No alla guerra

Dossier 11 settembre

A cura della redazione de Il dialogo

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Le responsabilità dei cristiani di fronte alla guerra

I fatti dell'11 settembre ci riguardano direttamente come uomini e donne che hanno deciso di dedicare la propria vita a Dio, ognuno con i propri carismi ed i propri doni. Quei fatti ci riguardano direttamente due volte e chiedono il nostro impegno e la nostra testimonianza.

Siamo coinvolti una prima volta, nostro malgrado, perché quei fatti sono stati presentati come provenienti da un'ispirazione religiosa. Gli autori materiali degli attentati, coloro che li hanno diretti, finanziati ed addestrati, sarebbero stati mossi dall'idea di punire la nazione americana per i suoi peccati. Autori materiali e ideatori che avrebbero così vestito i panni dell'angelo vendicatore per riportare gli uomini sulla via di Dio. E' la tesi che, stranamente, ha trovato uniti il tanto discusso Bin Laden, di cui i mezzi di comunicazione hanno riportato il suo "ringraziamento a Dio" per quanto accaduto, e i responsabili della corrente cristiana conservatrice americana che, sul canale televisivo 'Christian broadcasting network', hanno lanciato anatemi contro i moderni peccatori, femministe, gay e abortisti. "E' successo perché la gente è diabolica", ha detto il telepredicatore Pat Robertson, ex candidato repubblicano alla presidenza, che ha preconizzato: "Siamo soltanto all'anticamera del terrore". E Jerry Falwell, altro telepredicatore fondamentalista, ha tuonato: Dio ha permesso quello che è successo "perché probabilmente ce lo meritiamo".

Siamo coinvolti una seconda volta perché dai tragici fatti dell'11 settembre ha preso l'avvio una nuova e più tremenda guerra, guerra che probabilmente sarebbe scoppiata comunque come frutto della grave crisi economica che sta interessando gli USA e tutto il mondo occidentale, ma che, grazie a quegli attentati, ora viene nascosta, con la responsabilità della guerra addebitata non già alla crisi economica ma proprio agli attentati.

In entrambi i casi, come religiosi, qualsiasi sia la nostra religione, non possiamo che dire il nostro no chiaro ed inequivocabile ad ogni azione violenta, ad ogni uccisione. Per noi cristiani non solo è peccato uccidere ma è peccato anche l'odiare il proprio nemico. Come cristiani, ancora, non potremo mai condividere l'idea folle che qualcuno possa sostituirsi alla giustizia di Dio, arrogandosi il diritto di punire questa o quella persona, questa o quella nazione. Non spetta all'uomo giudicare chi commette peccato; spetta invece ad ognuno non peccare, praticare i comandamenti, essere sottomessi a Dio.

Per tale motivo è necessario che nessuna religione, nessun religioso o religiosa prenda posizioni pubbliche che possano suonare in qualche modo come una giustificazione morale della violenza, del terrorismo, delle rappresaglie, della guerra, seppure mascherata come "legittima difesa". Grave è a tale proposito la responsabilità dei pastori d'anime che, con le loro dichiarazioni, possono convincere qualcuno a commettere peccato, quale uccidere durante la guerra. Grave è anche la responsabilità dei capi di Stato. Che nessuno dimentichi che chi induce qualcuno a peccare pecca anche lui e in misura anche maggiore.

Spetta a tutti i religiosi, qualsiasi sia il loro incarico nell'ambito della propria chiesa, mettere gli uomini e le donne del nostro tempo, i governanti, chiunque abbia il potere di influire sulle sorti dell'intera umanità, di fronte alle proprie responsabilità, togliendo, una volta per tutte, la giustificazione morale a qualsiasi guerra, da chiunque promossa. Che il nuovo secolo possa aprirsi con il rifiuto di tutte le religioni a giustificare o a benedire eserciti in armi.

