasi tentativo di gestire un conflitto e di riconciliare, all’interno di un conflitto, le varie parti contrapposte.

Bruno si rendeva conto che attualmente, dopo la fine della guerra fredda, nella vita degli uomini la violenza è rimasta ovunque un elemento esteso e pervasivo, e che, soprattutto nel Medio Oriente, le varie società che si fronteggiano erano passate da un tipo di conflitto che si configurava come ideologico a un nuovo diffuso genere di conflitti aventi per fondamento le identità.

Padre Bruno, che era solito descrivere se stesso come “un uomo dalle quattro identità”, sapeva perfettamente quanto pericolose le identità possano essere. Nel nome dell’identità si comincia con l’affermare ad alta voce la propria appartenenza, spesso contrapponendosi a un “nemico” - poco importa se reale o immaginario -, dopo di che lo spazio per avviare un’autentica ulteriore discussione si restringe sino ad annullarsi: ci si dedica allora ad accusare, condannare, minacciare, demonizzare, disumanizzare la parte “altra”.

Così, ben consapevole di quali veleni il problema dell’identità possa cospargere le relazioni tra gruppi umani diversi, Bruno - che pure era un religioso cristiano - non scelse mai di ergersi a mero paladino di principi universali con la tendenza a ignorare le diversità fra gli uomini. E d’altra parte, rifiutava pure di assumere il ruolo di colui che difende specifiche appartenenze o peculiarità umane senza curarsi dei valori di fondo comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo: un tipo d’atteggiamento che sarebbe equivalso ad accettare la frammentazione dell’umanità in una molteplicità di realtà provinciali o parrocchiali.

Il magnifico esito di tutto ciò fu NSh/WAS - il sogno realizzato di Bruno - ossìa l’edificazione, operata con pazienza e quotidiano impegno, di una piccola ardimentosa comunità che, a dispetto del fatto di trovarsi entro un contesto estremamente violento, si industriava con tenacia per dare vita a una difficile coesistenza tra “nemici” e per inaugurare modalità educative secondo un approccio nuovo, originale, con la consapevole intenzione di conservare un delicatissimo equilibrio tra, da un lato, le diversità umane (che esistono in quanto sono il prodotto di fattori sia naturali che culturali, e in ogni caso costituiscono lo “stato presente” dei vari gruppi umani conviventi in un medesimo ambiente) e, sull’altro versante, i principi universali di giustizia, di amore e di pace (che costituiscono - per così dire - il “futuro traguardo” al cui raggiungimento ogni uomo e donna di buona volontà deve tendere).

Naturalmente, ciascuno dei vecchi grandi amici di NSh/WAS ben sapeva che, anche quando padre Bruno era in vita, all’interno del Villaggio v’erano molte difficoltà - talvolta problemi pesantissimi -, e nessuno riteneva che la missione cui NSh/WAS si era votata comportasse un compito semplice. A quell’epoca, tuttavia, i membri del Villaggio sembravano avere ben chiaro nella mente quel “magico”, delicatissimo equilibrio tra le diversità umane (“il presente”) e i principi universali (“il futuro”): equilibrio che costituiva una sorta di stella polare capace d’indicare il cammino della Comunità e di ispirare i suoi innovativi progetti in vari campi dell’educazione.

Ma alcuni anni dopo la scomparsa di padre Bruno - non saprei dire esattamente quando - le personalità più in vista dell’Oasi di Pace (che nel frattempo era diventata adulta) iniziarono per gradi ad attribuire a quell’equilibrio un’importanza minore, trasferendo impercettibilmente il fulcro dei loro sguardi e dei loro pensieri dal “futuro” al “presente”, e facendo intendere che “ciò che conta è l’identità”: l’identità con le sue rivendicazioni astiose e determinate, tese a far valere l’appartenenza etnica e/o le specificità nazionali e linguistiche.

