Per la pace in medio oriente
Speranze di pace per il Medio Oriente dopo la Conferenza di Annapolis

Intervista, a cura di Fausta Speranza per Radio Vaticana, al giornalista arabo cristiano Charlie Abu Saada, di Betlemme


Ringraziamo Charlie Abu Saada, che ci ha segnalato questa sua intervista a Radio Vaticana riportata sul sito http://www.juthouruna.com/italian/news1/annapolis1.htm


La conferenza di Annapolis “ha fatto partire il treno” che porterà alla nascita di uno Stato palestinese. E’ quanto ha detto mercoledì a Washington il presidente palestinese Abu Mazen, dopo l’incontro in cui Abu Mazen ed il premier israeliano Ehud Olmert hanno concordato di avviare i negoziati di pace per giungere, tra le varie cose, alla nascita di uno Stato palestinese. Intanto, quattro palestinesi militanti di Hamas sono stati uccisi nella notte durante un raid aereo israeliano nella Striscia di Gaza, nella località di Abassan, vicino a Khan Yunes. Altri due miliziani sono stati uccisi da un tiro di un carro israeliano presso la località di Bani Suheila, sempre nel sud della Striscia. Bisogna ricordare che oggi l’ONU celebra la Giornata di solidarietà con il popolo palestinese. Ma dopo Annapolis è davvero diversa la prospettiva per il Medio Oriente? Nell’intervista di Fausta Speranza, ascoltiamo il giornalista arabo cristiano Charlie Abu Saada, raggiunto a Betlemme:


R. – Quasi tutti i palestinesi sono scettici, giustamente purtroppo, sono scettici in merito a tutto quello che sta succedendo. Perché noi palestinesi abbiamo assistito, abbiamo visto tante conferenze di pace che non hanno portato a quasi nulla! Noi vogliamo solamente la giustizia, la giustizia e la pace. Non c’è giustizia senza pace, non c’è pace senza giustizia. Ma io personalmente rimango ottimista riguardo al futuro: abbiamo circa undici mesi ancora fino a ottobre prossimo, speriamo che le cose cambino, speriamo che sia gli israeliani sia anche i nostri, i palestinesi, siano disposti a cedere qualcosa. Non c’è niente da fare: dobbiamo noi pagare qualcosa e anche gli israeliani cedere e pagare qualcosa.


D. – Tra voglia di pace, speranza e evidenti situazioni di drammaticità, come considerare la tappa di Annapolis?


R. – E’ una tappa fondamentale, un passo avanti. Anche questa mattina ho letto una intervista al patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, e anche lui è ottimista, anche lui dice: “E’ una tappa fondamentale”. Ma abbiamo bisogno di segnali positivi circa l’atteggiamento di Israele verso la pace e la giustizia, perché mentre stanno ad Annapolis a trattare, oggi, per esempio, questa mattina ci sono stati quattro morti, ieri a Gaza anche quattro morti ... Quindi, ecco, abbiamo bisogno di segnali perché la gente deve credere alla pace e al dovere di trattare con Israele. E quindi, negoziati ad Annapolis e morti qui, questo non va bene!


D. – Bush, per evidenti motivi di mandato personale, punta a dare un limite entro il 2008. Ma questa scadenza può essere un pungolo positivo oppure può essere un limite che stringe troppo?


R. – Potrebbe essere un pungolo positivo. Speriamo che sia così. Senza date definitive, la gente – soprattutto per quanto riguarda i palestinesi – non ce la fa ad aspettare.


D. – La novità di questa Conferenza di Annapolis è stata anche la partecipazione di 16 Paesi arabi. E’ davvero importante?


R. – E’ importantissimo, sì. Ma, ripeto, tutti stanno aspettando la mossa di Israele, ora. Cioè, per esempio, se Israele non tratta con i libanesi – perché c’è anche territorio libanese occupato da Israele – e Israele d’altra parte non tratta con la Siria, cioè non cede le alture del Golan alla Siria, allora tutto sarà finito.


D. – Da Bush, Olmert e Abu Mazen è stato detto: “La pace è possibile”. Che effetto fa sentirlo dire stando nei Territori?


R. – Noi abbiamo sentito, come ho detto prima, abbiamo sentito molte volte queste parole, queste bellissime parole. Noi ci crediamo, noi palestinesi e la maggior parte degli israeliani anche, crediamo a queste bellissime parole. La pace, sì, è una cosa bella e una cosa possibile. Ma, ripeto, le parole non valgono nulla. Noi vogliamo fatti sul terreno.


D. – E’ stato commentato il fatto che non ci sia stata una stretta di mano ufficiale di fronte alle telecamere...


R. – Questo è chiaro, si può capire, purtroppo, perché ancora credo che – anche se continuo a rimanere ottimista – gli animi non sono ancora ben disposti, sia da parte dei palestinesi sia da parte degli israeliani, ad arrivare ad un Trattato di pace definitivo, in cui gli animi si calmino dentro.


D. – Qualcuno ha commentato, in occasione di Annapolis, che proprio la debolezza dei due leader e le situazioni molto complesse dell’area allargata del Medio Oriente nonché l’Iraq e l’Iran, possano in qualche modo, per paradosso, proprio perché la situazione è più drammatica ancora che negli anni passati, possano essere terreno fertile per la pace. E’ così?


R. – Sì, questo è giustissimo. Però, non dimentichiamo tutti i problemi degli americani in Iraq, in Afghanistan, tutto questo pesa ...

Infine va detto che a conclusione della Conferenza organizzata dagli Stati Uniti ad Annapolis, il segretario di Stato Condoleezza Rice ha annunciato che l’ex generale dei marine James Jones, ex-comandante supremo della NATO, è stato nominato inviato speciale per il Medio Oriente per i problemi di sicurezza.



Giovedì, 06 dicembre 2007