«Dicci qualcosa di cristiano»

Dopo gli attentati dell'11 settembre siamo stati sommersi da affermazioni terribili pronunciate da esponenti dell'amministrazione USA. Eccone un campionario rappresentativo: "O con noi o contro di noi"; "Non escludiamo l'uso dell'arma nucleare", "Giustizia infinita" è stata battezzata la nuova guerra poi cambiata in "libertà duratura"; ed infine l'ultima che suona come "Nessuna misericordia". Al fondamentalismo islamico l'amministrazione USA ha contrapposto il "fondamentalismo cristiano".

Queste dichiarazioni ci riguardano direttamente perché sono state pronunciate da chi proclama il proprio essere cristiano. "La società americana - ha scritto Richard Sennet sociologo, docente alla London School of Economics - è profondamente religiosa". Talmente "religiosa" che in molti stati è proibito per legge, ancora oggi, insegnare nelle scuole statali la teoria darwiniana dell'evoluzione della specie perché in contrasto con il creazionismo biblico.

Queste dichiarazioni fanno appello alla parte più retriva del mondo cristiano americano e mondiale, a coloro che credono in un'interpretazione letteralista della Bibbia. Si tratta di appelli alle chiese a sostenere moralmente la guerra, con tutto il carico di morti e distruzioni che essa comporta.

La bancarotta del cristianesimo?

"Il 71% della popolazione americana è favorevole ad azioni militari contro i paesi sostenitori del terrorismo, anche se questo comporterà la perdita di vite innocenti; il 54% è d'accordo ad attaccare comunque Bin Laden anche senza prove" (Limes, numero speciale sulla guerra Pag. 52)

Altrettanto gravi i risultati di un sondaggio di Famiglia Cristiana fra cattolici praticanti italiani. Quattrocento le persone intervistate. Nonostante le prese di posizione del Papa, il 57% degli intervistati è favorevole ad un intervento diretto dell'Italia in guerra, solo il 10% sostiene che non deve essere effettuato alcun intervento militare, il 68% è favorevole all'eliminazione fisica dei terroristi, se ciò non comportasse rischi per la popolazione civile, il che equivale ad essere d'accordo con la pena di morte. Ma uccidere non è peccato?

Pro o contro l'America?

Chiunque dica qualcosa di diverso rispetto alle idee espresse dall'amministrazione USA viene etichettato, nel migliore dei casi, come "antiamericano", nel peggiore dei casi come fiancheggiatore o vero e proprio terrorista. C'è chi ha coniato il termine "antiamericanismo", nel senso di "atteggiamento razzista nei confronti degli americani", e di "antioccidentalimso", con lo stesso significato, prospettando anche la necessità di "operare in modo da ridurre e non aumentare il tasso" di tali sentimenti, quasi che il popolo americano e quello occidentale fossero popoli nel loro complesso soggetti a forme di discriminazione razziale. Fermo restando che bisogna evitare pregiudizi nei confronti di qualsiasi popolo, quella dell'esistenza di atteggiamenti razzistici nei confronti degli americani o degli occidentali è una sciocchezza senza senso inventata da chi evidentemente ha interesse a confondere le acque.

Come cristiani, rispetto a tale questione, dobbiamo porci alcune domande precise:

  • possiamo legare la nostra vita personale e comunitaria alla difesa di un determinato sistema sociale, qualunque esso sia?
  • possiamo dichiararci amici di un popolo e nemici di altri popoli dimenticando le parole dell’Apostolo Paolo sul "ne greco, ne giudeo"? E' accettabile il diktat "o con noi o contro di noi" proclamato da un qualsiasi capo di stato o governo?

Così sulla questione della guerra e della pace chiediamoci:

  • Possiamo continuare a sostenere la tesi delle "guerre giuste"? Esistono ancora "guerre giuste" e chi può proclamarle sostituendosi a Dio, l’unico giusto per eccellenza?
  • Possiamo continuare a venire meno, con i nostri atti di singoli e di chiese, ai comandamenti del non uccidere e dell’amare il proprio nemico?