Nel corso degli anni, anche se con un approccio ambiguo, NSh/WAS e le sue ormai affermate istituzioni educative sono andate esprimendo sempre più insistentemente il messaggio di un gruppo identitario che, in termini provocatori e polemici, proclamava la propria superiorità morale - grazie al suo rappresentare storicamente “le vittime dell’oppressione” - a fronte di un altro gruppo umano - ritenuto il rappresentante degli “oppressori” - che continuava a vivere la vita del Villaggio e a dare il proprio contributo al funzionamento delle sue istituzioni educative accettando supinamente di essere considerato moralmente inferiore, tormentato da una crescente mancanza di fiducia in se stesso, quando non saldamente convinto di mantenere un rumorosissimo silenzio.

Proprio a causa di tale progressiva alterazione di orientamento - per quanto comprensibile la si possa ritenere -, per noi amici italiani divenne via via più difficile il rivolgerci al pubblico dei nostri uditori - e alle varie città gemellate, nonché all’Università di Firenze con la quale alcuni anni fa avevo firmato una convenzione a nome e per conto del Villaggio - mediante un discorso che presentasse in modo onesto e credibile NSh/WAS come una comunità composta di palestinesi ed ebrei viventi assieme in uno spirito di apertura dialogica e di mutua generosità.

E appunto nel venire meno, fra le due parti in dialogo, di quel rapporto di parità morale che rappresenta, all’interno di un contesto fra “conviventi in conflitto”, la condizione minima perché un dialogo possa svilupparsi in termini accettabili, e nella mancanza di una qualsiasi chiara spiegazione di un così significativo mutamento d’approccio da parte della dirigenza del Villaggio, risiede il primo problema di grande peso che noi italiani abbiamo incontrato nel nostro rapporto con NSh/WAS.

Tanto più problematico, nell’ultimo biennio, si è configurato il nostro rapporto in quanto coloro che abitano ora nel Villaggio non sembrano assolutamente più costituire una comunità nel vero senso della parola. Ogni qual volta noi - rappresentanti delle diverse associazioni di amici nel mondo - abbiamo avuto incontri diretti con NSh/WAS, le persone che ci siamo trovati di fronte e che ci hanno solitamente fornito le informazioni appartenevano sempre, anno dopo anno, alla stessa ristretta cerchia. In effetti il Villaggio dà l’impressione d’essere gestito da un gruppo limitato di persone nelle cui mani risiede il vero potere decisionale, a prescindere dal tipo di struttura organizzativa che il Villaggio pretenda formalmente di adottare. È accaduto talvolta, durante recenti nostre visite, che persino ex segretari generali [sindaci] ed ex direttori delle scuole non si facessero vedere. Tutto ciò ci ha indotto a chiederci se il tessuto democratico dell’Oasi di Pace non mostrasse i segni di qualche serio problema.

Infine, non posso fare a meno di menzionare le modalità sgradevoli dell’approccio con cui i responsabili di NSh/WAS sogliono affrontare i rappresentanti delle associazioni di amici nel mondo allorché si tratta di richiedere un sostegno finanziario per le loro iniziative. A mia memoria foste tu, Hermann, e Walter, il nostro tesoriere - che come sai è un professionista della gestione contabile - i primi due amici che domandarono apertamente al Villaggio di fornire resoconti chiari ed esaurienti del sostegno finanziario che l’insieme delle varie associazioni offre al Villaggio anno dopo anno. E per certo, un anno dopo l’altro i dirigenti di NSh/WAS sono andati riempiendo le nostre borse e i nostri computer con pagine e pagine di cifre, senza tuttavia farci mai avere qualche attendibile pezza giustificativa che ci consentisse di renderci edotti circa la destinazione finale dell’enorme massa di danaro che noi, l’insieme delle associazioni, elargiamo loro ogni anno. Solitamente, quando arriviamo al dunque circa l’aspetto finanziario del nostro rapporto con il Villaggio, apprendiamo che ciascuno dei vari settori operativi chiude l’anno d’attività con un deficit che, poi, sarà compito nostro ripianare.

Penso, caro Hermann, di averti sin qui esposto, in modo forse un po’ troppo sommario, i motivi sotto la spinta dei quali sono giunto al gravosa decisione di cessare il mio sostegno a NSh/WAS.