Cosa significa in concreto lotta al terrorismo

L'azione terroristica è solo una delle molteplici forme nelle quali una guerra può essere combattuta. E qualsiasi guerra persegue degli scopi politici precisi o, come diceva Von Klausevitz nel 1800, "è la prosecuzione della politica con mezzi violenti". Usare una forma terroristica, cioè un'azione in grado di creare il terrore fra i nemici, soprattutto fra i civili, piuttosto che un assalto alla baionetta, è una delle tante opzioni a disposizione dei militari o di chi dirige una guerra. "La guerra è guerra ed in guerra i colpi non si danno a patti": è una frase che si trova scritta in tutti i manuali della guerra di tutti gli stati del mondo. In guerra come in amore, si dice correntemente, tutto è lecito perché preminente è lo scopo da raggiungere che è quello di annientare il nemico per imporre la propria volontà ed il proprio potere.

Che questa sia la convinzione largamente diffusa nella testa di miliardi di uomini, lo possiamo verificare dal fatto che nessuno si è scandalizzato più di tanto quando il ministro della difesa USA ha dichiarato che essi non escludevano l'uso dell'arma nucleare nella lotta al terrorismo. Alla minaccia di nuovi attentati quali quelli dell'11 settembre è seguita la minaccia del terrore nucleare. Al terrorismo si è risposto con il terrorismo e nessuno, sulla stampa italiana o occidentale, ha bollato tali dichiarazioni come terroristiche o come espressione di una ferocia certamente paragonabile, se non addirittura superiore, a quella dispiegata dagli ideatori ed esecutori degli attentati dell'11 settembre.

La scrittrice Dacia Maraini, ha ricordato che sono passati alla storia come azioni terroristiche, anche attentati come quello a Hitler. "Se quell'azione fosse riuscita - si è chiesta la Maraini (vedi quotidiano Il Mattino del 5-10-2001 pag.4) - sarebbe stata buona o cattiva?".

Tutte le organizzazioni terroristiche oggi note, dall'IRA dell'Irlanda del Nord, a quelle legate al mondo arabo, hanno precisi obbiettivi politici. Esse usano la forma terroristica perché è probabilmente quella che consente loro di assestare colpi mortali ai propri nemici col minimo danno. Gli USA sono indubbiamente nel mirino di molte di queste organizzazioni, ma questo dipende certamente dal ruolo che gli USA si sono assunti sul piano mondiale subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e dopo la caduta del muro di Berlino. Nessuno, credo, può pensare di fare una politica quantomeno colonialista su scala planetaria, quale quella degli USA, e allo stesso tempo pretendere di non subire alcuna conseguenza per la propria politica. La lotta al terrorismo, come la intendono gli USA, significa in definitiva la distruzione di tutte le organizzazioni terroristiche che si oppongono alla sua politica mondiale.

Accettare il principio della "lotta al terrorismo", significa in sostanza, schierarsi dalla parte degli USA e opporsi alle rivendicazioni politiche dei gruppi armati del medio oriente o di altre parti del mondo. Questo perché non esiste un "terrorismo" slegato da un preciso contesto politico e sociale. Sicuramente non sono slegate da rivendicazioni politiche la ventina di organizzazioni facenti capo al mondo arabo o al popolo palestinese. Il terrorismo, come lo vediamo esplicarsi in varie parti del mondo e soprattutto in medio oriente, è l'altra faccia di un sistema sociale mondiale che consente l'esistenza dei super ricchi da una parte e dei super poveri dall'altra, con i super ricchi diventare sempre più ricchi ai danni proprio delle popolazioni povere.

In conclusione, chi usa la forza e le guerre per risolvere i propri conflitti politici ed economici, non può poi chiedere ai cristiani e ai pacifisti il loro sostegno. Per i cristiani ed i pacifisti di qualsiasi religione le controversie internazionali vanno risolte attraverso la trattativa, senza armi e scontri di alcun tipo.

Nessuna lotta, quindi, ad un astratto terrorismo, ma disarmo totale e generalizzato con l'eliminazione delle armi di distruzione di massa da chiunque prodotte e detenute.

LA GUERRA

Gli attentati dell’11 settembre sono stati immediatamente paragonati all’episodio di Pearl Arbour che portarono gli USA, fino a quel momento neutrali, a partecipare alla seconda guerra mondiale. Ma la differenza è del tutto evidente. In quell’occasione c’era uno stato, quello giapponese, che muoveva guerra agli USA e che di li a poche ore consegnò una dichiarazione di guerra al governo americano. Gli attentati dell’11 settembre, invece, non hanno una rivendicazione, né da parte di un gruppo terroristico riconosciuto né da parte di uno stato. Da un punto di vista giudiziario potremmo classificarli come "attentati di mafia", gli unici che colpiscono nel mucchio e che non sono mai rivendicati perché chi li riceve capisce da dove sono venuti. E noi in Italia ne sappiamo qualcosa.

Il giornalista Giulietto Chiesa, famoso corrispondente da Mosca prima del quotidiano l'Unità e ora della Stampa di Torino, nel suo articolo sul numro speciale di Limes sulla guerra, parla di "cupola" in riferimento ai responsabili degli attentati dell'11 settembre. Egli sostiene che nessuna delle sigle note delle organizzazioni islamiche che praticano il terrorismo, sia in grado di compiere da sola gli attentati dell'11 settembre. Neppure sarebbe possibile una organizzazione di quegli attentati da parte di una rete di organizzazioni terroristiche perchè questo ne avrebbe permesso la scoperta per i molti buchi e le molte infiltrazioni presenti in tutte le organizzazioni terroristiche. Attentati che secondo Chiesa sarebbero dunque stati ideati da una "cupola" formata da finanzieri ed esponenti di alcuni servizi segreti.

"La cupola - scrive Chiesa - ha scelto una tempistica molto vicina all'evolversi della crisi dell'economia americana e agli sviluppi della incombente recessione mondiale". "L'individuazione di Osama Bin Laden - scrive ancora Chiesa - come unico responsabile è però troppo mutuata da James Bond per essere credibile".

Da un punto di vista politico la situazione è invece simile a quella dell’incendio del Reichstag tedesco del 1933, rievocato anche in occasione dei fatti di Genova del luglio scorso. Quell’episodio venne utilizzato da Hitler per richiedere i pieni poteri ed instaurare la dittatura nazista. Solo più tardi, al processo di Norimberga, venne fuori che quell’attentato era opera dei nazisti stessi che invece avevano accusato i comunisti della sua realizzazione.

Agli attentati dell'11 settembre è seguita la proclamazione da parte degli USA di una guerra, "lunga e sporca" l'ha definita Bush, "contro il terrorismo e gli stati che lo sostengono". Una guerra la cui durata è stata pronosticata in dieci anni, dove non è escluso l'uso di armi chimiche, nucleari e batteriologiche. Al presidente Bush il parlamento USA ha assegnato, con un solo voto contrario, i poteri assoluti per tutto ciò che concerne la guerra. Una guerra che, probabilmente, sarebbe scoppiata comunque anche senza i tragici fatti dell'11 settembre. Del resto, non va dimenticato, che l'esercito USA e quello Britannico, hanno continuato a bombardare l'Irak, altro paese nel mirino degli USA, anche senza che questi si sia fatto promotore di alcun atto di guerra come fu nel 1991 con l'invasione del Qwait.