Data la mia età ormai avanzata, e il mio essere, per sovrapprezzo, un vecchio ebreo europeo, ti assicuro che ho avuto modo di rendermi conto con lucidità, nell’arco della mia vita, di quanto siano rovinose le guerre, le violenze, le discriminazioni razziali, le oppressioni, le ingiustizie, e che cosa tali sventurati flagelli significhino per qualsiasi popolo che abbia a soffrirne.

Nel Medio Oriente, come sappiamo, una serie infausta di circostanze storiche, unitamente a un cumulo enorme di errori umani e di crimini, hanno messo due popoli infelici, governati da leader di livello scarsissimo e talvolta malèfici, nella condizione di subire l’immeritata punizione di una coesistenza sgradita, carica di reciproche paure, di livori, odii, desideri di rivalsa. Pertanto nel prossimo futuro, intendo sicuramente dedicare quel tanto d’energie che la vita ancora mi concederà ad assistere questi due popoli nel trovare strade che conducano verso una possibile esistenza fianco a fianco, mutuamente accettabile, fondata sull’equità, sulla decenza, sulla non violenza.

Ma per fare ciò ho bisogno di individuare una o più “agenzie di dialogo” meritevoli di sostegno, la cui esperienza di servizio mi offra quel tipo di garanzie complessive e di trasparenza che ultimamente non ero riuscito a ottenere da NSh/WAS. Al momento, di simili agenzie attive nell’area mediorientale ve n’è un buon numero - è sufficiente scorrere il lungo elenco di centri, gruppi, programmi ecc. di dialogo che la Goodwin Foundation sta attualmente sostenendo nel Medio Oriente (vedi il Middle East Peace Dialogue Network in Google). E vi sono anche alcune altre agenzie valide che, al momento, nell’elenco di Goodwin non figurano.

Mi domando soltanto perché mai NSh/WAS non abbia mai tentato di istituire un vincolo serio di sinergie di lunga durata con una o più fra queste agenzie. A quanto pare, però, l’autodistruttivo spirito concorrenziale, che è onnipresente e permea di sé chiunque e qualunque cosa nel mondo attuale, riempie d’ostacoli anche il cammino di soggetti che pretendono di agire quali costruttori di pace.

Ancora qualche parola a proposito degli amici italiani che, con ogni probabilità, si daranno da fare per mantenere in vita la nostra associazione (almeno temporaneamente, dicono ora). Come t’ho già accennato, non condivido la loro decisione, e tuttavia ritengo che la giovane età di alcuni componenti del gruppo (possibile sinonimo di “idee fresche”) presenti una valenza positiva, così come considero degno di rispetto lo spirito di sincera integrità che li anima. Con altrettanta schiettezza formulo voti affinché essi ottengano un triplo successo proprio là dove, negli ultimi due anni, ho registrato un doloroso fallimento. Pertanto, auguro:
- che siano capaci di indurre NSh/WAS a comunicare in termini convincenti ciò che gli abitanti del Villaggio (intendo l’insieme della popolazione) pensano che debba essere attualmente la loro fondamentale missione;
- che siano capaci di accertare che la missione che la Comunità dichiarerà d’essere intenzionata a compiere corrisponda degnamente all’immagine di efficace agenzia di costruzione della pace che padre Bruno voleva che NSh/WAS proiettasse in Israele/Palestina e nel più ampio mondo;
- che ottengano resoconti esaurienti, chiari, comunicabili, di come il Villaggio suole spendere gli ingenti, continui flussi di danaro che riceve da ogni parte del mondo.

Per concludere desidero ringraziare te, Hermann, e con te tutti gli amici delle altre associazioni e quelli che vivono nel Villaggio, per la ricchezza degli stimoli spirituali e per i frequenti splendidi momenti di collaborazione che, grazie alla loro amicizia, mi sono stati offerti nell’arco di sedici anni.

Addio a tutti, con un pensiero affettuoso,


Bruno Segre





Lunedì, 18 giugno 2007