Anche l'attuale guerra, sarà un caso?, viene proclamata a cavallo di una scadenza legata all'Euro. Nel 1999 la guerra in Kosovo, nel cuore dell'Europa, fu lanciata a pochi mesi dall'inaugurazione della moneta unica. Oggi, la nuova guerra, viene proclamata a pochi mesi dalla distribuzione delle monete in Euro nelle tasche dei cittadini europei. Protagonisti della nuova guerra, come nel 1999, sono gli USA e l'Inghilterra, entrambi contrari, per vari motivi, all'euro e ad una ipotesi di unificazione europea.

Ma la guerra si chiama anche recessione, la più profonda e grave dalla crisi del 1929 ad oggi. Anche da quella crisi, che fece milioni di disoccupati e di morti in tutto il mondo, si usci fuori con la guerra, intrisa di odi e razzismi terribili, shoah compresa. La grave crisi economica era già alle porte. Per non andare molto lontano basti citare la situazione della Fiat che ricorrerà largamente alla cassa integrazione. "La crisi della Fiat - ha dichiarato Claudio Stacchini, segretario della FIOM di Mirafiori - viene più da lontano".

Alla base della guerra con i Talebani vi è, probabilmente, anche l'interesse allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas naturali, scoperti di recente nell'area del mar Caspio nei paesi confinanti con l'Afghanistan. Risorse valutate superiori a quelle degli Emirati Arabi ma non utilizzabili per la mancanza di oleodotti e gasdotti, che dovrebbero attraversare proprio l'Afghanistan per giungere nel golfo Persico. Ed è proprio il petrolio l'elemento di rottura fra Osama Bin Laden e gli USA, accusati di depredare questa importante risorsa energetica dei paesi arabi. Sarà un caso che molti dei sospettati degli atti di terrorismo vengano proprio dagli Emirati Arabi e dall'Arabia Saudita, che hanno ottimi rapporti con gli USA?

CHI SONO GLI AUTORI E GLI IDEATORI DEGLI ATTENTATI DELL'11 SETTEMBRE?

Quello che è successo l'11 settembre negli USA non c'entra nulla con i paesi poveri o con le azioni suicide dei palestinesi che decidono di morire in battaglia piuttosto che vivere una vita senza diritti di alcun tipo. Quel tipo di azioni nasce dalla disperazione, dalla mancanza di speranze nel proprio futuro e termineranno quando le ragioni della pace prevarranno su quelle della guerra.

Quello che è successo l'11 settembre negli USA ha un'altra matrice. Abbiamo assistito tutti ad una violenza ed una ferocia senza pari, insieme ad una meticolosità ed una preparazione tipica di militari addestrati a non sbagliare mai, allevati nell'odio più feroce e nel mito degli esseri superiori, di coloro che combattono in spregio totale persino della propria vita. Così erano allevati i kamikaze giapponesi, abituati fin da bambini a buttarsi a corpo morto contro il nemico al grido di "banzai". E' il mito della razza superiore di cui erano impregnati i nazisti ed i loro alleati. E' il mito dei super eroi di cui è largamente impregnata la cultura USA. E' il mito di "Rambo" che tanta fortuna cinematografica ha avuto sempre negli USA; è il mito della forza che deriva dal possesso di una qualsiasi arma che, proprio negli USA, viene insegnato ad ogni ragazzo e che ogni anno produce stragi di innocenti, spesso uccisi da ragazzi armati; è la libertà conquistata sopprimendo quella degli altri ben conosciuta dai popoli che hanno avuto a che fare con la superpotenza USA.

Chi ha organizzato gli attacchi ha messo in evidenza una perfetta conoscenza della realtà statunitense (sistemi di controllo delle compagnie aeree, numero e quantità degli aerei da dirottare, orografia del territorio per giungere sui bersagli senza l'assistenza dei controllori di volo ecc), di capacità tecniche non indifferenti (solo piloti esperti e con lunghe ore di volo alle spalle possono aver pilotato gli aerei contro gli obiettivi in modo così perfetto sfuggendo a tutti i controlli radar), di agganci molto consistenti negli stessi servizi di sicurezza o nei sistemi informativi degli USA se è vero che essi conoscevano esattamente il nome in codice del presidente Bush di quella giornata, nome cambiato ogni giorno e a conoscenza solo di poche persone oltre il presidente (spie o software con "porte nascoste" da qualche programmatore dei sistemi USA?). I terroristi, inoltre, sembra conoscessero perfettamente dove si trovasse il presidente Bush quel giorno (il quarto aereo puntava, probabilmente, proprio su Bush e sull'AirForce One). Basi logistiche, complicità e progetto degli attentati, dunque, profondamente legati all'ambiente americano, al suo tessuto sociale alle sue contraddizioni interne. Se così non fosse, gli attentati non sarebbero riusciti in una maniera così micidiale come invece è stato.

ISLAMICI O FONDAMENTALISTI USA?

Immediatamente si è puntato il dito contro gli islamici. La lista di dirottatori fornita dall'FBI, fatta tutta di nomi arabi, non ha riscontri obiettivi. Alcuni di coloro indicati come dirottatori, sarebbero vivi e vegeti e dunque non possono aver partecipato all'attentato. In più le scatole nere dei velivoli usati come bombe volanti sono state dichiarate dagli USA non utilizzabili perché danneggiate. Sono state dichiarate non utilizzabili, in particolare, quelle che registrano i suoni nella cabina di pilotaggio. Sono state poi successivamente diffusi dialoghi registrati sul quarto aereo abbattuto a Pittsburg. Da dove provengono quei dialoghi se le scatole nere sono inutilizzabili? Ci troviamo, del tutto evidentemente, di fronte ad un'operazione di disinformazione anche perché è sicuro che, se le scatole nere sono state ritrovate, esse sono certamente utilizzabili. In mancanza di un controllo delle scatole nere affidato ad un'agenzia neutrale, nulla di certo si può quindi dire sulla identità dei dirottatori che possa risultare dall'ascolto della loro voce o dai dialoghi fra loro intercorsi durante il volo.

Significativo il fatto che nei dialoghi riportati dai giornali non ci sia alcun accenno alla nazionalità di coloro che venivano indicati come dirottatori. Se quei dialoghi sono veri è probabile che i dirottatori non presentassero alcuna particolarità che valesse la pena di sottolineare, quali il colore della pelle, la lingua o l'abbigliamento. Si trattava, evidentemente, di persone perfettamente inserite nella realtà americana tali da non suscitare alcun tipo di osservazione.

Sul numero speciale di Limes dedicato alla guerra, il fisico Paolo Cotta Ramusino ha osservato che: "Da una situazione in cui nulla si sapeva della possibilità di un simile attacco terroristico, si è passati in quattro giorni ad una situazione in cui Bin Laden è il responsabile certo e l'Afghanistan il bersaglio da attaccare."

Tutte le ipotesi sono dunque possibili. L'indicazione di terroristi islamici non risponde a dati obiettivi, a prove certe, ma solo alla volontà di chi tale indicazione ha dato. Più che parlare di un gruppo fondamentalista non si può. E se di fondamentalismo religioso si tratta, sotto accusa sono allora tutte e tre le religioni monoteiste, l'ebraica, la cristiana e l'islamica, essendo il fondamentalismo una malattia comune a tutte e tre le fedi abramitiche. E se il fondamentalismo è presente nei paesi arabi, esso è altrettanto presente e forte proprio negli USA, con gli esponenti di punta del fondamentalismo "cristiano" molto vicini proprio agli ambienti dell'amministrazione USA, proprio fra i repubblicani, fin dai tempi della presidenza. Reagan. Una disamina di tale problematica e dei legami fra il partito repubblicano americano e la "destra cristiana", si può trovare fra l'altro nel testo "Il libro e la spada - La sfida dei fondamentalismi", edizioni Claudiana, anno 2000, di Stefano Allievi, David Bidussa e Paolo Naso.

Chi leggerà tale libro avrà la sorpresa di scoprire come un famoso predicatore fondamentalista evangelico come Billy Graham svolge, di fatto, il ruolo di "predicatore del presidente degli Stati Uniti". Ma, altrettanta sorpresa, susciterà la scoperta di fondamentalismi "cristiani" che inneggiano al razzismo, quali quello di Bob Jones, o quello di gruppi che non solo hanno proclamato che "uccidere i medici abortisti è un dovere biblico", ma lo hanno anche messo in pratica.

I PRECEDENTI DEI GRUPPI FONDAMENTALISTI AMERICANI

Pochi hanno ricordato che i gruppi fondamentalisti americani si sono distinti, negli ultimi dieci anni, per azioni terribili.

«Non bisogna dimenticare - ha scritto Gianni Minà su Il Manifesto del 12 settembre - che la grande nazione americana fin dal tempo del "controintelligence program" di Nixon, negli anni '70, ha cresciuto e tollerato la nascita di gruppi razzisti, associazioni paramilitari, sette religiose, che allora servirono a fronteggiare la "sovversione" dei neri e delle minoranze etniche o della chiesa di base; ma che ora, in molti casi, sono diventate un problema politico per la loro asocialità, vocazione isolazionista, avversione ad ogni regola. L'attentato di Oklahoma City nel '95, il più cruento prima di ieri, dove morirono 168 persone fra cui decine di bambini, fu opera di un figlio di questa America, Timothy McVeigh, membro di uno di questi gruppi di fanatici che ogni tanto dilaniano la società del paese». Quel Timothy McVeigh, ricordiamolo, giustiziato proprio alcune settimane prima degli attentati dell'11 settembre. E' probabile che l'attentato sia stato concepito in qualcuno di tali gruppi paramilitari malati di delirio di onnipotenza. Nella strage si legge il segno inequivocabile delle stragi naziste, dei terribili bombardamenti a tappeto della seconda guerra mondiale, dei forni crematori dei campi di concentramento.

La necessità del dialogo fra le religioni

Molti, senza neppure aver letto il corano, sono convinti che quanto è avvenuto l’11 settembre negli USA sia del tutto compatibile con la religione islamica e parlano della "jiad" senza neppure sapere di cosa parlano. Studiosi non sospetti di partigianeria, sostengono il contrario. "All'interno della religione islamica non c'è niente che induca alla guerra di religione o peggio ancora a questi atti violenti e criminali che hanno colpito gli Usa". E' la convinzione espressa da Antonio Izquierdo García, docente di Nuovo Testamento nell'ateneo Regina Apostolorum. "Nel Corano – afferma il docente- non c'è nulla che affermi la bontà del suicidio, al contrario, il suicidio viene escluso. Né tantomeno gli attentatori possono essere considerati martiri". "Il martire – spiega, infatti, Garcìa - riceve la morte per la fede che professa, non la provoca. I kamikaze non hanno patito la morte ma l'hanno procurata a se stessi e ad altri".

Significativo il fatto che a non credere affatto alla matrice religiosa degli attentati dell’11 settembre è un osservatore privilegiato della politica internazionale quale il cardinale Angelo Sodano, segretario di stato della Santa Sede che in una dichiarazione del 14 settembre così si è espresso: "Che ci sia una componente etnica, lo posso accettare, come pure una componente culturale. La religione invece è presa a pretesto. Mai il nome di Dio può essere invocato per atti come questi. Certo, nella pazzia un uomo può anche appellarsi ai principi religiosi ma si tratta di una deformazione".

Ricordiamo come atteggiamenti di vera e propria criminalizzazione dell’Islam, sono stati sostenuti lo scorso anno dal cardinale Biffi, vescovo di Bologna che trovò anche l’appoggio dello stesso Sodano. Dopo le esternazioni di Biffi la conferenza episcopale dell’Emilia Romagna approvò un documento sulla questione islamica che è un vero e proprio atto di accusa contro l’islam.

In quel documento, costruito con l'intento di segnalare tutte le differenze esistenti fra la teologia della Chiesa di Roma e la teologia islamica, presentando quest'ultima come pericolosa, si giunge infatti a rivalutare le crociate come momento importante, e da non dimenticare, del confronto-scontro fra "cristianità" e mondo islamico. Proprio all’inizio del documento, sotto il titolo "Un passato da non dimenticare", si citano tutta una serie di battaglie, dalla battaglia di Poitiers del 732, passando per "gli scontri avvenuti nel periodo crociato", fino agli scontri attuali di Timor est, come "momenti che hanno segnato la storia dei rapporti fra regni o imperi e Chiese della cristianità da una parte e califfati e imperi islamici dall’altro". Nessuna autocritica sul "periodo crociato", nessuna analisi dei conflitti indicati che vengono lasciati li come qualcosa di misterioso e terribile. Quali insegnamenti trarre dalle guerre riportate in quel documento se non il loro ripudio totale ed incondizionato? Il modo di esporre i rapporti fra cristianesimo ed islam era finalizzato ad evocare spettri piuttosto che a dare delle indicazioni per il futuro. Come dire: «Attenti, questi sono pericolosi e noi abbiamo già dovuto difenderci».

L'islamico è dunque il nemico di turno, quello contro cui scatenare le reazioni popolari, stimolando i sentimenti di paura nei confronti di un'idea religiosa diversa dalla propria (ammesso che la nostra società possa definirsi come impregnata di principi cristiani), dipingendo le diversità come pericolo invece che come ricchezza. Non bastano le dichiarazioni contrarie perchè nei fatti la "caccia all'islamico" è immediatamente cominciata negli USA come in tutta Europa, Italia compresa. Le incredibili dichiarazioni del primo ministro Italiano, poi ritrattate, hanno fatto il resto.

Chi è per la pace dovrebbe invece sottolineare che tutte le religioni, compresa quella islamica, hanno come regola aurea quella del "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te". Regola aurea preesistente al cristianesimo. Basti leggere il libro del Levitico cap. 19 versetto 18 dove è scritto: "Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso". Comandamento di Dio esteso da Gesù non solo a tutte le genti, ma ampliato con l'indicazione dell'amare i propri nemici e coloro che ci perseguitano, cosa questa non di poco conto per chi si dichiara cristiano. Dottrina, quella di Gesù, mirabilmente esposta in quello che è il manifesto programmatico del cristianesimo noto come "discorso della montagna" (Mt cap. da 5 a 7), che forse varrebbe la pena di rileggere e meditare attentamente.

Obbiettivamente, dunque, gli attentati dell’11 settembre si inseriscono perfettamente nella campagna anti-islamica in corso in Italia e nel mondo oramai da diversi anni. Queste riflessioni, dovrebbero togliere del tutto qualsiasi alibi religioso agli attentati ed alla conseguente guerra che il presidente Bush si è affrettato a dichiarare, quando ancora le due torri di New York era ancora in piedi e molte vite umane potevano ancora essere salvate.

In controtendenza sono andate invece alcuni incontri internazionali fra Islam e Cristiani, quali quello di Sarajevo del 14 settembre 2001, subito dopo gli attentati, e quello promosso dalla comunità di Sant'Egidio a Roma il 3 e 4 ottobre, che ha approvato una dichiarazione congiunta che invita tutti coloro che uccidono in nome di Dio a no mascherare con la fede la propria violenza esecrabile. Dal summit promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, inoltre, la proposta di un comitato di consultazioni che renda stabili i rapporti fra le religioni e "renda possibile l'elaborazione di materiali e un progresso sui punti affrontati".

Quella del dialogo è l'unica alternativa per chi rifiuta la guerra.


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996